Divide et impera

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Tornare in quel labirinto infernale di Faraday Island era l'ultima cosa che avrei voluto fare quel giorno. Non avevo notizie da Revell da almeno due ore, e ciò mi stava facendo impazzire. Se da una parte ero preoccupato per la sua incolumità, dall'altra la prospettiva del pandemonio che avrebbe potuto scatenare non mi faceva affatto sentire più sereno. Avevamo un rapporto migliore, rispetto all'inizio travagliato che avevamo avuto, ma una Revell accecata dalla furia omicida mi avrebbe sempre causato un'ansia destabilizzante.

"Non è possibile che tu non sappia niente. Deve averti contattato in qualche modo." Guardai mio cugino, che si trovava dall'altra parte del vetro, strofinarsi gli occhi per poi portarsi le dita all'altezza del naso. Pensai che la sua tuta arancione, tutto sommato, fosse stata meno oscena delle camicie di Wheeler.

"Sono in questo buco da nemmeno ventiquattro ore, cosa ti aspetti?" Cominciavo a sentirmi veramente seccato.

"Stammi bene a sentire; non è una questione di beccare due o tre pesci piccoli, è una questione di evitare che una scuola si trasformi in un dannato cimitero."

"Non ho chiesto io a Dan di fare Columbine."

Feci un respiro profondo e cercai, con tutto me stesso, di astenermi dal tirare un pugno al vetro che mi divideva dal mio congiunto.

"Cody, io capisco che ti girino le palle a stare in prigione, a tutti girerebbero."

"Tu non ci sei mai stato in prigione."

"Perché io, al contrario di te, non sono un imbecille."

"Vorrei ricordarti che sono qui perché ho deciso di parlare con Revell. Se non mi fossi addentrato in quel maledetto istituto, a quest'ora sarei nell'attico a sballarmi e giocare a Call of Duty."

Alzai un sopracciglio. "E questa dovrebbe essere un'attenuante?"

"Come minimo."

"Sai quale sarebbe una vera attenuante? Intendo, davanti a un giudice."

"Quale?"

"Collaborare."

"Alla tua ragazza ho già detto anche troppo."

Feci un sospiro pregno di esasperazione. "Non è la mia ragazza."

Questa volta fu lui ad alzare un sopracciglio. "Davvero?"

"Sì."

"Dan pensa che fate cose indicibili sotto le lenzuola."

"Dan è un coglione."

"Vero. Ma resta il fatto che se collaboro, quelli mi fanno a pezzi. E, sebbene mi manchi, non mi va di andare a fare visita a mio padre tanto presto."

"Lo capisco, ma se non lo fai potresti marcire qui dentro."

"È un bel dilemma, Chuck." Appoggiò l'indice e il pollice sul mento, socchiudendo un occhio. "Sarò onesto con te, non so davvero niente di ciò che sta succedendo fuori da qui, ma posso dirti una cosa."

"Cosa?"

"Credo che Dan stia reclutando uomini da tutta la nazione, forse anche dal Messico."

Quella dichiarazione attizzò il mio interesse. "Ne sei sicuro?"

"Quasi. Insomma, negli ultimi mesi c'è sempre stato un gran viavai di persone. Avrò visto almeno un centinaio di facce nuove, se non di più."

"E a quale scopo?"

"Parlava di espansione. So per certo che ha agganci a Washington, New York e Miami."

"Nient'altro?"

"No, purtroppo", mi rispose, desolato.

The enforcer - Sventure di un insolito sicarioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora