Non è un crimine se non c'è scasso

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[Per chi scrive questo è un momento delicato: i personaggi sono all'apice del percorso di crescita, la storia accelera e si intravede la luce al fondo del tunnel. C'è il pericolo di correre, affrettare il finale. Perciò calma e sangue freddo, mi dico. I personaggi devono rimanere fedeli a se stessi. Chi legge si merita una conclusione piena e densa di significato. Magari non quello che si aspetta, eh. Allora eccomi a misurare le parole, a sceglierle e a incanalare tutte le emozioni con cura...]


Cap. QUARANTACINQUE - Vera


Non sono una che si formalizza. Però – tutto d'un fiato – i binari della vecchia stazione, la puzza di ruggine, il catrame e i rifiuti sparsi come se dei cani selvaggi si fossero contesi gli avanzi negli ultimi Dog Hunger Games, no. Proprio non mi entusiasmano, ecco.

«Questo posto è ultra-terribile» dico. «Credo di avere appena pestato una siringa, ma non ho il coraggio di fermarmi a controllare.»

«Ecco, brava. Cammina» risponde Li.

Mi chiedo perché deve essere sempre così scontrosa.

Insomma sono qui, l'ho seguita, anche se ogni cellula del mio corpo urla che è – in maiuscolo – STUPIDO, fin da quando ci siamo infilate nello stramaledetto squarcio della rete metallica. Per di più sotto il cartello "Vietato l'ingresso alle persone non autorizzate!"

Comunque io non mollo. Ho detto che so trasgredire, che faccio anch'io qualche follia, se voglio, e ora okay. Ci sono. Devo andare fino in fondo. La figura della solita influencer sciocca no, non io.

Che sono tutto-tranne-che-sciocca, Jiāng Li.

«Benvenuta a Italian Rust, il mio rifugio dall'inferno» mi dice fermandosi e facendo l'aeroplano con le braccia.

Punto le mani ai fianchi. «Grezzo e spartano. Il tuo stile.»

«Vera, ma non vedi che figata è? Nessuno che ci dice cosa fare e cosa dire. Nessuna regola da seguire. Solo io, te e...»

«Il tetano?»

«La libertà, cazzo. La libertà!»

«Finché i Controllori non ci arrestano.»

«Proprio il motivo per cui dobbiamo divertirci!»

Si sfiora gli occhi con una mano e all'improvviso si trasforma. No, dico proprio davvero. Pure mio padre lo faceva, si passava la mano davanti alla faccia e ZAC! Cambiava da triste a felice, e viceversa. Me lo ricordo alla perfezione.

«Ora dimmi: quanto sei coraggiosa?»

«Non abbastanza da lasciarti qui e tornarmene a casa.»

«Che noia, sorella!» sbotta, forse nella speranza di sciogliere i miei nervi tesi. «Che fine ha fatto la Vera-Psycho che rispondeva a sua madre e le rideva in faccia? Tirala di nuovo fuori. Adesso.»

«Quante volte ancora me lo ripeterai di stasera?»

«Dipende da te e da quanto sarai brava in questa fase del test.»

Mi volto di scatto. «Quale test?»

«L'ho chiamato "Fanculo tutti", diritti riservati.»

Si avvicina ai binari fischiettando una specie di jingle che secondo me ha pure improvvisato. Si china sulle ginocchia e con un sorriso sguaiato da demone cinese inizia a – compilation di faccine inorridite – stendersi sui binari.

Stendersi.

Sui.

Binari.

Sì, quelli della ferrovia. Lunghi, di metallo, con le traversine di legno e i bulloni e la ghiaia pitturata di bianco. Il mio cervello si blocca. Va a capo. Non riesce a elaborare la cavolo di immagine.

QUEL CHE RESTA SIAMO NOIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora