I think I'm going insane

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Diavolo, che figura da idiota che hai fatto. Chissà chi era. Non importa, chiunque sia non mi rivolgerà mai più la parola, come chiunque altro in questa scuola. Non pensarci. È inutile che tu ti faccia dei film adesso. Non sei nessuno, anzi sei ancor meno di nessuno. Non farti strane illusioni, e concentrati a disegnare quest'esponenziale che sennò Barrett ti dà 2, accidenti a te.

Lena Luthor faticava a concentrarsi.

Continuava a vedere quegli occhi celesti al posto dei numeri e a sentire il tocco di quella mano sulla sua spalla.

Cosa diavolo le stava succedendo?

Lena non sapeva nulla sul romanticismo, conosceva solo quello dei libri, ma quelli riportavano spesso e volentieri un lieto fine, mentre lei non l'avrebbe avuto.

Ne era certa.

Eppure... era sempre stata scettica quando sulle sue letture trovava storie di amori a prima vista, persone che si perdevano negli occhi degli altri e immediatamente si sentivano pronti a fare qualunque cosa per quella persona.

Però, in quel preciso momento, Lena si sentiva esattamente così.

Concentrati.

La campanella suonò di lì a breve, senza che Lena riuscisse a completare un granché.

Forse per la prima volta in vita sua avrebbe preso un voto mediocre perché era realmente distratta, e non perché lo voleva per non essere sotto i riflettori.

Vabbè.

Quel che è fatto è fatto.

L'ora buca della Himmel fu un disastro.

Si beccò 5 libri in testa, decine di sgambetti nei corridoi, una raffica di palline di carta e addirittura una spruzzata di ketchup in faccia, che lei era fortunatamente riuscita ad arginare a solo il viso, senza lasciare che la salsa le sporcasse ulteriormente gli indumenti.

Non vedo l'ora che arrivi l'ora di pranzo.

Non tanto perché avesse fame, quanto perché non vedeva l'ora di immergersi nella lettura.

Era nel bel mezzo delle cupe foreste e delle bianche vallate di Zanna Bianca, e solitamente non riusciva a non pensarci.

Fino a quel momento, perché da allora tutto quello a cui riusciva a pensare erano un paio d'occhi celesti e dei boccoli biondi.

Nient'altro.

Non c'era traccia degli alti ululati che popolavano le pagine del romanzo, solo le sottili parole uscite da quella bocca perfetta.

Dio quelle labbra...

Lena si riscosse quando andò a sbattere contro un angolo, appena uscita dalla lezione di fisica.

Le botte le prendeva già normalmente, sia a scuola che a casa, non c'era bisogno che se le procurasse anche da sola.

Era finalmente arrivata l'ora della libertà.

Dirigendosi in mensa, Lena dovette schivare un paio di calci, ma tutto sommato andò meglio del previsto.

Ormai i sibili che la seguivano ovunque andasse non la toccavano neanche più. Ci aveva fatto l'abitudine.

"Vorrei un panino al prosciutto, per favore."

La voce le usciva sempre così flebile, perché ormai aveva capito che meno si faceva notare, meno fastidi si attirava.

Mentre la cuoca le passava il panino, lei frugava nel suo portafoglio in cerca di spiccioli.

In quel preciso momento un ragazzo la urtò (di proposito) facendole riversare a terra tutto il contenuto del portamonete.

Mentre si chinava velocemente a raccoglierlo vide qualche mano qua e là che le fregava le monete, ma non si sognò neanche di chiedere di restituirgliele. Era già successo in passato e non era andata a finire bene.

Si accontentò di racimolare i soldi alla sua portata, pagare la cuoca, ritirare il panino e andarsene con gli occhi bassi.

Di nuovo, l'umiliazione era una delle cose peggiori che esistessero.

Il cuore le sprofondò ancora di più quando, alzando gli occhi, tra tutte quante le persone presenti in mensa, individuò istantaneamente una testa bionda rivolta dalla sua parte.

Si sentì morire dentro intuendo che la ragazza dagli occhi cerulei aveva visto tutto.

Le venne da piangere.

Scappò dalla mensa più in fretta che poté, per andarsi a rifugiare in bagno, in uno dei cubicoli.

E pianse.

A lungo.

Dimenticando il panino e il pomeriggio di tranquillità che le si prospettava davanti.

Quando alla fine si calmò, raccolse le sue cose e si avviò verso l'aula di musica.

Non c'era quasi nessuno nei corridoi, si erano tutti riversati nella piccola palestra in cui si sarebbe giocato l'incontro di basket.

Per arrivare nell'aula di musica passò davanti agli spogliatoi femminili.

Gettò giusto un'occhiata, ma avrebbe riconosciuto quella coda splendente anche ad un kilometro di distanza.

Per la terza volta quel giorno, il cuore le accelerò nel petto, e lei si affrettò a superare la stanza.

Poco più avanti, il corridoio si piegava in due direzioni: da una parte la palestra, dall'altra la strada per l'aula da lei cercata.

Si fermò un attimo, il cuore in gola.

Sentiva la massa di spettatori parlare, ridere, scherzare.

Nessuno era solo come lei.

Le probabilità che la infastidissero in palestra erano poche: tutti volevano godersi la partita.

Sospirò.

Andrà a finire male, Luthor.

Cercò di convincersi che era una buona idea, mentre svoltava in direzione del rumore.

'cause darling, you fit just perfectly here in my arms.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora