Epilogo ⅕

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22 Dicembre 2017
Natalia

<<Emma, se adesso non vieni di qua, ti spacco in due!>>

La voce soave e assolutamente dolce di mia madre arrivò da dietro la porta d'ingresso e mi battei una mano in fronte, pensando a quanto incasinata fosse la mia famiglia.

Non mi sarebbe importato molto, considerando che non era assolutamente la prima volta che sentivo delle urla da dietro la porta. Ci avevo fatto l'abitudine, così come tutti quelli del palazzo.

<<Usi le chiavi o...?>>

Mi importava, principalmente, perché Kyros era qui con me per presentarsi ufficialmente alla mia famiglia.

Lo conoscevano, ovviamente, ma solo da video chiamate o cose del genere, visto che era impegnato con il lavoro per aiutare la madre. Ora che il locale era chiuso, però, era stato libero di raggiungermi a Roma. Avevo provato a chiedere qualche volta ai miei genitori il permesso di andare a trovarlo, ma inutile dire che me l'avessero negato.

Diciamo che era papà ad averlo negato, ecco.

Girandomi verso di lui, gli sorrisi e feci spallucce, riposando le chiavi in tasca. <<Sai cosa? Mettiamogli più ansia.>>

Rise piano anche lui, poi afferrò la mano e si portò il dorso alle labbra, baciandolo. <<E tu che dicevi che non ne valeva la pena, eh?!>>

Lo spinsi, ridendo piano. <<Non cantare vittoria, idiota, ti ricordo che siamo insieme da soli cinque mesi.>>

<<Ed io, agapi>> mi diede un puffetto sul naso, <<voglio ricordarti che molti matrimoni durano meno.>>

Gli diedi uno schiaffo sul braccio e quando feci per suonare, lui mi afferrò il polso e se lo portò al petto, baciandomi poi con foga. <<Ti amo.>>

Sentire quelle parole così, all'improvviso, mi fece battere forte il cuore.

Ricordavo che tre mesi prima, verso fine settembre, fosse venuto a trovarmi all'università Roma Tre e fummo andati a pranzo insieme. Gli mostrai Roma, quello che si poteva fare in metà giornata, e lui restò ammaliato dalla mia patria. Lo portai a vedere San Pietro, Piazza di Spagna e da lì gli feci vedere la Terrazza del Pincio e subito dopo andammo a Villa Borghese. Lì, stesi sul prato a ridere e a fare i cretini, cercando di evitare le pallonate di quelli che giocavano a calcio, disse per la prima volta di amarmi.

Io non l'avevo preso sul serio, perché non sapevo neanche bene quello che provavo, ma lui mi amava e mi aveva detto: <<Non mi importa se tu non lo dici indietro. Io ti amo comunque. Ti amo e non mi spiego perché, ma...>> mi prese la mano, portandola al petto. <<Ti vedo e il mio cuore impazzisce. Ti penso e impazzisco. Io... mi sveglio la mattina pensando che mi manchi da morire.>>

<<Oh, mio Dio>> avevo sussurrato, arrossendo e mettendomi con i gomiti sull'erba, per guardarlo bene. <Kyros...>>

<<Non chiedermi come sia possibile amare una persona in così poco tempo. Sai, sono sempre stato dell'idea che per innamorarsi non ci volesse nulla, ma per amare era tutta un'altra storia. Comunque>> rise piano, agitato, <<so di amarti, perché non riesco ad immaginare un futuro senza di te; e so di amarti, perché non riesco a spiegare il casino che succede nel mio cuore, nella mia mente e nel mio stomaco anche solo quando penso a te.>>

Allora, quelle parole mia avevano emozionata tanto quanto agitata. Nessun uomo, o ragazzo, all'infuori di mio padre mi aveva detto di amarmi. Certo, un amore diverso, ma comunque amore. Quindi, sentire quella parole da Kyros, il mio ragazzo, mi avevano messo un po' paura.

The Last Wave. Cavalca l'Onda IDove le storie prendono vita. Scoprilo ora