CAPITOLO 14

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Arrivato al palazzo dove vivevo, vidi mio padre (ormai mi sto rassegnando a chiamarlo così) aspettarmi in auto.
<< Oggi hai gli allenamenti, vero? - Disse. - Vuoi che ti accompagni? >>
<< Non ho bisogno di te. >>
<< Dai, fammi ripagare in qualche modo. >>
<< Vorresti ripagare anni di assenza offrendomi un passaggio? Tu sì che sai fare il genitore. >>
<< Sto espiando le mie colpe. E poi, da quanto ho capito, anche tua madre ha dimenticato come fare il genitore. Non voglio lasciarti solo, Francesco. >>
<< Bel discorso, peccato che sia stato fatto da una persona che non mi calcola più da tre anni. È meglio che salga a casa, ho fame. >>
<< Già sai che il pranzo non è stato preparato da me? >>
<< Dio, perché mamma non impara a stare zitta(?)! >>
<< Sto solo interessandomi a te, lei non c'entra nulla. >>
<< Sei divertente però. Domenica le davi della poco di buono e oggi la difendi... Cosa si fa per stare sereni. >>
<< "Stare sereni"... Ormai non so neanche più com'è fatta la serenità. >>
<< Com'è facile parlare... Ti saluto, puoi salire quando io me ne andrò. >>
Stranamente rispettò la mia scelta e non fece storie. Possibile mai che sia cambiato? In ogni caso, aspettò nella sua automobile finché io non uscii di casa e non mi chiese nuovamente se volessi un suo passaggio. Camminai velocemente per non sentire i suoi passi diretti verso il portone del palazzo e senza rendermene conto mi ritrovai a pochi metri dalla casa di Nora. Le telefonai e le chiesi se fosse pronta per assistere ai miei allenamenti. Non lo era e allora mi propose di salire a casa sua.
<< Tuo padre non c'è? >> Chiesi dopo essere entrato.
<< Oggi ha avuto un impegno lavorativo e ritornerà direttamente stasera. - Rispose. - Vado a cambiarmi, fa' tranquillamente come se fossi a casa tua. >>
Mi sedetti sul famoso divano mentre lei era in camera sua, la cui porta era semichiusa. Arrivò una notifica al suo telefono, poggiato sul tavolino su cui si trovava un televisore, distante un paio di metri dal divano. Ero tentato di sbirciare, ma non mi ero mai permesso di fare una cosa del genere, neanche con Caterina. Probabilmente era una tentazione scaturita dalla noia, visto il lungo tempo che Nora stava impiegando per vestirsi. Ella uscì da camera sua e alla mia vista apparve quasi una visione. Indossava un top sportivo e un paio di leggings, quest'abbinamento metteva in risalto il suo fisico al dir poco perfetto, divino. E aveva i capelli raccolti in uno chignon, in modo da avere il volto libero dalle ciocche che solitamente ne occupava una parte, così spiccavano ancor di più i suoi favolosi occhioni, belli come una stella che esplode, ma allo stesso tempo tristi, perché dietro allo spettacolo che offre quel corpo celeste c'è la sua morte.
<< Se non sei troppo stanco dopo gli allenamenti ci facciamo una corsetta? >> Propose.
<< Senza dubbio. - Risposi. - Non sapevo fossi una persona atletica. >>
<< Hai ancora tanto da sapere su di me. >> Mi disse mentre mi accarezzava quel piccolo e sottile strato di barba che avevo in faccia all'epoca.
Gli allenamenti furono molto intensi, ma la squadra non era affatto stanca sebbene la dura prova della domenica precedente. Avevamo a disposizione una seduta quel martedì e una il giorno successivo, una doppia seduta il venerdì seguente, per poi riposare il giorno prima della finale. In quei tre giorni dovevamo definire schemi e tattiche e cercare di migliorarci. Avremmo dovuto fare la partita perfetta, come ci dice ogni volta il mister, ma per la finale non avremmo dovuto commettere neanche mezzo errore. Non ho mai condiviso il concetto di perfezione che viene attribuito dalle persone. La perfezione, come dicono in molti, non esiste ed è qui forse che tutti si sbagliano: la perfezione esiste, ma è irraggiungibile. Il problema è che vivendo col preconcetto che non esiste, nessuno le ha mai dato una forma, un'immagine. Ma se ce l'ha? Ecco, ce l'ha, ma essendo perfetta è perfezionabile, perché la perfezione è irraggiungibile. Per questo ho sempre creduto che se avessi mai raggiunto il sogno della mia vita, quello di diventare un calciatore, non avrei mai potuto completarlo con una carriera da allenatore: se i miei calciatori avessero fatto una partita "perfetta", avrei trovato comunque qualche imperfezione. Questo pensiero lo sviluppai molto precocemente, ma in ogni caso, il mio obiettivo, per ogni partita e per qualsiasi altra cosa, era dare il meglio di me e per la finale avrei dovuto superare ogni mio limite.

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