Cast Away

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"Cristo santo, Davis, riesci a darmi una risposta che non sia 'fottiti Moran'?!"

"Fottiti, Moran."

Ormai l'interrogatorio, quello vero, dopo che la Dottoressa Peluche se ne era tornata a Wonderland, stava proseguendo senza successo da circa cinque ore. Dato che, come avrete ben immaginato, non mi ero presa la briga di variare il mio repertorio di repliche alle stupide domande di quel tardigrado di Moran, avevo constatato che quel tempo era stato speso più che bene. 
Non avrei ceduto per nulla al mondo, dovevo essere io ad avere in pugno lui.
Non so se mi divertiva di più il fatto che stavo occupando tutta la giornata di quell'invertebrato senza fargli ottenere il minimo risultato, oppure il modo in cui si stava palesemente trattenendo dall'usare i soliti metodi di interrogatorio, non troppo convenzionali, alla "This is how we do in Vaulsey". Dedussi che Striker gli avesse intimato di non pensarci nemmeno.
Esasperato, Moran scaraventò la sua sedia dall'altra parte della saletta. Picchiò le mani sul freddo tavolo d'acciaio e tentò per l'ultima, disperata volta: "Non te lo chiederò di nuovo. Dimmi cosa cazzo è successo questa mattina."

Gli sfoderai con scherno il sorriso più provocatorio che potessi mostrargli, e finalmente gli risposi: "Voglio un avvocato; ne ho il diritto." Sì, giocai la carta dell'avvocato solo in quel momento. Quella volta superai me stessa.

Ad ogni modo, riuscii quasi a percepire il vulcano di ira che stava eruttando in quel micro ammasso gelatinoso che osava chiamare cervello. Urlò: "Non avrai un cazzo di avvocato!"

Mi rimisi comoda sulla sedia e, con tutta la nonchalance di questo mondo, gli diedi la mia versione definitiva: "E allora fottiti, Moran."

E con quest'ultima e, oserei definirla, strepitosa uscita, gli feci perdere una volta per tutte la pazienza. Infatti, il lasso di tempo a partire da lui che uscì infuriato dalla porta, a quello in cui i due agenti di custodia mi sradicarono dalla centrale, fu a dir poco supersonico.
Mi caricarono su un furgone blindato. Il viaggio fu un incubo. Eravamo imbottigliati nel traffico, e alla radio si sentivano solo sbirri che parlavano di trasferimenti e prigioni di massima sicurezza. In effetti, ricordando quel momento, non mi stupii affatto dell'occhiataccia che uno dei due mi lanciò quando chiesi se potevano cambiare stazione.
Cercai di non pensare troppo, per non lasciarmi sopraffare da tutto ciò che stava accadendo. Quando arrivammo a un piccolo porto al confine della città, però, sbiancai. Sapevo esattamente dove, con tutte le probabilità, avrei passato il resto della mia vita.
Faraday Island. Il peggior carcere di massima sicurezza del Nord America.
Quel posto aveva la nomea di essere paragonato a una Alcatraz che aveva incontrato Guantanamo, e che con quest'ultima ci aveva concepito i gironi di Dante. Forse chi ci era stato aveva sporadicamente usato qualche iperbole nel descrivere quel buco infernale, ma anche se così fosse stato, la serenità non era propriamente lo stato d'animo che mi stava pervadendo in quel momento.
Ovviamente, ad aspettarmi vicino al traghetto, c'era quella vespa con la raucedine di Moran.

"Oh, cosa succede, Davis? Il gatto ti ha mangiato la lingua?"

Quanto avrei voluto che lo sbranasse un leone.

Non mi scomposi minimamente e, graziosamente, gli risposi: "Baciami il culo, Moran."

"Andiamo, non ho tutto il giorno." 

Mi accompagnò personalmente fino a quell'isola dove avrei sperato di trovare Tom Hanks e Wilson; così avrei potuto lanciare Wilson in faccia a Moran e portare in salvo Tom Hanks, in modo da passare per un'eroina salvatrice di naufraghi.

"Credevi davvero che l'avresti passata liscia anche questa volta?" La sua viscida voce interruppe i miei improbabili pensieri. Cosa diamine voleva da me?

"Cosa intendi dire con anche questa volta?" Ora aveva la mia più totale attenzione.

"Non sono recenti le voci che si stanno spargendo, sempre più rapidamente, su quello che fai realmente al Dipartimento della Difesa." Stava bluffando, ne ero sicura. "Non abbiamo alcuna prova per inchiodarti perché, evidentemente, sei brava ad occultare le tue azioni. Ma ricordati, Davis, che anche se ti sto portando in prigione, il tuo vero nemico non sono io."

Ora ero confusa. "Mi stai prendendo per il culo?! Ti sei comportato come uno stronzo dal primo momento in cui mi hai rivolto la parola, e ora te ne esci affermando di non essere tu il mio nemico? E chi sarebbe, allora?"

"Davis, io voglio solo avvisarti: se uscirai di qui, e ho come il presentimento che in un modo o nell'altro ci riuscirai, guardati le spalle. Non fidarti di nessuno, soprattutto di chi hai accanto." A quel punto mi mise un cacciavite in tasca. Lo guardai sbigottita, ma continuò: "Non sei tu la minaccia, e il fatto che qualcuno ti abbia chiaramente incastrata ne è la conferma. Solo un'idiota avrebbe lasciato il proprio DNA su un cadavere, e da quel che si dice, tu sei una professionista. E non tralasciamo il fatto che non siamo mai riusciti a trovare nemmeno mezzo corpo."

Arrivammo a destinazione, e prima di entrare, irritata, gli dissi: "So cosa stai facendo, stai cercando di mettermi a mio agio per cercare di strapparmi una confessione, ma te lo dico subito..." 

Mi interruppe bruscamente. "Se fosse stato questo il mio intento, non avrei perso cinque ore in sala interrogatori a urlarti addosso." Quello era vero.

Giunti al cancello, delle guardie ci scortarono fino all'ingresso principale, dal quale procedemmo da soli verso l'accettazione. La poliziotta all'entrata ci fece sbrigare le solite pratiche burocratiche e, una volta terminate, Moran le comunicò che si era già occupata un'agente donna alla centrale della perquisizione. La signora annuì, sparendo brevemente per procurarmi l'uniforme e quant'altro.
Guardai il mio accompagnatore, esterrefatta; mi stava davvero coprendo le spalle? O era un gioco malato che mi avrebbe condotta all'ergastolo senza possibilità di condizionale? Feci per aprir bocca, ma mi zittì subito. 

"Non c'è più tempo. Fai quello che devi. In polizia abbiamo tutti le mani legate. Non approvo affatto ciò che si suppone che tu faccia, ma approvo ancora di meno la corruzione nel sistema giudiziario." 

L'addetta alla reception tornò, e chiamò due guardie carcerarie per accompagnarmi una volta per tutte nell'Erebo.

"Non fare cazzate, Davis." E con questa frase di commiato, il mio presunto nemico se ne andò.

Una volta completate tutte le procedure, Caronte uno e Caronte due mi accompagnarono in cella. Fu tutto così veloce che non ebbi nemmeno la possibilità di elaborare quell'ultima mezz'ora di libertà.
Fui assegnata al braccio B, quello dove risiedevano tutte le detenute considerate pericoli per la società e per loro stesse. Non me ne stupii minimamente.
E Non mi stupii nemmeno della vecchia conoscenza che irruppe come un uragano nel mio alloggio.

"Revell Davis! Ti stavo aspettando, pazza psicopatica!"



The enforcer - Sventure di un insolito sicarioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora