Appena misi piede fuori dal palazzo, il telefono mi squillò. Ero già parecchio alterato, quindi mi irritai non poco dato che l'ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento erano altre seccature.
Risposi, era Van Houten."Se è successo qualche casino al Dipartimento o in ufficio, io non ne voglio sapere. Se Striker chiede di me, digli che sono morto."
"Ciao anche a te Chuck, ti ha per caso morso una tarantola?"
Se fosse stato metaforico, avrebbe calzato a pennello. "Qualcosa del genere, che c'è?"
"Sono arrivati due tuoi colleghi da Washington. Erano preoccupati per il fatto che non rispondevi né ai loro messaggi né alle loro e-mail, quindi sono venuti a trovarti per assicurarsi che stesse procedendo tutto liscio." Porca puttana. "Dico anche a loro che sei morto?"
C'erano tante cose che avrei voluto che riferisse a quei due, chiunque essi fossero, ma erano termini che era meglio non esprimere ad alta voce.
"No, dì loro che sto arrivando."
"Perfetto." Riattaccò.
Un minuto di pace era decisamente chiedere troppo.
...
Quella mattina mi ero svegliata di pessimo umore. Dubito, ad ogni modo, che in prigione ci si possa svegliare felici e sereni, ma sentivo comunque l'irrefrenabile istinto di piantare un cacciavite in gola a chiunque avesse provato a rivolgermi anche solo la minima provocazione.
Me ne rimasi da sola fino all'ora di pranzo; avevo bisogno di silenzio per riflettere, e per fortuna The Voice aveva una visita, quindi sarebbe toccato a qualche altro disgraziato subire quello strazio.
Riflettei su come potermi tirare fuori da quella trappola mortale. Tentai di analizzare le parole di quell'infido bastardo, e arrivai alla conclusione che, per quanto l'avessi voluto, non stava affatto bluffando.
Avrei dovuto aspettare fino al pomeriggio, quando avrei ricevuto la visita di Carl. Di sicuro lui, Anne e Striker avrebbero pensato a un piano se non per farmi uscire da quel buco, almeno per evitare che i miei infelici precedenti diventassero di dominio pubblico.
L'attesa e la consapevolezza di essere impotente, rinchiusa in quella gabbia mi provocarono una delle peggiori ansie della mia vita, e nemmeno fumandoci sopra un numero esagerato di sigarette riuscii a placarla. Anche perché quelle sigarette facevano schifo, ma essendo in prigione ringraziai il cielo che esistessero.
Come se non bastasse, durante il pranzo una detenuta moderatamente fuori di testa aveva cercato di strangolarmi dopo averla battuta a sasso-carta-forbice.
Ormai quelle quattro anguste mura della mia cella stavano prendendo le sembianze di un inquietante grembo materno che fungeva da trampolino di lancio verso la mia ascesa nella totale follia. Avrei potuto improvvisare una falsa crisi isterica, farmi portare in infermeria e poi fingere la mia morte per farmi portare in obitorio. A quel punto sarei risorta come una fenice ammazza guardie per poi scappare in Messico. Oppure..."Ecco dov'eri finita! Non ti ho vista per tutta la mattinata." E con la voce di Gal tornai nel mondo reale. Non sapevo se fosse positivo o meno, detto sinceramente.
"Mi sento nell'oblio, Gal."
Tirò fuori due pastiglie. "Vuoi del Pervitin?"
Mi si drizzarono immediatamente le orecchie. Quella ragazza era davvero piena di sorprese!
"Dove e come diamine le hai avute?" Ero a dir poco incredula. Da quel che sapevo erano state ritirate dal commercio dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Sfoderò un ghigno compiaciuto e rispose: "Ho i miei modi."
"Non è scomparso dopo il 1945?"
"Lo vuoi o no?!"
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The enforcer - Sventure di un insolito sicario
ActionRevell Davis è un sicario dal pungente senso dell'umorismo che opera nella cittadina immaginaria e fuori controllo di Vaulsey. Vive con il fratello gemello Carl che, paradossalmente, fa parte delle forze dell'ordine, e svolge il suo mestiere per ord...