Capitolo 15

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La mattina dopo mi sento abbastanza riposata. Se ho fatto qualche bel sogno non lo ricordo, ma almeno non mi sono svegliata con gli incubi. Perfino i lividi sui miei polsi sembrano sparire più velocemente se sono di buonumore. Ora il loro colorito si nota meno e sono quindi molto più facili da nascondere.

Faccio colazione e poi scendo per andare al lavoro. Jeans blu aderenti quanto basta, t-shirt bianca con una stampa colorata sul davanti, converse nere, i miei Ray-Ban agli occhi e la borsa a tracolla.

All'entrata del condominio vengo fermata dal portiere che mi consegna le chiavi della mia auto e mi informa che stamattina presto l'hanno portata e parcheggiata poco distante dall'entrata.

Esco ed a momenti stento a riconoscere la mia auto. Ora è pulita come credo sia stata solo da nuova, ma io l'ho comprata usata per cui posso solo immaginare come potesse essere. La carrozzeria nera ora rispecchia la luce del sole e per poco non mi abbaglia il riflesso.

Salgo in auto e anche l'interno è stato pulito. Sul sedile del passeggero trovo un biglietto.

Non mi devi nulla, l'ho fatto per pietà della tua auto. 😉

H.

Sorrido perché il pensiero di Hayden che mi scrive un biglietto simile e che è in pena per la mia auto lo trovo surreale.

Non pensavo fosse il tipo da scrivere biglietti con faccine. E non pensavo che le condizioni della mia auto fossero tanto gravi da smuovere la sua compassione.

Anche se ammetto che aveva proprio bisogno di una bella pulita.

Metto il biglietto tra le pagine della mia agenda che porto sempre nella mia borsa.

Mentre guido fino in ufficio penso a come ringraziarlo per aver portato a lavare la mia auto, ma quando entro in ufficio non mi è ancora venuta nessuna idea. Non so nemmeno se dovrei chiamarlo o scrivergli un messaggio di ringraziamento.

Ma un messaggio mi sembra impersonale, credo che lo ringrazierò di persona.

L'ufficio non è cambiato dalla settimana scorsa, ma mi sembra ci sia qualcosa di diverso. Probabilmente con tutto quello che mi è successo sono io ad essere cambiata.

Mi siedo alla mia scrivania davanti alla mia postazione con doppio monitor e mi sento pronta e carica per affrontare il lavoro che mi aspetta.

Faccio parte dell'help-desk informatico che lavora per un ospedale, praticamente ricevo le chiamate di tutto il personale della struttura che ha bisogno di aiuto con computer, programmi o altre attrezzature informatiche.

Questo lavoro mi piace perché, anche se solo telefonicamente, si conoscono persone, ma soprattutto si aiutano. Loro salvano vite e io cerco di agevolarli, informaticamente parlando.

Se si conta questo, è un lavoro che può dare delle belle soddisfazioni anche se non permette di fare chissà quale carriera.

È stato grazie a Vicky che ho trovato questo lavoro, è stata lei a farmi sapere che cercavano nuove persone da assumere.

Le ore passano abbastanza velocemente ed a metà mattinata avviso i colleghi che esco a fare una pausa e come sempre mi dirigo fino al bar all'angolo della via a prendermi un caffè. L'ufficio in cui lavoro non è enorme e non abbiamo le tipiche macchinette del caffè o delle bibite e quindi siamo tutti costretti ad uscire per fare una pausa caffè che si possa definire tale.

A metà strada mi assale un brivido, una sensazione di ansia, potrei quasi definirla paura. Mi guardo intorno.

Comincio a sentirmi paranoica ma ho la sensazione che qualcuno mi stia osservando. Cammino a passo spedito e mi sento un po' più tranquilla solo quando entro nel bar. Ordino il mio solito caffè macchiato e me lo gusto al bancone del bar. Il locale è chic, luminoso, tutto dipinto in tonalità chiare che fanno sembrare l'ambiente più grande di quello che in realtà è. Il caffè è buono ed ormai conosco i proprietari, anche se oggi c'è una ragazza nuova dietro al bancone.

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