La rimpatriata

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"Come sarebbe a dire che hanno appena arrestato Revell Davis?!"

Il povero agente di polizia all'ingresso, un tizio che sembrava uscito dalla pubertà l'altro ieri, quindi presumibilmente appena assunto, quasi si ribaltò sulla sua sedia girevole.
Forse la strizzacervelli, la fatina prediletta del Dipartimento della Difesa, non aveva tutti i torti quando mi aveva detto che a tratti potevo risultare terrificante. Non me ne importava minimamente.

"La notizia è appena giunta dalla centrale tramite il Sergente Larson e il Detective Moran, ne sappiamo quanto lei." Si fermò per un istante, allontanandosi di mezzo metro. "Scusi, ma lei chi è?"

Il pivello aveva avuto il coraggio di affrontarmi, se così si poteva definire il suo comportamento indagatorio. Forse quella baracca non stava decadendo quanto avevo pensato.
"Chuck Rodgers, agente dei Servizi Segreti. Ho lavorato per il Generale Glenn Striker, e non ti dirò di più perché non sono affari tuoi."

"Cosa le serve, Agente Rodgers?" Chiese il pivello, con un'accondiscendenza che mi stava per provocare un'ulcera. Rettifico: quella baracca stava decisamente decadendo.

Se non avessi ricevuto la notizia riguardante il piccolo demonio biondo, la mia risposta sarebbe stata un laconico e pacato "devo parlare con Striker", ma ero troppo confuso, e la confusione mi aveva sempre mandato in bestia, quindi superai il pivello, attraversai il corridoio, e irruppi come una furia nell'ufficio del mio ex capo, il quale era intento a strillare termini poco ortodossi al telefono.

Mi lanciò un'occhiata perplessa e, urlando, comunicò al suo malcapitato interlocutore: "Ora devo andare. Io ti avverto, Donnie, se vengo a sapere che Mary è riuscita a convincerti a frequentare quel dannato corso Io e papà, giuro che vengo a casa vostra, sfascio i muri e ti faccio rinchiudere in manicomio!" Fece una breve pausa, poi concluse: "Certo, ci vediamo a caccia settimana prossima, ti voglio bene anch'io figliolo", e riattaccò. Poi si girò verso di me, ed esclamò: "Rodgers, ma che sorpresa! Qual buon vento ti porta al Dipartimento? Ti mancavano le stronzate di Gina?"

Cristo, mi sarei fatto conficcare una penna nella giugulare, piuttosto che ascoltare le storie di Gina e i suoi dannati marmocchi.

"Mi prendi per il culo?! Cosa diamine è successo con Revell Davis?"

"È andato tutto storto con Davis, ecco cosa è successo. Ho parlato con Van Houten poco fa, e mi ha raccontato di averla vista stamattina, poco prima che l'arrestassero. E prima che tu lo chieda; no, non è stata lei." A giudicare dalla sua espressione, mi sembrò sicuro di quello che stava dicendo.

Non sapevo ancora se credere alla sua innocenza. Da una parte me lo sentivo che non era stata lei; non poteva essere stata così stupida e incosciente da ammazzare Dan Foster il giorno dopo tutto quel macello. Dall'altra era anche un soggetto piuttosto irascibile, fuori di testa e imprevedibile, quindi ero ancora più confuso, e di conseguenza ancora più furioso.

"Carl Davis. Lui sa qualcosa?" Chiesi.

"Ne sa quanto tutti noi."

Mi sentii frustrato per un momento, ma poi rinsavii e mi resi conto che c'era un motivo preciso se mi trovavo nell'ufficio di Striker. Lui mi stava nascondendo la verità su Revell Davis, quindi decisi di mandare al diavolo i protocolli, e pensare alla risoluzione di questo problema, che stava crescendo a un ritmo a dir poco preoccupante.

"Mettiamo le carte in tavola. Lei ha preso il mio posto, vero? È stata lei a uccidere Andrew Rodgers, e sei stato tu a darle l'ordine."

Rimase impassibile, sorrise, e mi rispose: "Mi ero quasi dimenticato dell'eccellente agente che sei Rodgers." Poi prese due bicchieri dal cassetto della scrivania, una bottiglia di scotch, e versò due drink. Me ne porse uno, che accettai volentieri, e continuò: "Mi dispiace che l'obiettivo fosse stato proprio tuo zio, sul momento non ne avevo idea, ma come puoi ben intuire pure tu, è stata una mossa necessaria." Non potei assolutamente dargli torto. "Ma dimmi una cosa, perché tutto questo interesse per il tuo successore? Mi stai nascondendo qualcosa pure tu?" Aveva ragione. Aveva messo le sue carte in tavola, e ora dovevo svelare le mie.

"Michael Jackson, il capo dal nome a dir poco ridicolo dei Servizi Segreti, mi ha incaricato di indagare su di lei. Sospetta che la sua mansione non sia veramente quella che compare sui vostri registri contabili. È da qualche mese che la tengo d'occhio, ed è così sfuggente che, sinceramente, mi chiedo come un imbecille come Jackson possa averla notata..." prima che potessi proseguire, lui mi fermò.

"Prima di andare oltre" poi staccò il telefono, e lo scaraventò fuori dalla finestra. Ora sì che lo riconoscevo. "Io e Van Houten abbiamo il sospetto che ci sia un infiltrato della banda di Foster all'interno dei Servizi Segreti." E ci risiamo, baracche governative che cadono a pezzi. "Abbiamo ragione di credere che Jackson, in realtà, sia George Foster, il padre di quello stronzo di Dan."

Allora mio zio non era l'unico ad usare pseudonimi al limite dell'assurdo.
Ero abbastanza scioccato, ma non altrettanto sorpreso.
Dopo un ragguaglio più approfondito, Striker mi fece una proposta, e dato che ero già parecchio stufo di quella situazione, acconsentii senza la minima esitazione: "L'unico modo per inchiodare quel bastardo è unire le nostre forze. La cosa più importante è che nessuno lo venga a sapere. Solo io, te, Davis e Van Houten. Abbiamo troppe talpe sia da una parte che dall'altra, e non possiamo rischiare che una soffiata ci mandi a puttane il lavoro o che peggio, ci faccia finire come Revell."

E, a proposito di quest'ultima, una volta tornato alla sede dei Servizi Segreti, feci una virata verso l'ufficio di Van Houten. Io e il Generale avevamo escogitato un piano, e lei era un tassello fondamentale per la sua riuscita.

"Chuck, sono molto occupata." Era immersa tra le scartoffie.

"Lo so, ho appena parlato con Striker."

Spalancò le palpebre. L'avevo davvero presa alla sprovvista.

"E quindi?" Sembrava quasi che avesse paura che la denunciassi.
Dato che la cosa mi divertiva, la lasciai un momento sulle spine, così da potermi godere appieno la sua espressione.
Chiusi la porta, e mi avvicinai alla sua scrivania:

"Dobbiamo tirare fuori quella peste di prigione."

The enforcer - Sventure di un insolito sicarioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora