CAPITOLO 1

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Era domenica 18 maggio. Non fu una domenica come le altre. La sveglia suonò alle 05:00, dovevo prepararmi per prendere il treno insieme alla mia squadra. Quando entrai in cucina per consumare la mia solita colazione dietetica, trovai già mia madre col grembiule e la retina nei capelli, pronta ad un' altra stressante giornata tra faccende domestiche e lavoro - tra l'altro non vi era alcuna differenza, poiché lavorava come domestica. Da quando quattro anni fa divorziò da mio padre, un essere burbero e violento, iniziò a farsi in quattro per riuscire a pagare il mutuo, le varie spese e non farmi mai mancare niente, affetto compreso. Una volta pronto, salutai mia madre, promettendole di tornare vincitore. Uno sguardo ad una foto di mia sorella, trasferitasi in Slovenia con suo marito anche per dare un aiuto economico alla famiglia, e scesi le scale di corsa, come sono solito fare.
Arrivato alla stazione, trovai i miei compagni che mi aspettavano. Da me dipendeva anche il loro destino. A me, il capitano e numero dieci, nonché uomo simbolo del gruppo, spettava il compito di far superare la semifinale alla mia squadra in questo campionato under-17 e dunque segnare un record per la società.
In ogni viaggio in treno prima di una trasferta, ero solito a leggere un libro ed ascoltare musica. Ma questa volta era diverso. Il libro che avevo tra le mani e la canzone che ascoltavo in loop mi riportavano alla mente Caterina: ci innamorammo come i protagonisti del romanzo e la nostra storia era simile a quella raccontata nella canzone. Non potevo fare altro che pensare all'ultima volta che ci siamo visti, a quella maledetta volta. Le nostre famiglie dovevano partire insieme, loro erano i nostri vicini di casa. Ma il mio infortunio, per il quale saltai la parte iniziale del campionato, cambiò tutto. A quel punto neanche la famiglia di Caterina voleva partire, ma io e mia madre li convincemmo. Maledico ancora quel giorno. L'aereo, che trasportava Caterina, andò in turbolenza, non riuscì un atterraggio d'emergenza e non si salvò nessuno. Grazie a lei mi ero ripreso dalla depressione causata dalla mia critica situazione familiare, ma la sua morte non fu un colpo decisivo. Avevo imparato ad essere forte. E anche se in treno avrei voluto scoppiare a piangere, la forza e l'orgoglio mi hanno spinto a mostrare un' apparente felicità. Non potevo farmi vedere triste dai miei compagni, i quali mi ritengono come un punto di riferimento. Alla fine di quel libro non ho letto una riga e di quella canzone non ho ascoltato neanche una nota. Ma ormai, giunto a destinazione, dovevo ancora avere la forza per andare avanti e concentrarmi sul campo da calcio, l'ultima cosa che mi resta, e vincere per mia madre, per i miei compagni, per il mister, per me stesso e per Caterina, che sicuramente avrebbe tifato per me.

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