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Lydia.

Eravamo quasi arrivati in ospedale, e Daniel non si era ancora svegliato. Continuavo imperterrita a stringere la sua mano, e a sperare che si potesse salvare. Avevo il terrore di perderlo per sempre, e sarebbe stata solo colpa mia. Il mio telefono era squillato almeno una decina di volte, ma non ci feci molto caso. Avevo lasciato Julie da sola, ma non avrei mai lasciato Daniel, non più. Non mi importava più del legame di parentela, non mi importava più di niente; del fatto che se ne fosse andato e mi avesse lasciata sola, delle mille bugie, non mi importava di niente. Riuscivo solo a tenere lo sguardo fisso tra i suoi occhi chiusi e a pregare che stesse bene.
Mancava davvero poco per arrivare all'ospedale ed i paramedici non facevano altro che urlare di andare più forte.
« La pressione sanguigna sta scendendo! Bisogna rianimare!» urlò un paramedico. Mi fecero spostare e lo preparano alla rianimazione. Io ero completamente sotto shock. Non potevo perderlo, non potevo permettermi di perderlo.
« Caricate a 150! » disse.
Daniel venne scosso ripetutamente dal macchinario, ma non rispondeva. C'era solo una linea sottile sul monitor che segnava che il battito non c'era più.
« Daniel, ti prego.» riuscii a dire. Singhiozzavo e non riuscivo neppure a parlare; mi tenevano ferma mentre gli altri medici cercavano di salvargli la vita.
«Caricate a 200!»
Un'altra scossa lo fece quasi alzare dal lettino e poco dopo sentii un battito lento che proveniva dal macchinario.
Era il suo cuore, il suo cuore batteva ancora.
« Ritmo sinusale.» dissero, tirando un piccolo sospiro di sollievo. Strinsi le sue mani, e lo baciai sulla fronte.
« Resisti ancora un po', siamo arrivati. Ti rimetteranno in sesto e tornerai da me. Perché io non vivo senza di te.» sussurrai. Avevo gli occhi arrossati e gonfi, non riuscivo a smettere di piangere.
Capii che eravamo arrivati quando sentii scendere il paramedico e aprire lo sportello per farlo scendere dall'ambulanza. Non lasciai neppure per un istante la sua mano, fin quando non fui costretta.
« Signorina, deve essere operato. Probabilmente ha un polmone bucato, bisogna richiuderlo immediatamente!» mi disse una dottoressa. Non riuscii neppure ad annuire, continuai a fissarlo steso su quel lettino d'ospedale. Il mio sguardo era spento, riuscii solo a sussurrare:
« Salvatelo, vi prego.»
Lei annuii ed entrò dentro la sala operatoria, chiudendomi la porta in faccia.
« Lo amo, quindi salvatelo.» mormorai, ma lei non mi sentii. Rimasi lì per un quantitativo impreciso di tempo, forse ore o minuti, ma poco dopo vidi Julie e Thomas avvicinarsi a me. Non fecero altro che abbracciarmi, ma non sentii niente. Era come essere morta, come se non riuscissi a provare più emozioni positive, ma solo tristezza e dolore. Ero morta dentro.
Julie mi fece sedere su delle sedie in una specie di sala d'aspetto e aspettammo. Aspettammo ore, ma non avevamo nessuna notizia, nessuna notizia. Non sapevo se fosse vivo o morto e quella cosa mi uccideva più di qualunque altra cosa. Julie aveva le lacrime agli occhi; sapevo che non aveva un ottimo rapporto con Daniel ma sapevo anche che teneva a lui. Thomas invece stava con la testa chinata, e sussurrava alcune parole che non riuscii a capire.
Una porta che sbatteva mi fece alzare di botto; era la dottoressa di prima.
Mi avvicinai a lei, e pregai con tutta la speranza che avevo in corpo che fosse andato tutto bene, ma non fu proprio così.
« Daniel è vivo!» mi disse. Questo mi fece fare un grosso sospiro di sollievo, ma sapevo che non era tutto.
« Durante l'impatto, ha battuto probabilmente abbastanza forte da procurasi un trauma cranico. Per il momento non c'è sanguinamento, ma potrebbe non svegliarsi. Dobbiamo aspettare solo domani.» disse.
