CAPITOLO 7

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Mi spostai in camera mia e feci un cenno a mia madre di seguirmi. Le chiesi di spiegarmi cosa fosse successo. Mio padre aveva giurato di ripagare economicamente quello che ci spettava durante la sua assenza, in cambio di potersi accomodare in casa quando voleva, con la premessa che era felice con la sua famiglia trasferitasi in paese, ma sentiva l'obbligo morale di saldare il "debito" che aveva con noi.
<< Sì, ma ora è lì perché attende una tua risposta, giusto? >>
<< Veramente ora è lì perché ho accettato... >>
<< Senza chiedermi se sono d'accordo? >>
<< Ragiona, ci darà dei soldi e già gli ho detto che quando sarà qui dovrà aiutarmi con le faccende domestiche, così non mi si accumulerà troppa fatica. Dopotutto la sera ritornerà a casa sua, di certo non dormirà qui. >>
<< Beh tanto vale gli consentivi anche di dormire insieme a te. >>
<< Da quando mi rispondi così? >>
Mia madre restò delusa, più che arrabbiata, dal modo sfacciato col quale le ho risposto. Ma anch'io ero molto deluso, forse arrabbiato, dalla sua decisone.
<< Pensavo che da oggi potessero giocare tutti con la tua dignità. >> Le risposi con una tale arroganza (mai avuta fino ai quei tempi) che magari poteva pensare che quel ragazzi non fossi io.
<< Basta, hai raggiunto il limite! Non sei mai a casa tra scuola, allenamenti e partite, non ti cambierà nulla. >>
<< Bene, da ora qui dentro ci sarò ancora meno! >> Conclusi prima di chiudermi in bagno.
Terminata la doccia, restai fermo all'uscio della cucina, dove mia madre leggeva una rivista e suo marito (faccio sempre più fatica a chiamarlo padre) cucinava. Mi dispiacque averla trattata così, dopotutto è la donna a cui devo tutto. Poi ricordai quando stamattina le dissi che sarei tornato vincitore - sembra essere passata un'eternità - e nonostante sapeva che fossi tornato in campo dopo un infortunio, non mi chiese né l'esito della partita né come mi sentissi fisicamente, così mi chiusi in camera mia al dir poco infuriato. Non mi riconoscevo più, non mi era mai capitato di essermi imbestialito così tante volte in una giornata. Speravo che solo parlare con il mio unico amico, nonché compagno di banco, Angelo, potesse distrarmi un po'. Quando però stavo per rispondere al suo messaggio dove mi chiedeva come fosse andata la parita, notai sotto ad esso la chat con Nora e aprii questa piuttosto che l'altra. Da quel << ciao >> che le scrissi, cominciò una lunga conversazione che non aveva intenzione di terminare. Seppi altre di cose di lei, come il fatto che l'ultimo mese scarso di scuola, l'avrebbe vissuto nella mio stesso istituto e che dal martedì seguente (quindi due giorni dopo il racconto di questa domenica) saremmo stati compagni di classe... Che strana la vita. Decisi di non cenare quella sera, pur di non vedere il volto di mio padre. Quella sera apparteneva solo a me e a Nora.

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