Questa meravigliosa forte emozione

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[Spesso mi chiedono quanto di me c'è i. È difficile dirlo. Di solito sono un mix di fiction e reale. Sono inventati, ma possiedono dei riflessi nel carattere, nei gusti o nelle citazioni. Un facile esempio: Gogo Yubari di Kill Bill (la metto qui sopra). Amo i due film di Quentin Tarantino, e la connessione con Jiāng è venuta naturale. Ma più spesso i punti di contatto vengono fuori senza che io lo voglia o me ne accorga]



Cap. VENTICINQUE - Jiāng Li


Io e Alex incrociamo pochi altri sul marciapiede.

Non devo essere un bello spettacolo ai loro occhi: sono sfatta di rabbia, ho il sudore che mi cola sulle tempie, i jeans con gli squarci e di sicuro puzzo. Sembro appena uscita da una rissa.

«Che avete da guardare? Smammate!» ringhio facendo scattare la testa verso chi mi fissa per più di un secondo, e se pensano che sia una teppista pace. In effetti mi ci sento quasi, una teppista.

La Gogo Yubari di Kill Bill Volume Uno.

Ah, se avessi una catena con la palla di ferro in punta! Potrei sfogarmi sfasciando qualcosa. Qualsiasi cosa. Che poi lei è giapponese e io cinese/italiana. Vabbè tanto non se ne accorge nessuno.

«Li, ripigliati. Non è proprio il caso» mi fa Alex.

L'ho già detto che detesto i grilli parlanti?

Ma no dai, povero Alex. Ha ragione. È che se non mi sfogo nei prossimi dieci minuti esplodo. Sono una pentola a pressione. Ogni quattro o cinque passi sfiato un respiro caldo che manco agli Inferi.

«So badare a me stessa» lo informo.

Gli riprendo la mano e faccio ciao ciao ai ficcanaso sconosciuti.

«Lo so. Mi preoccupavo per me» farfuglia tra i denti.

Appena svoltiamo in via Varallo, in mezzo ai palazzi tutti uguali che paiono conigliere per esseri umani, vediamo dei giardini nascosti.

Non ti fermare al parco, si è raccomandato Tian.

Mi fermo all'istante. Glielo faccio come sgarbo personale. Non mi frega del parco, ma se lui ha detto bianco allora faccio nero. Tiè!

Schierati al centro, attorno a un tavolo o roba simile, un turbinio di movimenti variopinti e confusi. Da dove siamo si vede poco. Il sole sta calando oltre agli edifici. Le ombre nascondono il raduno.

Lamenti. Voci. Piedi che battono a terra.

«Andiamo a vedere» dico ad Alex.

«Scherzi?»

«Come vuoi, teso'.»

Lo mollo lì e vado incontro al divertimento.

«Aspetta!» Fingo di non sentire.

Inutile dirlo, sono ragazzi e ragazze. Quello al centro non è un semplice tavolo: è una consolle. Con tanto di DJ dalla pelle scura e cappello con visiera a becco, che si muove a un ritmo tutto suo.

Gli altri lo seguono con le braccia su e i palmi delle mani aperti. Vedo due manzi senza maglietta che sfoggiano gli addominali, ragazze splendide con fiori tra i capelli, e calici di bollicine sospese nell'aria, cuffie colorate sopra le orecchie. Occhi febbricitanti di libertà.

«Vieni a ballare» mi dice una tipa con la maglietta arrotolata fino al petto e i jeans a vita bassa. «Vieni, chica, lasciati andare.»

Chica a chi? Ho ucciso per molto meno, sai?

QUEL CHE RESTA SIAMO NOIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora