CAPITOLO 12

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Spiegai a Nora il funzionamento della scuola che frequentavo poiché l'indomani lei sarebbe stata una sua nuova studentessa, i caratteri dei professori e dei compagni di classe.
<< È un cambiamento radicale, ma tranquilla tutto andrà bene. >> La rassicurai, mentre parlavamo sul divano su cui fui portato quando svenni di fronte casa mia. Non ho mai avuto il coraggio di chiedere come vi ero finito: mi bastava sapere che qualcuno ebbe avuto la sensibilità di soccorrere un ragazzo svenuto per terra, magari un passante che viveva in quel palazzo o il suo stesso padre, ma di certo non il mio. Di certo è strano che mi portarono a casa di Nora e non chiamarono i soccorsi.
<< Non credo che avrò problemi con la scuola, non ho difficoltà in questo campo, - disse Nora fieramente. - è che non ho nessuno qui, se non te. >>
Su di lei c'era un sorriso unito ad un po' di tristezza. La tristezza causata dallo scarso numero di amici, ma il sorriso che le soppiantò quando poi mi guardò come si guarda una figura da venerare, mentre mi accarezzava la gamba, dal ginocchio in su. Non era una carezza che dava affetto, come quella che mi diede in precedenza, ma il contrario. Ero il suo unico amico e desiderava quell'affetto che poteva ottenere solamente tramite un contatto fisico. Quel contatto però mi suscitò parecchio imbarazzo. Mi stava solo toccando la gamba ma era da tempo che non avevo accanto, così accanto a me, una ragazza come lei e mi venne in mente quella foto che mi aveva mandato mentre ero a scuola. L'imbarazzo stava svanendo e si stava trasformando in altro: avevo appena capito che per lei provavo una forte, fortissima, attrazione fisica. Il mio cuore apparteneva sempre a Caterina, ma d'altro canto ho sempre saputo riconoscere la bellezza femminile. Questa volta era diverso. Riconoscere la bellezza femminile non è avere l'istinto di avere una ragazza tutta per sé e lasciarsi andare alla passione. Non sapevo più come comportarmi. È impensabile che in un mondo così avanti mentalmente si possa vivere qualcosa di così grande per così poco. Ma era così. Dentro di me vi era battaglia: il cuore che era di Caterina, la mente che mi suggeriva di aspettare perché la situazione familiare era più importante e l'istinto che voleva che baciassi Nora. A salvarmi fu il suo telefono, sul quale arrivò un messaggio da parte del padre per avvisarle che stava arrivando a casa.
<< Credo tu debba andare. >> Mi disse dispiaciuta. Ormai era ora di cena e in ogni caso sarei dovuto ritornare a casa, sperando che il motivo per cui me n'ero andato non ci fosse più.
<< Non vuole che resti a casa sola con un ragazzo o cosa? >> Chiesi ironicamente.
<< È pur sempre un padre che ha abbandonato la figlia, ti pare che si preoccupi delle sue amicizie (?) - rispose lei, tutt'altro che ironicamente, ma con ira, quella rivolta verso il padre. - Gli dà solo fastidio che entrino estranei a casa, ma non gli ho mai chiesto il perché. >>
<< Va bene, allora ci vediamo domani. >>
Ci salutammo, lei mi abbracciò forte e andai via. Per rincasare, preferii percorrere un tragitto più lungo, avendo così più possibilità di non trovare mio padre a casa e di non incontrarlo lungo la strada in caso andasse nuovamente nel bar in cui lo vidi compare le sigarette. Bussai alla porta di casa e ad aprirmi fu mia madre.
<< È andato via poco fa. - Disse con una strana espressione. Stavo per chiederle cosa l'avesse turbata, ma riprese a parlare. - Tu invece dove sei stato? >>
<< A casa di... un mio amico... >>
Ancora oggi non conosco il motivo, ma non le dissi la verità. Forse perché il mio cuore voleva dimenticare quello che avevo provato per Nora. Forse perché mi stavo separando definitivamente dalla mia famiglia. Forse perché ormai lai mia vita andava così, a caso.
<< Di un tuo amico? >>
<< Uno ne ho. Lui. >>
<< Non ti ho chiesto da chi, volevo solo che fossi convinto di quello che dicevi. >>
Non avevo mai mentito a mia madre prima di quel giorno e non capivo se aveva intuito che avessi mentito o era semplicemente fredda, magari a causa di quel fatto che le aveva cambiato l'espressione facciale.
<< Vuoi che ti scaldi la cena? Ormai si è raffreddata. >> Mi chiese.
<< Se l'ha cucinata lui puoi anche buttarla. >>
Ora che ci penso, dovevo rifiutare la cena anche se l'avesse cucinata mia madre dal momento in cui le avevo nascosto la verità. Sarebbe stata una questione di coerenza, o dovevo essere del tutto indipendente o dovevo essere il ragazzo che ero fino alla giornata della semifinale. Tuttavia non sapevo più cosa volevo nella mia vita, sapevo solo cosa non volevo: mio padre.
<< Allora fatti una doccia e vai a dormire. >> Disse mia madre, quasi come un ordine.
<< Meglio così, domani ho anche gli allenamenti. Sarà una lunga giornata, è meglio riposarmi a lungo. >>
<< Dovresti anche mangiare, altrimenti non ci arrivi neanche agli allenamenti. Ma ognuno è artefice del proprio destino. >>
<< Domani mangerò. >>
<< Mi sa che anche domani ti vedrò solo per il pranzo, vero?>>
<< Purtroppo sì, ma come hai detto tu stessa ognuno è artefice del proprio destino. >>

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