La cella faceva schifo. Fredda, umida, sporca, decisamente troppo piccola per sette persone. E soprattutto non era minimamente adatta a curare un ferito.
Come tutti, Antonio fu perquisito e gli fu tolto il suo zaino, insieme a tutte le sue armi. Tuttavia, e per fortuna, gli lasciarono un kit di pronto soccorso per curare Gilbert, che non aveva fatto altro che imprecare e bestemmiare, mentre il sangue sgorgava dalla sua gamba. Era stato Ludwig a portarlo giù per scale fino alla cella, tenendolo sulle spalle il più delicatamente possibile, anche lui pallido, e Gilbert non aveva avuto la forza neanche di aggrapparsi per bene a lui. Era semplicemente rimasto lì, la gamba che sembrava lava pura per quanto bruciava e il resto del corpo sempre più freddo, lasciandosi andare contro la schiena del suo fratellino come un peso morto. Neanche la forza di farcela da solo... che delusione di fratello maggiore che era.
Per fortuna, si disse Antonio, un pregio di quelle celle c'era: erano luminose. Visto che, logicamente, i prigionieri li tieni d'occhio meglio alla luce del sole, avevano rinunciato all'aspetto da film scadente americano e avevano messo delle luci al led sui tetti, rendendo l'ambiente sì disgustoso, sì tremendo, sì lurido, ma almeno luminoso. Mettevano anche una certa ansia tutte quelle luci, ma per medicare qualcuno erano ottime.
E così, non appena erano arrivati, Antonio aveva fatto sdraiare Gilbert a terra e gli aveva scoperto la gamba, togliendo la fascia che gli aveva stretto per bloccare il sangue e quel che rimaneva della gamba dei pantaloni, il più delicatamente possibile visti i brandelli di tessuto incollati alla ferita. Imprecò.
-farà male.
-fa già male- replicò Gilbert, matido di sudore, la voce tremante e quasi stridula -datti una mossa, chissene fotte.
Antonio annuì. Si girò verso Eliza -tienilo sveglio.
La ragazza aggrottò la fronte. Le tremavano le mani e non riusciva a distogliere lo sguardo dalla ferita -p-perché io? Forse è meglio Lud...
-perché ha una fottussima cotta per te e ha bisogno di qualcosa di bello e tranquillizzante- la interruppe, esasperato, disinfettando le pinzette -quindi tienilo sveglio e non rompere i coglioni.
Lei annuì, con le mani che tremavano, sedendosi lì vicino e sistemandosi la testa del ferito in grembo, delicatamente. Quello gemette di dolore, con gli occhi socchiusi.
-e comunque non... non è vero che ho una cotta per te...- sussurrò. Eliza gli diede un leggero schiaffo sulla guancia.
-guardami- ordinò, ottenendo la sua attenzione -se chiudi gli occhi, ti uccido io con le mie mani.
-una morte m-migliore che finire dissanguato qui.
-non è vero- prese a giocherellare con i suoi capelli, nervosa -tieni gli occhi aperti cazzo. Guardami.
Gilbert si sforzò di obbedire.
Antonio, nel frattempo, aveva anestetizzato alla meglio la ferita, e ora stava rimuovendo con le pinzette i brandelli dei pantaloni. Per fortuna aveva la mano ferma.
-Ludwig- chiamò, togliendo l'ennesimo pezzo -stai fermo.
Il ragazzo, che per tutto quel tempo aveva camminato avanti e indietro per il nervoso, obbedì, sedendosi accanto a Feliciano, che stava osservando la scena senza neanche sbattere le palpebre, come se avesse paura di vederli scomparire davanti ai suoi occhi.
Arthur gli si sedette vicino -hai bisogno di una mano?
-passami il disinfettante- in effetti un infermiere non era male.
-Gilbert guardami. Se usciamo da qui, mi devi offrire una cena, chiaro?
-m-mi stai invitando a un a-appuntamento?
-sì. Ma devi uscire vivo da qui, e possibilmente non rimetterci una gamba. Ti voglio tutto intero.
-mi vuoi...-sussurrò, rapito, quasi sognante. Eliza roteò gli occhi, con un piccolo sorriso.
-sì, testa di cazzo. Però guardami.
-sei bellissima. Certo che ti guardò.
-bene, ora ti farà molto male Gil- si strappò una manica della felpa, la appallottolò e gliela mise in bocca -cerca di non urlare, e non morderti la lingua.
Gilbert strinse la mano a Eliza, pallido, e quella ricambiò la stretta.
Antonio posò la garza di disinfettante sulla ferita, e tutto quello divenne ancor più simile all'Inferno.-Dios, per fortuna il proiettile non è rimasto dentro- commentò Antonio, sudato. Ridendo e scherzando, era la prima volta che operava qualcuno. Certo, non era la migliore delle situazioni e di sicuro Gilbert avrebbe avuto bisogno di altre cure, ma non era andata malissimo, almeno aveva smesso di sanguinare.
L'albino si lasciò aiutare da Eliza a mettersi seduto, e si asciugò il sudore dalla fronte con la manica della giacca.
-porca merda, che male- brontolò, appoggiandosi al muro.
-dovresti riposare.
-già, e noi non dovremmo essere in una cella di merda, ma guarda un po' la vita- sembrò ricordarsi di qualcosa. Diede un pugno all'amico -questo è per aver detto quella cosa. E questo- altro pugno -è per aver trattato male una signora. Credevo che voi latini foste dei donnaioli.
Antonio si massaggiò il braccio dolorante, con un sorriso divertito -e per averti salvato la vita niente?
-se vuoi un bacio basta chiedere- ghignò, e Antonio si ritrovò a sorridere. Se faceva battute stupide, stava bene.
-e comunque non è vero. Guarda me e Francis. Ti sembriamo dei donnaioli?
-degli uomaioli semmai- concordò Gilbert.
Eliza roteò gli occhi -se dici stronzate stai bene- stabilì. Gli porse dell'acqua -bevi.
-agli ordini, signora.
Ludwig, che non aveva ancora distolto lo sguardo da suo fratello, si azzardò a parlare -qualche idea per uscire da qui?
-ci tirerà fuori Lovi- dichiarò lo spagnolo, sistemando gli attrezzi nella scatolina bianca del pronto soccorso.
-"Lovi" ci ha traditi- il suo fu quasi un ringhio. Antonio roteò gli occhi.
-erano stronzate.
-te ne sei accorto anche tu?- pigolò Feliciano, con le ginocchia strette al petto -ha mentito. Deve avere qualcosa in mente.
-non per dire, ma siamo circondati da telecamere e microfoni...- intervenne Eliza.
-non credo ci siano microfoni- replicò Arthur -perché dovrebbe interessargli quel che diciamo? Tanto siamo bloccati qui e ci uccideranno domani. Tanto vale che parliamo del tempo.
-dite che ci tortureranno?- mormorò Gilbert, lugubre. Eliza gli diede un piccolo colpetto sulla spalla.
-non cominciare a deprimerti anche tu.
-vogliono sapere dov'è il Punto Omega- replicò, con una scrollata di spalle -è la cosa più semplice da fare, dal loro punto di vista. Si fanno dire dov'è, mandano due o tre aerei e bombardano tutto.
-be', ora preoccupiamoci di uscire. In caso o non gli diciamo niente o gli diamo delle coordinate sbagliate e fine.
-comunque, Lovino ci tirerà fuori- intervenne Feliciano. Replicò i gesti fatti dal fratello -questo- girò gli indici -significa "dopo", mentre questo- sbatté la mano sinistra contro il palmo della destra -significa "andatevene".
-cos'è, lingua dei segni?
Feliciano sbuffò, divertito -no. Sono i gesti italiani, praticamente l'unica cosa che hanno in comune nord e sud Italia. A differenza di quello che si pensa, i nostri gesti non sono a caso, e non abbiamo solo questo- sapete il solito gesto che associano agli italiani? Quello immediatamente seguito da "pizza pasta mandolino mafia". Dai, lo sapete, non devo descriverlo, su che non ne avete voglia, sapete che razza di casino è spiegarli?
-e poi- intervenne Antonio -ha mentito anche sul resto.
A Feliciano si illuminarono gli occhi -esatto! Non è vero che la gente preferisce me eccetera, è una cosa che si è inventato per essere più credibile.
Antonio rischiò di strozzarsi per le risate. Non poteva... no dai.
-davvero, Feli? Non dirmi che neanche te ne rendi conto, dai- gli ci volle un po' a smettere di ridere, a dirla tutta -Feli, tuo fratello ha quello che penso sia il più grande complesso di inferiorità che abbia mai visto, più grande persino di quello di Gil.
Il tedesco in questione gli diede una gomitata, ammonendolo sullo sguardo. Antonio roteò gli occhi -dai, Gil, è ora che crescano. Ma se non vuoi pensarci tu...- alzò le spalle -va bene, parliamo di Lovino- si girò verso Feliciano -tuo fratello si sente una merda in confronto a te. Quella parte lì era vera, anche se evidentemente non te n'eri accorto. E sì, tuo nonno fa delle preferenze mostruose, e dovrebbe decisamente smetterla. La bugia era la fine: Lovi non vuole essere migliore di te, pensa di non esserlo e fine, e ti vuole un bene dell'anima. Con l'autostima che ha, non gliene frega niente di dimostrarsi migliore di te o di "sconfiggerti": pensa veramente che tu sia meglio di lui in tutto.
Feliciano aggrottò la fronte -ma è...
-Antonio- lo chiamarono da fuori. Lo spagnolo si irrigidì, ma sospirò.
-ciao, fratellino.
-siamo gemelli- lo corresse istintivamente. Poi sembrò ricordarsi del motivo per cui era lì -devi andare in bagno, vero?
-a quanto pare- si alzò, con un sorriso affabile. Tranquillizzò i suoi amici con un cenno del capo e poi uscì, seguendo il fratello in bagno, scortato dalle guardie.
-lasciateci soli- abbaiò Joāo una volta in bagno, e quelli obbedirono. Non appena ebbe sentito la porta chiudersi dietro di lui, diede un pugno dritto in faccia a Joāo, facendolo sbattere contro il muro.
-ma che ti sei rincoglionito?!
-non me ne frega un cazzo se sei mio fratello- ringhiò, avvicinandosi -se fai del male a Lovi o ai miei amici io...
-sì sì, tutto molto bello- lo incenerì con lo sguardo... o almeno, con l'occhio buono, l'altro stava pulsando in maniera preoccupante -peccato che sia dalla vostra parte, stupido.
Antonio sbatté le palpebre -ma se hai proposto di...
-per evitare che vi uccidesse tutti sul momento- lo interruppe, rimettendosi dritto. Cercò qualcosa in tasca e tirò fuori il crocifisso di Antonio -il tuo ragazzo mi ha dato questo, se non ti fidassi.
Antonio lo prese e se lo rigirò tra le mani, riflettendo. Poi annuì -va bene. Dimmi.
-spogliati- ordinò, togliendosi la giacca.
-c... cosa?
-spogliati- ripeté, lanciandogli la sua maglietta -dobbiamo fare a cambio. E tra parentesi, siete fortunati che abbia intercettato le frequenze dei microfoni, o vi avrebbero beccati subito. Ora spogliati.
-ehm... va bene- si tolse la maglia e gliela passò -non dobbiamo scambiarci anche le mutande, vero?
Joāo aggrottò la fronte -ma che... no, certo che no!- sospirò -senti, l'idea è questa. Io entro nella cella al tuo posto e tu vai da Lovino.
-e questo... perché?- chiese, cercando di pensare razionalmente. Stava per rivedere Lovino, da soli...
Concentrazione!
-lo vedrai. Io ho da fare con i tuoi amichetti, spero mi diano retta- rivestito, si sciolse il suo solito codino e gli porse il nastro rosso che usava di solito -sai come si fa, vero?
-ehm...
Sbuffò, divertito -girati, ci penso io.
Le sue mani erano gentili, in qualche modo, ma anche rapide. Antonio trattenne una smorfia, gli davano fastidio i capelli legati. Era per quello che di solito li tag...
-aah. Per questo Lovino mi ha detto di farli crescere- capì, mentre quello finiva il fiocco.
-già.
-mi sembrava strano. Mi ripete sempre di tagliarli.
-lavati le mani, sono sporche di sangue secco- gli ricordò Joāo. Antonio obbedì, e sentì un leggero senso di colpa pungolargli il cervello.
-ehm... scusa per il pugno.
Joāo grugnì -non importa, almeno così è più credibile. Penseranno che ti abbia voluto picchiare per qualche conto in sospeso o stronzate simili- gli prese le mani per attirare la sua attenzione -ora ascoltami. Quando esci da qui, ti trovi davanti a un corridoio, hai presente? A destra ci sono le celle, a sinistra c'è il gabbiotto da cui le guardie vi controllano. Circa a metà c'è la vostra gabbia. Mi lasci lì, poi arrivi alla fine del corridoio e sali le scale fino in cima. Ti trovi in un grande atrio, e c'è una porta enorme che porta all'uscita. Esci e lì trovi Lovino. Non ti puoi sbagliare. Cerca di essere credibile, non sorridere, non andare troppo di corsa e mostrati sicuro di te, e non toccare Lovino finché non siete soli al sicuro, chiaro?
Antonio annuì. Poi lo attirò in un abbraccio.
-mi sei mancato- disse, semplicemente. Si allontanò e gli sorrise -grazie di aver tenuto d'occhio il mio Lovi.
-sì, sì. Ora togliti quella smorfia dalla guancia e fai come ti ho detto.
Antonio si sforzò di non sorridere e lo afferrò per un braccio.
-andiamo, prigioniero, ti riporto in cella.Per fortuna riuscì a non perdersi. E fu veramente una fortuna, perché Antonio aveva davvero un senso dell'orientamento tremendo.
Come gli aveva detto Joāo, era piuttosto difficile non notsre l'enorme portone d'ingresso. Cercando di non correre e di mostrarsi più disinvolto possibile, raggiunse la porta e uscì alla luce del sole.
Sole... in realtà era nuvoloso, ma sorvoliamo per licenza poetica. Per poco non si perdette: fece qualche passo in avanti guardandosi intorno, e così facendo superò Lovino, che era appoggiato al fianco della porta con la schiena. Se ne accorse perché sentì una mano sottile, così riconoscibile e unica, afferrare il suo polso, costringendolo a girarsi. E lì, signori, dovette fare uno sforzo cosciente per non saltare addosso a Lovino per abbracciarlo, baciarlo e ripetergli all'infinito quanto cazzo gli fosse mancato. Si limitò a un accenno di sorriso.
-eccoti- sussurrò, stringendogli la mano. Lovino distolse lo sguardo, infilandosi entrambi le mani in tasca.
-andiamo, bastardo, abbiamo da fare- e, brontolando si diresse verso un posto che conosceva solo lui. Antonio fece la cosa più naturale di tutte: lo seguì.
STAI LEGGENDO
Rebuild Me
Fanfiction(un grazie a @Mangaka05 per la copertina) Ispirato a "Shatter Me" di Tahereh Mafi Lovino era un mostro. Come altro poteva definirsi? Cos'altro poteva essere un ragazzo che distruggeva tutto quello che toccava e uccideva chiunque provasse a sfiorarlo...