CAPITOLO 25

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La mattina seguente io e l'intera squadra ci recammo nella città in cui si sarebbe svolta la finale quella sera. Usufruimmo dello stadio che ci avrebbe ospitato anche per gli allenamenti pre-partita. Dissi al mister che quella mattina avrebbe cambiato idea e mi misi molte volte in primo piano, cosa insolita per me che ho se giocato sempre con umiltà, tanto che i miei interessi compagni rimasero stupiti dal mio atteggiamento.
<< Ti sei allenato ieri, giusto? >> Mi chiese il mister.
<< Perché? >>
<< Sei in ottime condizioni, ma è impossibile che un ragazzo determinato come te ieri si sia riposato tutto il tempo. >>
<< Beh, quindi posso giocare stasera? >>
<< No! >>
<< Per quale motivo? >>
<< Perché mi hai disobbedito. Tu sei uno dalla risposta pronta, ma quando ti ho chiesto se ti fossi allenato mi hai risposto facendomi un'altra domanda. Sapevi che la risposta mi avrebbe deluso, ma ormai ti conosco fin troppo bene. >>
<< Ma perché questa decisione? Penso che anche tutti i ragazzi vogliono che combatti con loro stasera. >>
<< Se decidessero loro non ci sarebbe un allenatore in questa squadra. Ascoltami Francesco, - disse alleggerendo notevolmente i toni. - non ho più niente da insegnarti. Presto il calcio professionistico ti accoglierà a braccia aperte e da quel momento i giocatori talentuosi come te hanno bisogno poco e nulla di un allenatore. L'ultima cosa che mi resta da insegnarti è come vivere la vita da calciatore. Potrai anche essere un prodigio, ma la disciplina viene prima di tutto. >>
Restai ammutolito dal saggio discorso del mister, che improvvisamente cambiò nuovamente il tono.
<< Pertanto, tu stasera resti in panchina per tutti i novanta minuti! >>
<< Capisco... >>
Non avevo più nulla da controbattere. Qualsiasi cosa sarebbe andata contro di me.
<< Vedi Francesco? - Mi dissi. - Quando qualcosa ti va bene, subito dopo qualcosa ti va male... Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo? Cosa? >>
Il mio pensiero andò immediatamente verso mia mamma, che, insieme a mio padre, sarebbe arrivata allo stadio per assistere alla finale, la partita che avrei dovuto giocare in modo perfetto, ma che in realtà non avrei giocato. Ero del tutto demoralizzato e neanche un messaggio molto affettuoso ricevuto poco dopo da Nora riuscì a risollevarmi.
Mentre ero in albergo con alcuni miei compagni, preso da un attacco di ira, scaraventai alcune cose per terra. Anche questa non era una mia usuale azione, ma sentivo l'esigenza di sfogare la mia delusione in un modo che nessuna persona potesse fare, senza gli inutili aiuti altrui.
La sera iniziò la partita. Ero seduto in panchina. Ancora non ci credevo. Non riuscivo a volgermi verso gli spalti: non volevo vedere la reazione di mia madre di fronte ad una delusione, secondo il mio punto di vista, del genere. Ormai non restava altro che assistere alla grande finale.

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