"Anne e Chuck entrano in un bar..."

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Finché Davis non fosse tornato dalla sua gita in carcere, il folle piano di Striker si sarebbe trovato in una situazione di stallo. Considerando questo fattore, e la giornata al limite dell'umana comprensione e sopportazione che avevamo passato, io e Van Houten optammo per un, oserei dire strameritato, drink.
Ci fermammo al Billy, il bar in cui andavano gli agenti del Dipartimento di Polizia, del Dipartimento della Difesa e dei Servizi Segreti quando erano al limite della sofferenza lavorativa e personale. Come al solito fu un miracolo trovare un tavolo libero, ma ci riuscimmo.
Ci sedemmo. Io ordinai un Johnnie Walker, mentre la mia collega optò per un Campari Soda. Brindammo, non eravamo sicuri per cosa, e mandammo giù un generoso sorso di quel distillato carburante.
Sebbene abbia sempre prediletto la solitudine, la compagnia di Van Houten non mi era mai dispiaciuta. Era una donna in gamba, scrupolosa e, soprattutto, leale; sapevo di potermi fidare di lei. Da quel che avevo intuito, tutto il contrario del mini uragano, con tutte le probabilità intento a far pentire della propria scelta professionale ogni singolo impiegato di Faraday Island.
Avevamo lavorato insieme poche volte durante il mio periodo ai Servizi Segreti, ma eravamo una buona squadra, e grazie a lei ero costantemente aggiornato su ogni sordido pettegolezzo del Dipartimento; non c'era limite al peggio, ve lo assicuro. Fu l'agente con cui operai più. Ed era anche l'unica a sapere cosa facevo veramente per Striker. La ragione per cui non avevo mai avuto una gran quantità di contatti con il resto degli agenti era che, complici la riservatezza e la crucialità del mio ruolo, per l'ufficio ero sempre stato come un fantasma. Il che, onestamente, non mi era mai dispiaciuto, dato che l'essere reale con dei rapporti reali non mi aveva mai fatto impazzire. 

"Cosa ne pensi del piano di Striker?"

Solitamente detestavo quando qualcuno interrompeva le mie riflessioni, ma quella volta percepii quell'interruzione come una sorta di ancora di salvezza dai miei pensieri.

"È una missione suicida, ecco cosa ne penso." E lo era davvero. Quell'operazione avrebbe decretato la nostra rovina, non solo perché sulla carta era un massacro diplomatico, ma perché su quella carta, su cui sarebbero figurati i nomi degli accusati, ci saremmo finiti tutti noi.

Lo sguardo di Van Houten era a metà strada fra il cupo e la rassegnazione.
Io, col senno di poi, non avevo molto da perdere. Ma per lei sarebbero stati guai seri; la sua fedina penale era immacolata, non aveva precedenti in quanto a ruoli o azioni losche e, soprattutto, aveva un piccolo umano di cui prendersi cura. Quest'ultimo fattore era quello che mi premeva più degli altri, non solo perché il più personale, ma perché una volta, quando era incinta, si era sentita male mentre eravamo in appostamento, e avevo mandato tutto all'aria per portarla in ospedale e assicurarmi che entrambi stessero bene.

"Pensi che, oltre a un rischio, sarà anche una perdita di tempo? Pensi che sia giusto quello che stiamo facendo?" Ed ora, era la preoccupazione ad invaderle il volto.

"Moralmente ed eticamente è tutto fuorché giusto" bevvi un altro abbondante sorso del mio nettare "ma è necessario. Certo, dire che è rischioso sarebbe un eufemismo, ma è l'unica possibilità che abbiamo se vogliamo smantellare questa cellula di stronzi che vogliono prendere in mano il Dipartimento manco fosse un dannato di colpo di stato. Revell Davis è un pericolo pubblico, proprio come lo ero io quando ricoprivo il suo ruolo. Voglio dire, non così tanto, io ero meno fuori di testa. Ma tirare fuori di prigione lei, per poterci sbattere Dan Foster, questo, Van Houten, non è ciò che si può definire una perdita di tempo."

Accennò un sorriso e conclusi: "Io ero bravo in quel tipo di 'mestiere'. Ma lei, Cristo, mi secca ammetterlo, è di un altro livello. Davis è il nostro asso nella manica; lei conosce Foster, si muove senza attirare su di sé l'attenzione, è fredda, una stratega nata e, cosa più importante, ha sete di vendetta. Ciò vuol dire che non si darà pace fino a quando non avrà la testa di quel bastardo su un vassoio d'argento."

Ora il sorriso si allargò. "Solidarietà fra sicari?" 

"Sarebbe più corretto dire solidarietà fra criminali."

Rise. "Sembra che tu la conosca da sempre, Chuck."

Quella frase mi spiazzò un poco. In effetti mi resi conto che era incredibile quanto sapessi del piccolo demonio biondo senza nemmeno averci mai avuto un vero e proprio scambio di parole, escluso quel fugace incontro prima del suo arresto. 

"Per colpa di Jackson ho passato innumerevoli ore della mia vita ad indagare su di lei. Sarebbe stato una perdita di tempo, se non fossi arrivato a raccogliere tutte le informazioni che mi hanno permesso di tracciarne il profilo."

A quel punto le squillò il telefono, e il sorriso si trasformò in rabbia. Sapevo benissimo chi era.

"Pronto? No... sei impazzito?! Non mi interessa se devi andare ad Atlantic City, noi abbiamo un accordo! Sì, certo... che includeva la clausola che, in caso di situazioni straordinarie, la custodia sarebbe passata a te a tempo indeterminato perché io, a differenza tua, ho un lavoro in cui ho delle vere responsabilità..."

Buttò giù a fiato il suo Campari, mentre io ordinai altri due drink.

"Ascolta, Rick, tu sei suo padre... no no no, stai zitto. Tu hai voluto fare il cazzone, e ora ne paghi le conseguenze!"

Diamine, una cosa ancora più rara di vedere Anne Van Houten spalancare le palpebre, era sentirla imprecare. D'altra parte, una volta avevo avuto il dispiacere di conoscere l'elemento con cui stava discutendo; una delle teste di cazzo più colossali che io avessi mai incontrato.

"Fallo, e ti trascino in tribunale. Ora devo andare, ti chiamerò più tardi. Dì a Max che gli voglio bene, e che mi manca. Ciao."

Riattaccò, e nel farlo per poco non sfasciò il telefono sul tavolo.
Notai che, durante la mia assenza, le dinamiche fra quei due non erano cambiate affatto. Ogni volta che aveva a che fare con quell'idiota, finiva per rovinarsi la giornata e le corde vocali. 

"Ne vuoi parlare?" 

"No, voglio bere." 

Proprio in quel momento, la cameriera arrivò con i nostri drink.

"Comunque, tornando al nostro discorso, credo che tu abbia una visione un po' troppo pessimistica. Insomma, magari andrà tutto bene, no?"

No, affatto. Ammetto che non ero mai stato il più ottimista e simpaticone del gruppo, ma la sua era pura ingenuità.

"Sarebbe un miracolo. E in quel caso andrei in ferie e nessuno mi vedrebbe più almeno fino al prossimo Superbowl." L'ultima volta che avevo preso una vacanza, Obama era ancora al suo primo mandato.

"Ma è praticamente fra un anno."

"Appunto."


The enforcer - Sventure di un insolito sicarioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora