Capitolo trentaquattro

78 3 97
                                    

Il ragazzino vagava senza meta, solo, con le mani nelle tasche del suo vecchio e logoro giaccone, cercando qualcosa. Neanche lui sapeva cosa, ma aveva fame.
Inquadrò una casa e si avvicinò, studiando l'interno dalle finestre. Le luci erano accese nelle camere, e dalla cucina veniva un profumino che gli fece brontolare lo stomaco. La finestra era aperta.
Intrufolarsi fu facile. Farsi beccare ancora di più.
-oh, piccolo caro- la proprietaria di casa si chinò per essere alla sua altezza e gli sollevò il viso con una mano. Lui, con dei pani in mano, non ebbe il coraggio di muoversi -sei tutto sporco. Hai una famiglia? Qualcuno che si occupi di te?
Il ragazzino si rabbuiò e scosse la testa, liberandosi con uno strattone dalla sua presa gentile. Da dietro la gonna della donna spuntò un altro ragazzino, forse un poco più giovane di lui, che lo raggiunse e gli prese le mani, facendogli cadere a terra il suo bottino, e lo studiò attentamente. Aveva due occhi verdi inquietanti, privi di emozione, un po' assonnati, e portava i capelli castani lunghi fino alle spalle.
Quando sembrò averlo analizzato per bene, si girò verso la donna, evidentemente sua madre, e le disse qualcosa in una lingua al ragazzino sconosciuta.
Quella annuì, poi ridacchiò -non fare il maleducato, Hercules. Parla in modo che tutti capiscano.
Hercules tornò a guardarlo e parlò di nuovo, questa volta nella lingua nuova.
-hai le mani fredde.
Alla faccia dell'attenta analisi. Aggrottò la fronte -e quindi?
-hai anche dei calli e delle cicatrici. È strano a quest'età. Che ti è successo?
-affari miei- sbottò, allontanandole sue mani dalla sua presa.
-tesoro- intervenne la madre -ti va di restare qui per la notte? Puoi mangiare con noi, e se dopo vuoi andartene sei libero di farlo. Immagino che avrai fame.
Il ragazzino avrebbe voluto rifiutare, ormai aveva imparato che le persone non erano mai così gentili senza dei secondi fini... ma aveva fame, e se poi poteva andarsene quando voleva...

Il bambino piangeva. Era piccolo, poco più di un neonato, e, per le esperienze che entro poco avrebbe fatto, poco meno di un uomo.
La madre lo sistemò in una cesta e lo spinse nella grata. Per qualche secondo restò nel buio e nel silenzio, quasi un momento sacrale, il suo passaggio alla sua nuova vita, la sua iniziazione a tutte le cose brutte del mondo. Non osava fiatare, aveva istintivamente paura del buio, ma al tempo stesso ne era rassicurato, come se l'oscurità fosse una coperta rimboccata da una mamma che non avrebbe mai avuto.
Forse, se fosse rimasto lì altro tempo, magari per sempre, le cose sarebbero andate diversamente. Forse sarebbe morto lì, nell'unica coperta rimboccata con amore che avrebbe mai avuto, e sarebbe stato meglio così. Meno sofferenza, meno dolore. Sarebbe rimasto in eterno al buio, tranquillo, senza piangere.
Però qualcuno aprì lo sportello dall'altra parte, accecandolo con la luce. Non la voleva la luce. Non gli piaceva la luce.
-ne è arrivato un altro- una mano callosa molto poco delicata lo tirò dentro, alla vita -la smetteranno mai di ingravidare quelle troiette o dovremo occuparci di questi bastardelli per sempre?

Alla fine era rimasto lì. Per anni, a dirla tutta. Aveva sedici anni quando Elena, la madre di Hercules, morì.
-Sadiq- lo chiamò, dal letto di morte -devo dirti alcune- colpo di tosse -cose, prima di andarmene
-non fare la stupida e prendi le tue medicine- la rimproverò, porgendole una pillola rossa e un bicchiere d'acqua. Elena scosse la testa -non serve, sto per andarmene. È giusto così, le Moire stanno per tagliare il filo.
-non dire cazzate- cercò di farle prendere la medicina, ma quella non volle sentire ragioni.
-Sadiq, ascoltami. Ho bisogno che tu mi faccia una promessa.
Quello sospirò -se lo faccio, poi prendi questa dannata pillola?- Elena annuì -allora va bene. Cosa vuoi?
-prenditi cura di Hercules. Non te lo lascerà fare, non vorrà, ma tu fallo lo stesso, anche a costo di farti odiare.
Sadiq annuì. Non ci voleva tanto a prometterglielo, lo avrebbe fatto comunque -certo.
-sei un bravo ragazzo- gli accarezzò la guancia, con un sorriso triste -sei destinato a cambiare il mondo, lo sai?- incapace di reggere il suo sguardo curioso, lo abbassò sul bicchiere che le aveva porso -anche se forse non nel modo che pensi tu.

Rebuild MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora