I Davis

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"Presumo che sia tu quella da ringraziare per avermi mandato a puttane la serata."

"Dopo più di quattro anni, e quello che mi hai fatto passare, è tutto quello che hai da dirmi, Revell?"

Credo, miei cari e psicologicamente esausti lettori, di dovervi delle spiegazioni, e delle scuse. Di nuovo.
Come avrete ben potuto intuire, la Jennifer in questione è la mia dolce sorellina che vi avevo assicurato fosse morta. E tecnicamente, per due minuti e venticinque secondi, lo era stata. Ma poi, come lo zombie più stronzo del mondo, era risorta al pronto soccorso dell'ospedale di Vaulsey.

"Cosa dovrei dirti, Jen? Bentornata negli Stati Uniti?"

"Come minimo. Non hai idea dell'inferno che ho vissuto in questi anni."

La reginetta del dramma era tornata. "Piantala, ti ho spedita in Svizzera. Non a Timbuctù."

"Mi hai spedita in Svezia! Hai idea di che cazzo di freddo faccia in quel paese?!"

Scoppiai in una fragorosa risata. Non potevo credere di aver commesso una tale buffa svista durante la pianificazione del suo esilio.

"Lo trovi divertente?"

"Da morire! Ero appena uscita dal dentista, e avevo ancora la bocca anestetizzata e, dando l'istruzione sul luogo, devono essermisi impastate le lettere mentre parlavo."

"Fammi capire; mentre io, per colpa tua, lottavo fra la vita e la morte, tu eri andata dal dentista, come se niente fosse?"

"L'igiene orale è importante, Jennifer."

"Tu mi hai rovinato la vita."

Che coraggio.
Lasciate che vi esponga un resoconto dettagliato degli eventi che mi avevano portata a spedire quella vipera in esilio in Scandinavia: mia sorella era veramente disturbata, non si seppe mai se clinicamente o solo caratterialmente. Sta di fatto che, come la sottoscritta, aveva ceduto al fascino di Dan Foster. Ma se io mi ero data a lui sentimentalmente, lei, invece, si era lasciata fare il lavaggio di quella nocciolina che osava chiamare cervello, rendendo la mia vita una spirale senza fine di esaurimenti nervosi.
Avrei dovuto capire che qualcosa non andava in lei fin dall'infanzia; mentre io, come tutte le bambine normali, mi divertivo a staccare la testa alle bambole e a scrivere epiteti sui muri, lei mi rubava i vestiti, emulava ogni mio modo di comportarmi e, spesso, si faceva chiamare Revell.
All'inizio la trovavo una cosa adorabile, pensavo che la mia sorellina mi ammirasse e che mi avesse presa come modello di riferimento, ma con il passare degli anni la sua ossessione per me diventò sempre più inquietante. Realizzai che aveva sviluppato un vero e proprio disturbo della personalità (beccati questa, Patterson!) quando, verso l'adolescenza, cominciò a perdere il controllo.
A tredici anni dovetti subire un'appendicectomia, che mi aveva costretta a una degenza in ospedale di tre giorni. Scoprii che in quell'arco di tempo Jen aveva frequentato le mie lezioni, i miei amici, e si era pure impossessata del mio telefono; tutto questo spacciandosi per me. Come vi avevo detto in precedenza, sebbene io fossi nata due anni prima, io e lei, esteticamente, eravamo molto simili, perciò venivamo spesso scambiate per gemelle. Quest'ultimo ipotizzai che fosse stato il fattore scatenante della sua mitomania.
I guai seri arrivarono quando iniziai il liceo; mia sorella cominciò a serbare del rancore nei miei confronti perché, complici lo studio e le prime frequentazioni con i ragazzi, non riuscivo a passare molto tempo con lei, e perché faceva fatica a stare al passo con le mie abitudini. Pensò di farmi pagare queste mancanze mettendomi in situazioni scomode, e combinando casini su casini facendosi passare per me, così il capro espiatorio, tanto per cambiare, sarei stata io.
Si era ingegnata parecchio, devo concederglielo, quando una volta, mentre studiavo all'università, si autoinflisse un'ustione con la mia, e vorrei sottolineare mia, piastra per capelli, raccontando, insieme ad un'assurda storia di contorno, ai miei genitori che ero stata io. Quella trovata mi costò una notte in cella e una denuncia per aggressione. Fortunatamente, quest'ultima, grazie a Wheeler, venne ritirata.
Abbandonai gli studi, e lei si iscrisse alla facoltà di legge da me frequentata. Durante quegli anni, in cui lavoravo per i Servizi Segreti, Jen parve calmarsi.
Ma fu solo apparenza; quando smascherammo Dan Foster, scoprii che lei aveva passato molto tempo a lavorare con lui, spifferandogli inoltre un'enorme quantità di informazioni sul mio conto e sui miei spostamenti, informazioni che io non le avevo mai dato personalmente. Fu per colpa sua se lui seppe che sospettavo del suo coinvolgimento con la criminalità organizzata.
In aggiunta, venni pure a conoscenza del fatto che quei due erano andati a letto insieme svariate volte, ma questo, col senno di poi, fu il male minore.
Infine lei era stata incaricata di uccidermi. Ma non c'era riuscita perché, sebbene avesse studiato ogni mia mossa fin dalla tenera età, io ero sempre un passo avanti. Poi, come sapete, ci provò Dan, ma il deficiente sparò a lei al posto mio.

The enforcer - Sventure di un insolito sicarioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora