La risposta è davanti ai miei occhi

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[Una buona storia ha bisogno di personaggi secondari ben caratterizzati, che permettano ai protagonisti di uscire fuori e dimostrare chi sono veramente. A volte, però, finiscono per rubare agli altri la scena, non accontentandosi del ruolo che avevo pensato per loro. Insomma non si è mai così certi che i secondari accettino di restare sempre e solo secondari.  Andrà a finire così anche per Christian e Fillo? Chissà...]



Cap. VENTISETTE - Christian

«Ti costa tanta fatica ammettere che avevo ragione?»

Il Fillo mi sorride, alzando una gamba e posandomi le mani sulle spalle.

«Ci è andata di culo» osservo.

Il carrello ha retto il peso, perciò ora mi tocca incrociare le dita e fargli la scaletta. Mi abbasso. Un attimo dopo lo spingo verso l'alto e lo vedo raggiungere la sfera con le dita. La lucina rossa lampeggia a intermittenza. Ci siamo.

«Passami il rotolo di nastro» mi fa.

«E dimmi: con quali mani? Sto tenendo te!»

Si schiaffeggia la fronte, poi scende giù e mi infila le manacce in tasca dove ha visto un rigonfiamento. Giuro che se mi tocca il...

«Quello è il telefono, scemo!» gli dico.

Un attimo dopo, con il volto rosso fuoco, metà divertito e metà imbarazzato, Fillo torna a sfiorare il soffitto. Appoggia una mano alla parete e con l'altra stacca un pezzo di nastro. Poi lo guarda.

«Chris, avevo detto nero. Non trasparente!»

Non lo aveva detto, però adesso... È meglio restare concentrato, lo so. Gli dico di usare la gomma da masticare, che continua a ruminare da quando ci siamo incontrati, e non rompere le palle.

«Okay, okay. Quanto sei permaloso.»

L'obiettivo della telecamera viene finalmente oscurato. Torniamo giù e rimettiamo a posto il carrello in tempo per il passaggio di alcune ragazze con la divisa della protezione civile e le buste della spesa.

Fillo scocca un bacio a caso per non dare nell'occhio. O per farle accelerare, fuggire, dato che sembriamo due psicopatici: sudati, loschi, in un angolo vuoto del parcheggio a fischiettare. Tipo.

Insomma se ne vanno, lasciandoci di nuovo campo libero.

Ci fiondiamo sulla piccola porta al lato della saracinesca. Il mio socio pasticcia con i numeri di una tastiera numerica dotata di cornice metallica. Immagino che serva a proteggere il codice da eventuali impiccioni. «Non vedo niente. Hai una torcia elettrica?»

«E bravo Fillo "penso a tutto io".»

Finiscila di gongolare e approfitta della situazione!

Prendo il telefono e attivo la torcia avvicinandolo alla tastiera. Così facendo mi ritrovo addosso a lui, tipo maniaco sessuale.

«Non farti strane idee» gli dico.

«Sì, ma guarda altrove. Il codice è segreto.»

«Non eri tu quello che chiedeva fiducia?» Faccio una pausa a effetto per vedere se abbocca all'amo. Ho bisogno di quel codice. «Ti dico un segreto: non ci può essere fiducia dove non c'è altra fiducia.»

Lui mi fissa, le sopracciglia si inarcano. «E questa dove l'hai letta? Sui biscotti della fortuna? È l'aforisma più stupido che abbia...»

«Ti fidi o no?» lo incalzo.

La risposta è davanti ai miei occhi: 10052006.

Con tutta probabilità, la data di nascita di un ragazzo tanto deluso e arrabbiato da non rendersi conto che il codice lo ha scritto il padre verso cui si lamenta. Dovrà pur significare qualcosa, dico io.

QUEL CHE RESTA SIAMO NOIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora