Capitolo XXXVII: Scacco

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«Quindi li hai abbandonati a metà cena?» Phoenix appoggiò una bottiglia di lager al tavolino del salotto, di fianco al set di scacchi in marmo. Le luci dell'abitazione erano state tutte spente, a eccezione dei fari a lampadina azzurra che riscaldavano delicatamente il soggiorno, illuminando le pareti celesti. Assumeva tutta un'altra aura, di notte. «Ma soprattutto, come ho fatto a non sapere che tua madre è Stella Honeycroft? Voglio dire, sapevo che veniva da questa zona, ma non mi sarei mai immaginato.»

«Riscontri sul capello?», chiesi, freddo, con la stessa vitalità di un automa morente. Non era decisamente una giornata nemmeno lontanamente decente.

Phoenix sbuffò, buttando giù un sorso di birra. «Positivi. Alto contenuto di rame nei tessuti, praticamente certi che derivi da un malato di Wilson. Domattina interroghiamo Kelley, potrebbe provare che ha incontrato la Bates prima che morisse.»

«Ma non che la ha uccisa.»

«Effettivamente...» Gli avevo appena strozzato l'entusiasmo: mi sentivo molto, molto fiero di me. «Ma abbiamo collegamenti con la Marshall. Nessuno sa dove fosse ed è entrato nello studio.»

«Però non abbiamo moventi.»

«Esatto.»

«Non mi sembra un buon inizio.»

Phoenix lasciò la bottiglia di vetro riciclato sul piano in legno, e allungò un braccio verso la scacchiera, su cui erano allineati tutti i pezzi, bianchi da un lato, neri dall'altro. «Sai giocare?»

«No.» Piccola bugia. Quell'uomo mi avrebbe di sicuro stracciato, sarebbe stato lo stesso.

Il detective spostò delicatamente gli scacchi neri dal piano di gioco, li adagiò sul divano al suo fianco e cominciò a risistemare i bianchi sull'intera scacchiera. «Proviamo a riesaminare da capo? Forse ci è sfuggito qualcosa.»

«Ottima idea.»

Cinque pedoni neri tornarono rapidamente insieme ai pezzi nemici. «Cinque vittime. Due dirette, tre indirette. Harvey, Kelley e Araujo sono deceduti un anno fa, i primi due in quelli che apparivano come incidente, il terzo in un possibile suicidio.»

«Possiamo collegare Havrey e Araujo alla faccenda,» proposi, appropinquandomi a mia volta al campo di battaglia, poi divisi i due scacchi "incriminati" dal compagno ancora senza risposta. «Ma Laurie non aveva nulla a che fare né con il negozio, né tantomeno con gli Harvey. Niente figli, niente animali, nessuna spiegazione.»

«Però Jodie Marshall è morta pur di portare alla nostra attenzione queste tre morti. Queste, e i furti.» Seguì un lungo momento di religioso silenzio e riflessione personale, intervallato da un sorso di lager ancora fredda. «Jodie Marshall,» tagliò Phoenix, aggiungendo un quarto pedone nero a un lato della scacchiera, insieme alla coppia già presente. «Ha invitato tutti voi a una cena in cui ha sfidato apertamente un probabile serial killer, che a quanto pare era rimasto inattivo per quasi un anno. Chi aveva la possibilità di commettere l'omicidio?»

Scelsi cautamente la regina dal mucchietto di statuine bianche. Mio fratello mi aveva insegnato a giocare un pomeriggio piovoso del lontano 2014, uno dei periodi più bui per i gemelli Stunningham. Riconoscevo tranquillamente i pezzi, avevo un minimo di capacità di gioco, ma persino un semplice arrocco era oltre le mie capacità. «Partiamo dal tasto dolente... Kristen.»

Phoenix non controbatté, anzi, annuì con convinzione. «Alibi, movente e prove.»

«L'alibi è un problema,» ammisi. «Chiunque sia entrato nello studio potrebbe aver visto Jodie morta e aver tenuto la bocca chiusa per paura di essere sospettato... In ogni caso, Kristen è stata la prima a entrare, quindi credo sia difficile che ben cinque persone abbiano finto che la vittima fosse ancora viva.»

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