Epilogo ⅘

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14 novembre 2017
Anita

<<Sto uscendo, mamma!>> Esclamai, dirigendomi verso la porta.

<<D'accordo! Stai attenta.>>

Chiudendomi la porta alle spalle, iniziai a scendere i gradini di corsa per evitare di arrivare ulteriormente tardi all'appuntamento con Lucia. Ci saremmo dovute incontrare venti minuti fa, ma io mi ero addormentata e mamma, giustamente, aveva pensato di lasciarmi dormire.

Ora, con il telefono in mano e gli occhiali appannati per via del calore che la sciarpe emanava, cercavo di arrivare al bar dove io e Lucia ci saremo dovute incontrare. Io e lei ci eravamo incontrate sull'autobus, cercando di capire dove andare per raggiungere la facoltà di lettere. Stavo studiando letteratura e storia perché mi sarebbe piaciuto fare uno di quei lavori che riguardano gli scavi, le scoperte e, appunto, la storia.

Fin da liceo adoravo quella materia, e mi ero ripromessa di laurearmi in storia.

Il telefono mi squillò poco prima di attraversare la strada per superare la piazza che mi avrebbe portata al bar, dopo soli cinque minuti. <<Luce?>>

<<Dove sei, An?>> La sua voce era scocciata e dal rumore intorno, dedussi che fosse uscita dal bar per aspettarmi.

Mi fermai al semaforo per attraversare, essendo scattato il rosso per i pedoni, e sbuffai. <<Sto arrivando, non mettermi ansia.>>

<<Sei già in ritardo.>>

<<Lo so.>>

<<Se non sei qui in cinque minuti...>>

Qualcosa dalla strada accanto catturò la mia attenzione, così voltai lo sguardo, curandomi poco del telefono. Una serie di negozi, uno accanto all'altro, con ognuno caratteristiche diverse, aveva acceso le luci per il buio imminente, ma non fu quello a distrarmi.

La scritta "Ricci's Motori", a led, si illuminò varie volte come a volermi attirare, per l'ennesima volta. Ero solita passare davanti alla sua officina - o meglio, a quella del padre - ma non mi ci fermavo da mesi, ormai.

Ricordavo che all'inizio, quando passavo di qui, mi era sempre venuto il dubbio di salutarlo o meno, e quel giorno che lo feci - il primo e ultimo giorno, praticamente - ci restai davvero male.

Avevo bussato alla saracinesca e, non avendo ricevuto risposta, mi ero chinata ed ero entrata. Guardandomi intorno, avevo notato che c'era molto da fare in quell'officina, tra cui sistemare le pareti, essendo di un colore davvero, ma davvero sgradevole. C'erano due macchine ed una moto che attendevano di essere riparate; una delle macchine (non ne sapevo il nome, non essendo troppo appassionata), aveva il cofano aperto e così avevo deciso di avvicinarmi per dare un'occhiata.

Inutile dire che per me, tutto quello che era lì dentro, fosse niente di meno che un groviglio di ferro e aggeggi inutili. Quando feci per allungare una mano verso un oggetto appuntito, una voce profonda mi sorprese, spaventandomi. <<Che ci fai qui? Non hai visto che la serranda era chiusa?>>

Sobbalzando , mi girai e feci qualche passo indietro. <<Io... mi scusi, signore. Sono Anita, un'amica di...>>

<<So chi sei. Ma la mia domanda era un'altra>> in quel momento, dall'altezza e i lineamenti del viso, capii che quello fosse il signor Ricci, il padre di Mirko. <<Esci da qui.>>

Aggrottando la fronte, indietreggiai ancora. <<Mi scusi, non pensavo di recare così tanto disturbo.>>

L'uomo mi guardò in silenzio, quindi sospirò e mi disse: <<Non tornare di nuovo.>>

Confusa e davvero tanto ferita, arrossii fino alla punta dei piedi. <<Scusi?>>

<<Mirko ci ha parlato di te, ma non ci interessa. Lui deve concentrarsi sul lavoro e non ha bisogno di distrazioni o di perdite di tempo.>>

Nonostante fosse un uomo abbastanza avanti con l'età, questo non mi impedì di rispondergli, restando sempre educata. <<Non crede che suo figlio dovrebbe scegliere cosa fare?>>

<<Credo che troveresti farti i fatti tuoi, tanto per cominciare. E poi ti ho detto di andartene.>>

<<Come vuole>> dissi io, esasperata, dirigendomi verso la saracinesca.

