CAPITOLO 34

6 3 0
                                    

"Mio padre" venne condannato a venticinque anni circa di reclusione. Io e Nora restammo in contatto perché avrebbe voluto salutare mia madre prima di darmi l'addio. Quest'ultima, dopo aver subito diversi interventi dovuti a delle fratture riportate, restò in coma per sette settimane. Nel frattempo la mia depressione aumentava: non abbandonavo mai mia madre, interruppi i rapporti con Angelo, la presenza di Nora non faceva altro che farmi soffrire visto che avevamo scoperto di essere fratelli e mancai anche ad alcuni provini.
Finalmente arrivò il giorno in cui mia madre si risvegliò.
<< Dov'è? >> Chiese subito come se fosse passato un instante tra l'attimo in cui aveva perso i sensi e quello in cui li aveva recuperati.
<< Calmati. Sei in ospedale, ti sei appena risvegliata da un lungo coma. Lui invece è in carcere. >>
<< Sei stato tu a salvarmi? >>
<< È stato anche merito di Nora. A proposito, adesso la telefono perché voleva vederti, ma prima chiamo i medici. >>
Successivamente arrivò Nora e, appena fu consentito visitare mia madre, entrò nella sua camera. Vi uscì dopo diversi minuti e poi cominciò a parlarmi.
<< Le ho spiegato tutto, non c'è bisogno che lo faccia tu, ricordando staresti ancora peggio. - Mi disse. - Non dimenticherò mai il tempo che abbiamo trascorso insieme. >>
<< Dove andrai? >>
<< Andrò a cercare lavoro. Tra poco sarò maggiorenne. Affitterò un appartamento solo per me, lontano da qua. >>
<< Non voglio perdere ancora la ragazza che amo. Prima Caterina, adesso te... >>
<< Non può essere possibile per noi restare insieme e vivere come fratelli o amici ci farà solo stare male... >>
<< Addio, Nora. Se un giorno hai bisogno di aiuto, sai che potrai fare affidamento su di me. >>
Da quel giorno la mia vita continuò a declinare. Niente mi divertiva, ragion per cui non facevo altro che restare chiuso in camera mia, finché un giorno non pensai ad un gesto estremo. Quella mattina dissi a mia madre, ormai ripresa, che avrei passato la giornata insieme ad Angelo, quando in realtà mi recai vero un ponte che raggiunsi verso il tardo pomeriggio. Ero sul punto di lanciarmi nel vuoto, quando un barbone mi fermò.
<< Cos'hai intenzione di fare? >> Mi chiese.
<< È evidente, no? >>
<< Ascolta il consiglio di un vecchio che non ha più nulla da perdere, non farlo. Dimmi, credi in Dio? >>
<< La prego, non mi faccia uno di quei discorsi sul peccato, che l'unico peccato che credo esista sia quello occupare un ruolo inutile nel mondo. >>
<< Non intendevo dirti questo, perché so bene che queste cose che ci vengono spiegate sin da piccoli non sono vere. Sai, anch'io ogni giorno penso di farla finita, ma appunto so che è impossibile che ci sia qualcosa dopo la morte, quindi preferisco vivere, anche se in questo stato. Un giorno, magari, la fortuna girerà dalla mia parte. >>
Il suo discorso era convincente, ma la mia depressione era più forte di qualsiasi argomentazione contro il suicidio. Ma all'improvviso qualcuno da dietro mi allontanò dal bordo del ponte: era Angelo.
<< Cosa stavi facendo? - Esclamò basito. - Tua madre era in pensiero e le hai mentito. Torniamo a casa. >>
<< Scusa... Scusatemi tutti, sono stato troppo ingenuo. Aspetta però, devo salutare quel signore. >>
Magicamente, quando mi voltai, non vidi nessuno e, spaesato, tornai a casa. Avevo capito l'importanza della vita, ma la mia depressione non andò via.
Qualche anno dopo, con l'intento di riprendermi, decisi di cambiare aria e andai da mia sorella in Slovenia. Oggi, le cose non sono cambiate e ho deciso di condividere le pagine più buie della mia esistenza, tra un farmaco antidepressivo e l'altro.

Le pagine più buieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora