~ Capitolo 14~

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Pov Emanuele

Mi sveglio di soprassalto grazie ad un tocco fermo sul braccio.

Apro gli occhi istantaneamente e mi guardo attorno frastornato.

Quando costato che non c'è nessuno che mi vuole uccidere emetto un mugolio strofinandomi gli occhi.

"Signor Giaccari deve scendere. Siamo arrivati a destinazione" mi dice con voce morbida una donna togliendo la mano dalla mia spalla.

Mi giro di scatto verso di lei non avendola notata prima e le sorrido scusandomi.

"Mi scusi, di solito non mi addormento mai"
Le dico io alzandomi e massaggianomi la tempia.

"Oh non si preoccupi, non è l'unico a dormire in treno. Vedrà quante altre persone ci sono come lei sugli altri vagoni" afferma ridacchiando e con un sorriso gentile se ne va.

Mi metto in piedi per bene e comincio a camminare verso l'uscita della locomotiva.

Sto per passare le porte quando noto una signora all'apice dell'altro vagone prendere una valigia molto grande e sicuramente altrettanto pesante.

Con buona educazione insegnatami da mia madre mi dirigo verso la donna e con un grande e soddisfatto sorriso l'aiuto.

"Oh mio dio grazie mille" mi dice lei sospirando

"Non si preo-"

"o. Mio. Dio." dice una voce bassa soffermandosi su ogni parola.

Mi giro e noto una ragazzina d appena 15 anni che mi osserva con occhi spalancati.

"Lele. O mio dio non ci posso credere" dice lei con tono di voce più alto e si affretta per venire ad abbracciarmi.

Sorriso estasiato da quanto questa ragazza sia rimasta sconvolta dalla mia presenza e l'abbraccio stretta a mia volta mentre sul volto della madre compare un cipiglio.

Oddio cosa sta a pensa mo?

Mi stacco piano schiarendomi la voce
"Ora dovrei andare. Ciao..." dico allungando la vocale nell'ultima parola per sapere il suo nome.

"Luna. Mi chiamo Luna" mi dice continuando a sorridere.

"Bè, ciao Luna. Arrivederci signora"

"Ciao Lè, e grazie" mi dice e con un sorriso si gira verso la madre che non attendeva altro.

"Quello è il famoso Lele eh? Bè i giovani d'oggi fanno scintille" doce noncurante

"MAMMA!" le risponde la figlia sconvolta facendola ridacchiare.

Esco dal treno rosso come un peperone e balbetto un po' nel chiamare il taxi.

Ci metto 10 minuti per arrivare a casa mia e quando sono lí fuori il malessere della mattina mi prende istantaneamente al petto.

Busso alla porta due volte.

Due colpi. Un suono.

Due persone. Un cuore.

Perché sono così poetico?

*patetico vorrai dire* mi dice la coscienza e io annuisco.

Viene ad aprire mia madre ovviamente e appena mi vene spalanca gli occhi incredula.

"Lele! Amore mio che ci fai qua?" mi chiede e io mi butto tra le sue braccia trattenendo le lacrime a stento.

"Devo parlarti. È importante" le dico diretto e in ansia per quello che potrebbe pensare di me.

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