Mentre uscivo in strada, però, avevo sentito la voce di Mirko dire: <<Con chi parlavi?>>

Infastidita e sempre più nervosa, ero tornata sui miei passi verso casa.

***

La voce di Lucia tolse la mia attenzione dai miei pensieri e sospirai. <<Sei ancora lì? Muoviti, Anita!>>

<<Sto arrivando! Ho appena attraversato, okay? Tre minuti e sono da te.>>

Le attaccai in faccia, senza neanche pensare a qualcosa da dirle per salutarla.

Ripensare a quel giorno mi faceva nascere un sentimento contrastante nel petto, in quanto negli ultimi giorni a Santorini, avevo notato una certa connessione tra di noi e separarci, nonostante io fossi abbastanza apatica, mi aveva fatta sentire triste.

Ed ora, saperlo così vicino senza poterlo vedere, mi lasciava un amaro in bocca. Amaro perché io avevo dato ascolto al padre di Mirko, non cercandolo, ma anche il ragazzo non aveva fatto nulla per contattarmi. Questo, più di tutto, mi aveva ferita.

Però, ad essere onesta, la persona che mi mancava più di tutti era Eva. Ora si trovava a Napoli, a studiare ciò che amava, ed io non potevo esserne più felice, ma... lei era la mia migliore amica. Sì, volevo un bene dell'anima anche alle altre ragazze, ma con Eva era tutto diverso. Non negavo il fatto che ogni tanto, ma davvero di rado, ci sentivamo solo io e lei, però non era la stessa cosa.

Io e lei parlavamo di tutto e di più, di niente e di poco. Eravamo come lo Ying e lo Yang. Ora, era come se mi avessero staccato la metà di me. Vorreste mai dividere Ficarra e Picone? Aldo, Giovanni e Giacomo? Thor e martello o Captain America e il suo scudo? Ecco, io mi sentivo come se non avessi più la parte che mi completasse.

Quando finalmente raggiunsi il bar, Lucia mi aspettava di fuori con le braccia incrociate al petto e il cappello che le copriva la fronte. <<Ciao>> le sorrisi.

<<Ce l'hai fatta. Muoviti, i libri sono dentro e sto congelando>> entrò senza neanche aspettarmi, così sbuffai e la seguii.

Una volta al tavolo, notai che c'era una persona in più e roteai gli occhi nel vedere che fosse Tommaso, il ragazzo di Lucia. Non lo sopportavo, e non solo perché tendeva ad ignorarmi, ma anche perché faceva sempre dei commenti che mi facevano incavolare sul mio aspetto fisico.

<<Finalmente è arrivata, la diva>> commentò Tommaso, sorridendomi arrogante, ma non come faceva Natalia, per prenderti in giro, ma proprio per fare lo stronzo.

<<Non sapevo ci fossi anche tu>> sentenziai io, sbuffando e sedendomi accanto a Lucia.

Fu proprio lei a rispondermi. <<Ci hai messo un botto di tempo, grazie a Dio è venuto a farmi compagnia.>>

<<Ringraziamo il signore>> borbottai, tirando fuori il libro.

Mentre i due si misero a parlare, ignorandomi, sbuffai e tirai fuori il libro, mentre iniziai a leggere cercando di non distrarmi per le loro chiacchiere. Assurdo come la gente fosse così incoerente da rompere le scatole per un ritardo, ma poi perdere altro tempo.

In quel momento mi arrivò un messaggio da WhatsApp, da Eva. Quando aprii la chat, trovai un selfie di lei che faceva la linguaccia e il segno della pace, con Leo accanto che tirava fuori la lingua e faceva il segno del Rock 'n' Roll.

Sorrisi, pensando a quanto fossero felici insieme e a quanto io fossi contenta per Eva. Si meritava un po' di felicità nella sua vita.

Spegnendo il telefono, poggiai il mento sul palmo della mano e, per la milionesima volta in quella giornata, sospirai pensando: anche io merito un po' di felicità.





The Last Wave. Cavalca l'Onda IDove le storie prendono vita. Scoprilo ora