Capitolo 2

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Martedì 12 dicembre

<<Era facile farmi venire i sensi di colpa. E lei sapeva cogliere i miei punti deboli, era brava in questo: era la migliore>> la sua voce era calma, non distoglieva per un attimo lo sguardo dall'uomo. <<Non ne avete mai discusso con Max?>>.

<<Max è come lei, solo più umano>> rimuginare nel passato le era facile, ma parlare di ciò non lo era affatto. <<Lizzy vi è rimasta accanto?>> esitò a chiedere ciò, ma voleva saperlo, a tutti i costi. <<Sì, le ho detto che lei è mia amica>>. Endrick sospirò, <<potete dirmi come mai è andata via, così lontano da tutti?>> la sua voce era sicura, ma in cuor suo sapeva che era spaventato.

<<Perché era stanca dottore. E quando qualcuno è stanco non può far altro che andare via. L'uomo è condannato scappare, è nella sua natura; corre via dai predatori, vuole mettere in salvo la sua incolumità, prima di pensare agli altri>> era filosofica nelle parole, e questo lo psicologo lo aveva notato bene.

<<Da che cosa scappate davvero voi?>> le chiese lo psicologo. <<Da me stessa. Perché il miglior nemico dell'uomo è se stesso>> parlò con voce piatta, alcuna emozione traspariva. <<Potrai avere tutti i nemici che vuoi, ma colui che ti farà sempre più male sarà te stesso. Solo tu hai il potere di autodistruggerti; conosci alla perfezione ogni tuo punto debole e lo sfrutterai al meglio>> annotava quelle parole così perfette, dette da una mente umanamente distorta dal suo punto di vista.

<<Per questo lo avete fatto?>> chiese l'uomo. Lei rimase in silenzio, non aveva una risposta per quella domanda. <<Eleonor, cosa vi ha spinto la prima volta, ad appendere una corda al lampadario?>>riformulò la domanda, così da potersi permettere un passo alla volta; solo così poteva comunicare senza procurare altri danni psicologici.

<<Una voce di corridoio diceva che ero incinta. Per molte settimane appesero volantini con una foto di una ragazza col pancione: era una mia foto ritoccata>> corrucciò la fronte. <<La voce si sparse molto presto, e tutti iniziarono a deridermi pesantemente, in molti si ipotizzarono padre del bambino che non è mai esistito>> stava riflettendo sui fatti accaduti. <<Un giorno portarono a scuola degli oggetti, che sono soliti ad usare i genitori per curare un figlio>> era troppo poco agli occhi dell'uomo.

<<Si divertivano a dire che sarebbe stato orfano di un genitore>> questa frase lo scosse particolarmente. <<E' stata mia madre a trovarmi. Si prese paura, ma non ci fu bisogno dell'ospedale. Mi tirò giù in tempo>>.

<<Thomas vi è rimasto accanto?>> le annuì sorridendo a mala pena. <<Aveva solo dodici anni appena compiuti>> mormorò. <<Volete proseguire?>> le chiese. <<Mi porga un'altra domanda la prego>> voleva parlare, ma in qualche modo era frenata; lo si percepiva.

<<Siate sincera: io non credo che voi abbiate cercato di porre fine alla vostra vita per delle voci di corridoio. Ma adesso vi chiedo questo: perché volete parlarmi solo dopo un anno?>> chiese l'uomo. <<Perché non ho più tempo per scrivere le mie memorie>> il sangue gli si gelò nelle vene.

<<Scrivere le vostre memorie? Diamine avete solo vent'anni>> era colmo di sgomento. <<Non c'è più tempo dottore. Io qui dentro ci sto morendo>> era chiaro, voleva porre fine a quella stressante conversazione. <<Vi aiuterò Eleonor>> promise ancora. <<Osserva senza guardare>> constatò.

Il Dottor Marks uscì da quella stanza chiudendo il taccuino nero. Lo infilò nella tasca interna della giacca nera che portava. Pensò alle ultime tre parole che la ragazza gli riferì: <<osserva senza guardare>>.

Che cosa intendeva? Perché gli erano così familiari quelle parole? Non avrebbe chiesto nuovamente aiuto a suo figlio: doveva sbrigarsela da solo, capire lui stesso gli enigmi della sua paziente.

L'unico aiuto che avrebbe potuto realmente farlo arrivare ad una fine, era ad ore ed ore lontano da lui. Ma Lizzy era stata alquanto chiara: non voleva avere niente a che fare con Eleonor, o con la sua famiglia. E lui in primis non voleva forzare quella ragazza, nonostante fosse, forse, la sua unica speranza.

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