Calciai il calcio d'angolo e finalmente lasciai l'impronta in quella gara: avevo fornito un assist e il distacco si ridusse. Eravamo tutti contenti, rimontare il risultato era davvero fattibile. Ma la nostra gioia fu strappata dal fischio dell'arbitro che aveva notato un fallo in attacco. Inutili le proteste del nostro marcatore, che calmai io stesso con la mia aria fiera. Tutti, però, captarono qualcosa di diverso in me e ciò demoralizzò la squadra. Io non mi ero arreso e non avevo intenzione di farlo. Si dice che gli occhi siano lo specchio dell'anima e i miei compagni conoscono bene gli occhi fiduciosi del loro leader. Quello che non poteva vederli ero io, ma tutta la squadra aveva capito dai miei occhi come sarebbe andata a finire. Non potevo abbattermi. Correvo tutto il tempo, cercavo la soluzione a rete appena possibile, altrimenti cercavo di passare la palla a qualche compagno che aveva più chance, dribblavo, pressavo e all'occorrenza scalavo anche nella linea difensiva. Tutto inutile però, la squadra era priva di animo e il cronometro non era dalla nostra parte. Durante i minuti di recupero ero ormai spazientito e tentai una conclusione da centrocampo, scaricando tutta la rabbia e la tensione sul pallone che finì di metri e metri oltre la traversa. Mi gettai a terra. Mi scese qualche lacrima. Era il segno della nostra e della mia sconfitta. Era il segno di un'inevitabile declino. Un calciatore non diventerà mai grande se non impara subito a restare concentrato in campo.
Triplice fischio. Il mister ci applaudì, mentre io mi diressi velocemente negli spogliatoi per uscire dallo stadio il più presto possibile e ritornare a casa, il luogo dove avrebbe sicuramente avuto inizio un nuovo calvario. Fuori al cancello dello stadio mi attendeva un giornalista del mio paese, intento a farmi qualche domanda da riportare nel giornale locale, ma non rilasciai alcuna dichiarazione.
Ritornai a casa. Fermai subito mia madre che cercava qualche parola per tirarmi su di morale e le chiesi cosa fosse successo allo stadio.
<< Per spiegarti questo, devo andare un po' più indietro nel tempo, precisamente al ritorno di tuo padre. -Mi disse. - Ecco, vedi, come sai chiesi il divorzio perché avevo saputo dell'esistenza di sua figlia, ma quando lui tornò, spiegò che la madre era morta e non aveva più nulla a che fare con la figlia. Gli avevo concesso la possibilità di stare con noi, ma, anche se non te l'ho mai detto, ero un po' titubante... Non so se hai mai avvertito questa cosa dalle mie espressioni, tuttavia... >>
<< Tuttavia? >>
Il telefono di mia madre squillò.
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Le pagine più buie
General FictionIl viaggio psicologico attraverso la mente di un giovane aspirante calciatore, che, già segnato dagli eventi vissuti durante l'infanzia e l'adolescenza, vivrà diverse importanti svolte nella sua vita. Riuscirà a realizzare il suo sogno e, soprattutt...