Potrebbe non svegliarsi.
Trauma cranico.
Quelle parole si ripetettero nel mio cervello infinite volte.
Non riuscii a dire una parola.
« Vi consiglio di andare a casa a riposare, è stata una nottata dura.» suggerì la dottoressa?
Andare a casa?
A riposare?
Mi prendeva per il culo?
« Lui è la mia casa, quindi non vedo perché andare via.» dissi assente. Mi forzò un sorriso e mi diede le spalle.
Erano le quattro e mezza di mattina, avrei aspettato lì anche anni, ma non sarei andata altrove. Mi sedetti sulla sedia e continuai a fissare il vuoto;
Pensavo che l'amore fosse solo un sentimento come tutti gli altri, ma non era così. L'amore non esisteva per renderci felici. Io credevo che esistesse per dimostrare quanto fosse potente la nostra capacità di sopportare il dolore. Io e Daniel ci eravamo persi per riprenderci, ci eravamo scelti per non sceglierci. Anche tra mille anni saremmo ancora lì, a fissarci, a baciarci, a toccare le nostre anime intrecciate. Eravamo eterni, eterni come il destino, come Apollo e Dafne e come Amore e Psiche. L'avrei amato per tutta quanta l'eternità, avrei sempre scelto lui. L'amai ancora prima che lo sapessi, ancora prima che sapessi cosa significasse il termine 'amore', ancora prima che lo conoscessi, ancora prima del mondo. Il mio cuore l'aveva amato dal primo momento, e l'avrebbe amato per sempre, fin quando esisterà il sole, la luna, le stelle; l'universo.
Se il suo mondo dovesse crollare, gli regalerei il mio. Perchè? Perché l'amore vero è così; semplice, improvviso, incredibile, assurdo, spaventoso, meraviglioso. Da toglierti il fiato e farti volare. Da farti staccare i piedi da terra e farti cambiare il modo di osservare le cose. Non avevo mai smesso di guardarlo in silenzio, fissare ogni suo piccolo particolare, da dietro perché era così che guardavo le persone che ammiravo.
Ricordavo ancora quel preciso istante, in cui, in silenzio lo guardavo. Guardavo le sue spalle grandi e forti che mi difendevano dal mondo e dalla vita molte volte cattiva. Da dietro, si. Perché io guardandolo e ammirandolo così, avevo capito tante cose: l'importanza di un attimo, i sacrifici, la forza dell'amore, l'umiltà, il senso di protezione.
Lui, che mi aveva insegnato ad amare, ed io che l'avevo imparato amando lui. Lui che mi aveva insegnato a dire "non fa niente", che mi aveva insegnato a cercare l'infinito in un abbraccio. Lui che mi aveva insegnato a girare il mondo stando ferma. Quando si fosse svegliato, perché lui si sarebbe svegliato, l'avrei ringraziato. Perché senza di lui al mio fianco non avrei sicuramente affrontato così la vita, non avrei avuto tutta questa forza che quasi mi sorprendevo di possedere. E se qualcuno mi avesse chiesto cosa mi piaceva di lui, avrei iniziato sicuramente a raccontare del potere dei suoi occhi capaci di farmi tremare il cuore, sarei passata alla forza del suo sorriso che faceva passare ogni male e sarei arrivata alla dolcezza del suo petto su cui mi appoggiavo per sentirmi al sicura. Era la cosa più bella che avevo mai avuto nella mia intera vita e non ero disposta a perderla per nulla al mondo. Forse era la mia condanna, o forse era la mia salvezza; sapevo solo che insieme a lui ero salva, senza di lui ero persa a vagare tra l'oscurità del mio cuore.
Una volta mi chiesero:
« Che ci vedi in Daniel Parker?»
io senza esistere risposi che nel riflesso dei suoi occhi, se mi specchiavo, vedevo una me felice e questo non l'avrei mai perso.
Perché l'amavo, oltre l'universo, perché mi sarei fatta anche del male, per farlo stare bene.

Sapete quando avevo capito di essere innamorata? Quando mi facevano domande sul mio futuro e il suo nome era sempre presente.

Angolo autrice:

sono un fiume di lacrime.
xx.

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