"Era una notte buia, fredda, e molto nuvolosa. Le strade del Colorado erano offuscate dalla pesante nebbia che presagiva la bufera che avrebbe segnato l'inizio di quell'incubo senza fine che era stato quell'agghiacciante esperienza. Continuai a guidare. Intanto la neve cominciò a cadere a piccoli fiocchi. Fiocchi che, con il passare delle miglia, diventavano sempre più grandi e sempre più numerosi. Si procedeva a fatica, e la visibilità era sempre più scarsa. Lo era, finché quel tonfo infernale fece piombare tutto nell'oscurità." Feci una pausa ad effetto. Nel mentre girai la testa, appoggiata sul cuscino del divano nel suo studio, verso la mia interlocutrice. "Quando riaprii gli occhi, ancora mezza stordita, realizzai che, miracolosamente, ero ancora viva. Quell'incidente avrebbe dovuto uccidermi sul colpo, ma io ero stata risparmiata, sebbene non senza effetti collaterali. Le mie gambe, completamente spappolate, erano fissate in dure stecche d'acciaio interamente ricoperte di gesso. Appena ripresi completamente conoscenza, delle fitte lancinanti di dolore pervasero il mio corpo, incrementando la disperazione e la paura dovute a quel trauma." Notai che la dottoressa sembrava veramente presa da quel racconto, così, in tono solenne, andai avanti: "Mi stavo chiedendo chi fosse stato l'angelo che mi aveva salvata da una morte certa così brutale, quando ella entrò in quella cameretta dal leggero stile rustico. Era una donna robusta, con i capelli castani e la faccia unta. Mi disse di essere felice del fatto che mi fossi svegliata perché, come aveva affermato, era la mia fan numero uno. Aveva letto tutti i miei libri, e mi disse di aver appena comprato l'ultimo della serie. Le chiesi come si chiamasse, mi rispose che il suo nome era Annie Wilkes."
"Revell, quella è la trama di Misery." La Patterson mi interruppe con disappunto, togliendosi gli occhiali.
Non scherzavo quando vi ho detto che ero a corto di idee. Quella mattina, in particolare, avevo deciso di sbizzarrirmi perché era San Patrizio, la mia festa preferita. Vaulsey, essendo geograficamente situata nello stato del Massachusetts, prendeva quella celebrazione molto sul serio. Troppo sul serio.
Aspettavo solo che arrivasse sera per ubriacarmi e far casino come se non ci fosse stato un domani.Mi rialzai a sedere con uno scatto e la rimproverai: "Vedo che qui, qualcuno, non sa apprezzare della buona narrazione."
"Ascoltami, io sono lieta del fatto che a te piaccia leggere, guardare film e interessarti delle cose che ti circondano. E sono anche felice del fatto che tu sia dotata di una grande creatività."
"Cavolo, mi sembra di tornare ai miei colloqui alle scuole elementari."
"Ma tu sei qui per seguire un percorso. Un percorso che potrebbe veramente aiutarti a stare bene con te stessa, e a riuscire finalmente a vivere una vita piena e soddisfacente." Ehm, no, Doc. Io ero lì perché mi serviva una buona uscita in caso di fallimento della missione, ovvero un suo documento che certificasse la mia infermità mentale.
"Ma io le parlo di ciò che mi piace. Le parlo pure di Star Wars, non è forse più intimo che raccontarle delle mie emozioni?" Quella, forse, fu la frase più insensata che le avessi mai detto.
"Ti stai nascondendo dietro a un muro di intrattenimento."
"Dottoressa" la guardai sbalordita "lei ci sa fare con le parole!"
Mi accennò un sorriso, ma prima che potesse ringraziarmi e dirmi che anche io ero un genio fantastico, sentimmo suonare l'interfono che collegava il suo studio con la ragazza impiegata alla reception. Da quel che capii, uno dei suoi pazienti, scusate il termine politicamente scorretto, pazzi aveva fatto irruzione dall'entrata principale. Non aveva alcun appuntamento, eppure non voleva sentire ragioni.
"Scusami, Revell torno subito. Nel frattempo, tu pensa a quello che vuoi dirmi."
E ora mi sembrava di tornare ai colloqui con mia madre.
Appena uscì, pensai invece a come impiegare quel prezioso tempo da sola che mi era stato regalato, in mezzo a tutti quegli invitanti dossier riguardanti le faccende private delle altre persone. Fra queste ultime, una sola catturò la mia curiosità: Chuck Rodgers.
Lui, praticamente, sapeva quasi tutto di me, quasi troppo. Mentre io, di lui, sapevo poco o nulla. Ero sicura che, almeno una volta, fosse stato anche lui oggetto delle analisi metafisiche della Patterson; quella volta al cimitero aveva descritto alla perfezione le sensazioni che si provavano dopo le sedute.
Era l'unico modo. Ogni volta che provavo a farmi gli affari suoi, accennando alla sua vita avanti Revell, lui rimaneva sul vago. Non volevo insistere, perché non volevo che si illudesse che mi importasse della sua vita, ma io ero talmente bramosa di sapere cosa lo avesse portato ad essere così chiuso, misterioso, severo e a tratti affascinante, che non resistetti, e mi misi alla ricerca del suo fascicolo.
Lo trovai subito, così gli diedi una rapida lettura, sempre tenendo un occhio verso la porta.
Quello che vidi, nero su bianco, mi sconcertò: sindrome da stress post traumatico, depressione, scatti d'ira e, per ultimo, il nome di una ragazza; Katie.
Feci una rapida analisi: la prima mi sembrò plausibile; sapevo che era stato in Afghanistan, e quello non era esattamente un posto dove i soldati andavano a spassarsela. La depressione avrebbe potuto esserne una diretta conseguenza; o tornavi scemo, come Wheeler, o incazzato. Gli scatti d'ira: quella era una nostra caratteristica in comune, quindi non faticai a comprenderlo. Infine Katie; questa mi era decisamente nuova, e avrei assolutamente dovuto indagare.
Udii in lontananza il ticchettio delle Louboutin della dottoressa a pochi metri di distanza, quindi ributtai il tutto nel cassetto, dopodiché mi cimentai in un salto olimpico sul divano. Calcolai male la potenza; rimbalzai e caddi sul tappeto.
STAI LEGGENDO
The enforcer - Sventure di un insolito sicario
AcciónRevell Davis è un sicario dal pungente senso dell'umorismo che opera nella cittadina immaginaria e fuori controllo di Vaulsey. Vive con il fratello gemello Carl che, paradossalmente, fa parte delle forze dell'ordine, e svolge il suo mestiere per ord...