CAPITOLO 3

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Negli spogliatoi il mister ci incoraggiò con un discorso molto motivante, per lui vedere arrivare quantomeno in finale, a prescindere dalla vittoria decisiva per il titolo, dei ragazzi per cui - col presupposto che legittimamente ne hanno tutti uno - è stato un secondo padre, sarebbe stata una delle più grandi soddisfazioni che abbia mai vissuto.
Ritornammo in campo ancora più vogliosi di vincere, ma consapevoli che una sconfitta non sarebbe stata immeritata visto l'egual valore avversario. Tra le tante cose il mister ci ha insegnato il valore della sportività e che bisogna sempre essere umili, non solo fuori dal campo. Il nostro gioco di squadra stava dando i frutti sperati, ma i risultati erano gli stessi del primo tempo. Col passare del tempo, mi resi conto che da capitano dovevo spezzare gli equilibri della partita, anche se mi costava peccare leggermente d'egoismo, ma spesso, come nel calcio professionistico, eccedere un po' nel dribbling e nelle azioni personali, porta ad una superiorità numerica nella zona avversaria e quindi in una vera occasione offensiva, anche se, c'è da dire, che in un campionato giovanile i livelli sono ovviamente molto più inferiori. Tuttavia avevo fiducia nelle mie capacità, dopotutto essendo tutti i trequartisti dell'under-17 inferiori a quelli professionisti, la stessa cosa valeva anche per i difensori. Così, intorno l'ora di gioco, intrapresi un'azione solitaria partendo dalla trequarti: la mia intenzione era quella di portarmi sul fondo per poi convergere verso il centro e guardare il piazzamento dei compagni e la posizione del portiere, così avrei avuto tre opzioni di scelta quali cross, tiro a giro o rasoterra. Però, mentre dribblavo un avversario, la palla rimbalzò sulla mia gamba e fui costretto ad eseguire un controllo di troppo. A tal punto l'avversario che avevo superato, recuperò terreno e nell'udire i tifosi avversari che fischiavano o i miei compagni che chiedevano palla, finii per deconcentrarmi e mi ritrovai altri due avversari in pressione. Ero distante dalla linea di fondo ed indietreggiare per tentare di conquistare un fallo laterale sarebbe stato rischioso, poiché perdere a quel punto la palla voleva dire servire una prateria agli avversari che potevano colpire in contropiede visto che avevo fatto salire tutti i miei compagni con la mia serie di dribbling. Così tentai una vera pazzia: mi portai la palla sotto la suola e la alzai in aria e caricai tutta la mia potenza nell'esterno del piede sinistro per smistarla in una zona dove si trovavano dei miei compagni totalmente smarcati. Anche uno dei tre difensori, però, alzò la gamba mentre la palla si trovava a mezz'aria e mi colpì violentemente. Caddi per terra, provavo un dolore immenso nella solita gamba sinistra. Tutti si allarmarono e il mister richiamò immediatamente il mio sostituto. Gli lanciai uno sguardo. Tra me ed il mister c'era sempre stata una grande intesa, aveva capito cosa gli avrei voluto dire, << la punizione l'ho guadagnata io ed è bene che la calci io, il mio sforzo non deve essere vano: ora devo fornire un assist. >>, dopotutto l'avrei calciata col destro, perciò non correvo pericoli. Tutto andò come doveva, il nostro centravanti segnò un bel colpo di testa e avevamo compiuto la rimonta, 2-1. La mia sostituzione avvene una decina di minuti dopo, quando ormai la partita veniva gestita da noi liberamente. La missione è stata compiuta, avremmo giocato la finale.

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