CAPITOLO 39

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Giovedì 17 giugno, Los Angeles

Jason's POV

Vengo svegliato da un odore intenso di caffè espresso, mi volto dall'altra parte del letto e non trovo Elizabeth ma in compenso mi rendo conto che è tardi e che la partita inizierà tra circa quaranta minuti.

«Buongiorno» entra tutta sorridente e mi da un bacio, la prendo per i fianchi e la faccio cadere sopra di me, cerca di liberarsi subito dalla mia presa per evitare di farmi male ma in realtà non senso niente essendo che non si è appoggiata.

«Tranquilla. Non la sfiori neanche la gamba» si rilassa un po' e mi accarezza i capelli e il petto, vorrei passare il resto della vita così, con lei, per poi finire ad addormentarci insieme. Le do un bacio e per intensificarlo le appoggio una mano sulla guancia, a sua volta ne appoggia una sulla mia e continuiamo a baciarci in questa posizione.

Il suono del mio telefono continua da circa cinque minuti ma non voglio staccarmi, Beth scende dalle mie gambe e sul display compare il nome "Papà" e mi affretto a rispondere.

«Ei papà» «Finalmente! È un secolo che questo telefono squilla a vuoto, non voglio sapere cosa stavi combinando» «No infatti, non penso tu voglia saperlo» 

«Comunque sia, ti ho chiamato per dirti che tra circa quindici minuti vi passeremo a prendere e che la conferenza Stampa è stata fissata tra una settimana e mezzo»

«Va bene, grazie. A dopo».

«Piccola, passano a prenderci tra quindici minuti, ma dove sei?» «Arrivo, arrivo» esce dal bagno con un abito lungo stretto nero che le arriva alle ginocchia, le spalline sono molto sottili e una scollatura normale, ha un paio di tacchi gialli ha legato i capelli con un'elastico dello stesso colore e ha messo dell'ombretto viola.

«Sei bellissima» «Grazie, dai ti aiuto a prepararti» «Beth...» «Dimmi»

«Cosa pensi succederà appena entrerò nell'arena?» 

«Devo essere sincera? Non lo so ,Jason. Sono certa che i tuoi fan siano lo stesso felici della tua presenza ma comunque sei il punto principale della squadra. Non saprei cosa aspettarmi».

Indosso una camicia nera con i jeans dello stesso colore, orologio, colonia e scarpe anch'esse nere. Sono sempre sulla sedia a rotelle, so che dovrò starci ancora per un po' ma spero che l'operazione venga svolta entro due settimane. Elizabeth va ad aprire la porta e spingendo la carrozzina da solo vado verso la porta.

«Amore mio, come stai?» «Ciao mamma, sto bene» le mie sorelle mi abbracciano e mi stampano un bacio, i fratelli di Beth invece, mi danno una pacca sulla spalla. Vedo mia madre prendere da parte Beth ma le perdo di vista quando mio padre richiama la mia attenzione «Stai bene?» 

«Sì papà, sto bene».

Sto bene davvero o sto cercando di convincere me stesso e la mia famiglia?

Inutile dire che per salire in macchina ho fatto fatica ma è stato molto più complicato vedere i giornalisti e non dirgliene quattro per le loro domande snervanti a cui vogliono a tutti costi che tu risponda. Entriamo dalla parte riservata alle squadre e Beth si offre di spingermi, non rifiuto. Ammetto che pensavo di sentirmi un perdente, un buon a nulla ma il fatto che la mia ragazza si offra di aiutarmi mi rende orgoglioso della donna che ho di fianco. Lei non si fa nessun problema, cammina a testa alta come se stesse camminando mano nella mano con una persona "normale", non mi bacia solo perché sarebbe uno scandalo per i giornali anche se oramai lo hanno capito tutti ma non ho bisogno che mi baci in pubblico, a me basta quando siamo io e lei, solo questo conta.

HAAVEILLADove le storie prendono vita. Scoprilo ora