"Era ora che ci prendessimo un po' di tempo solo per noi due." Mi guardò, i suoi occhi come due piscine colme di negazione e il più folle amore mai provato.
Il tepore di quei primi accenni d'estate illuminava un cielo fin troppo sereno, e i raggi del caldo sole di giugno filtravano attraverso i rami dei rigogliosi alberi.
Attorno a noi c'era soltanto la vegetazione e qualche uccellino, che ogni tanto si divertiva a dare segni di vita, canticchiando qualche melodia a noi sconosciuta.
Io ero fra le sue braccia, il mio posto felice."È vero, Dan. Ultimamente, oltre che a lavorare, mi sembra di non aver fatto niente."
Mi diede, con il suo indice, un buffetto sul naso. "Se per te passare le giornate a fare scherzi ai colleghi e provocare un esaurimento nervoso dietro l'altro al capo è lavorare, allora abbiamo una concezione decisamente diversa di quella parola." Quel gesto era seguito da una risata; lo faceva sempre quando mi faceva notare le peculiarità che, come aveva affermato, "lo avevano fatto innamorare di me".
Ero stata così stupida a credere che avremmo avuto un futuro insieme. A credere che non avrebbe mai pensato di ferirmi.
"Guarda che architettare ingegnose burle e torturare psicologicamente Jones richiede un'ingente dose di creatività e pianificazione. Requisiti fondamentali, se si vuole avere successo come agente dei Servizi Segreti." Già, non era stato il passare del tempo a rendermi l'incubo di ogni autorità.
"E anche un'ingente dose di paraculaggine, bambolina." Cominciò a farmi il solletico. Soffrivo da morire il solletico, debolezza che lui conosceva e sfruttava fin troppo bene.
Io lo vedevo come un gesto d'affetto quindi, prima di minacciarlo di trafiggergli la carotide, lasciavo che si godesse la sua piccola vittoria, supplicandolo di smettere, fra una risata e l'altra."La smetto solo se mi dai un bacio." Avrei dovuto capire, da quelle piccole frasi amorevoli, che era una bastardo ricattatore fino al midollo.
Ma io ero stupidamente innamorata, e accondiscesi alla sua richiesta.Sembrava una persona totalmente diversa, paragonata a quella con cui stavo solo due settimane prima; da lunatico e intrattabile era passato ad essere il fidanzato perfetto.
D'altronde, nemmeno con il cuore a mille avrei mai tradito la filosofia del "mai abbassare la guardia". I miei sospetti riguardanti il suo doppiogiochismo non si erano affievoliti con il potere di qualche moina e dei regali.
Però voi lo sapete, ormai state imparando a conoscermi: le disgrazie non vengono mai da sole.
Se le settimane in cui era stato strano erano solo un paio, quelle da cui mi sentivo strana io erano quasi tre. Probabilmente quel narcisista figlio di puttana era stato troppo occupato con i suoi traffici e i suoi soldi sporchi per notare che non stavo affatto bene; le nausee, i repentini sbalzi d'umore (d'accordo, questo fattore, forse, è intrinseco della mia persona) e i continui giramenti di testa.
Quando mi aveva chiamata per propormi quella romantica giornata insieme, mi ero sentita sconvolta. Non per il suo totale cambiamento di attitudine, bensì per il test di gravidanza che, proprio in quel momento, stavo tenendo in mano. La risposta di quest'ultimo, e la mia al mio ragazzo, si erano rivelate entrambe positive.
La consapevolezza che derivò da quella notizia inaspettata mi aveva colpita come un fulmine a ciel sereno: lui era corrotto, e se avesse anche solo ipotizzato che io ne fossi stata a conoscenza, mi avrebbe uccisa. Non importava quanto potesse amarmi, non avrebbe avuto il minimo scrupolo a proteggersi.
E io non avrei avuto il minimo scrupolo a proteggere il mio bambino. Ero doppiamente vulnerabile, ma altrettanto determinata ad impedire a quel bastardo di farci del male.
L'indecisione mi stava logorando dall'interno. Se gli avessi detto di essere incinta, gli avrei fornito l'occasione perfetta per distruggermi, ma se non gliel'avessi detto, e se si fosse scoperto innocente, mi avrebbe considerata una persona orribile.
Al diavolo, me lo sarei tenuto per me. Ero abituata a non essere la migliore delle persone.
L'istinto di far prevalere la ragione sul sentimento non poté essere più azzeccato.
La quiete fu brutalmente interrotta da un assordante frastuono di proiettili. Scattammo in piedi e, dividendoci, ci riparammo dietro agli alberi circostanti.
Mi accorsi che gli assalitori non erano lì per caso, ma per me e Dan.
Fortunatamente, un'altra filosofia che avevo sempre seguito era quella del "mai uscire di casa disarmata", quindi non ci misi molto a contraccambiare, abbattendo coloro che avevo presunto fossero due sicari.
Dan mi raggiunse vicino ai corpi dei due uomini, e con fare premuroso mi chiese se stavo bene.
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The enforcer - Sventure di un insolito sicario
AzioneRevell Davis è un sicario dal pungente senso dell'umorismo che opera nella cittadina immaginaria e fuori controllo di Vaulsey. Vive con il fratello gemello Carl che, paradossalmente, fa parte delle forze dell'ordine, e svolge il suo mestiere per ord...