CAPITOLO 26

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La finale era iniziata e poiché avevo disobbedito al mister mi trovavo quindi in panchina. Era un traguardo storico per la mia squadra, che non aveva mai raggiunto la finale del campionato, ed io non potevo fare che assistere.
Avevo recuperato inutilmente in tempi record l'infortunio, la disgrazia minore che mi successe in quel periodo, vista la scomparsa della mia fidanzata Caterina e della sua famiglia a causa di un incidente. Aver incontrato Nora mi risollevò da quel dolore immane, come fece Caterina in seguito all'abbandono di mio padre. Tuttavia, l'unica cosa che mi avrebbe reso felice era inseguire il mio sogno, quello di diventare un calciatore, che avrei raggiunto facilmente se avessi figurato in finale. Però non potevo fare altro che assistere.
La mia squadra andò subito in svantaggio. Non potevo crederci. Guardai il mister come per dirgli "hai fatto un grosso errore a lasciarmi in panchina", ma era così occupato a dare indicazioni ai miei compagni che quasi non si rese conto della mia esistenza. La squadra non si demoralizzò per fortuna e passò immediatamente all'attacco e ottenne un calcio d'angolo. Alla sua battuta, il portiere avversario sbagliò l'uscita per respingere la sfera ed un attaccante si trovò ad un passo dalla porta, completamente libera. La palla arrivò verso di lui... Sbagliò clamorosamente. Tutti noi in panchina eravamo in piedi pronti ad esultare, ma ci dovemmo risedere delusi. Delusa, la squadra, non lo era, ma gli avversari ottennero il controllo della partita in men che non si dica. Verso la metà del primo tempo, dopo un lungo possesso palla, gli avversari crearono una pericolosa azione offensiva ed un difensore fu costretto a commettere un fallo. La decisione dell'arbitro fu clamorosa: cartellino rosso. Era un fallo al limite dell'area di rigore, ma non da ultimo uomo. In ogni caso, gli avversari conquistarono un calcio di punizione da una distanza molto utile per loro. Infatti arrivò il gol del raddoppio. Io rimasi completamente immobile, pietrificato, senza parole, con un senso di rammarico enorme: forse con me in campo tutto questo non sarebbe successo. Era tutta colpa mia. Avevo cominciato a pensare che avrei dovuto rassegnarmi ad una vita senza gioie e sarebbe stato meglio anche lasciare Nora per evitare un'altra delusione. Ma mi tolsi subito dalla testa questo pensiero e godermi la felicità che mi dava finché sarebbe durata.
Nei restanti minuti del primo tempo, la mia squadra non faceva altro che contenere la serie di attacchi da parte degli avversari che fortunatamente non segnarono ancora.

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