Capitolo venticinque

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Sì, lo so, dovrei aggiornare dopo domani. Maaaa... mi andava. Enjoy!

Lovino si sentiva sul punto di crollare.
Una parola. Sarebbe bastato aprire la bocca, schiudere le labbra e farci passare in mezzo un filo d'aria vagamente articolato per farlo sgonfiare come un palloncino.
Vi capita mai di sentirvi la testa piena? Magari, non so, siete disperati cercando di fare un esercizio di matematica, e vi sentiti saturi. Più ci provate, più la vostra testa ci sbatte contro. È come se i vostri neuroni fossero ricoperti di ragnatele spessissime e appiccicosissime, e più provate a liberarvene più quelle si inspessiscono, e allora non c'è molto che possiate fare.
Lo volete un consiglio da amica? Smettete di lottare. Chiudete gli occhi e piangete. Sfogatevi, lasciatevi andare. Urlate, singhiozzate, bestemmiate il mondo, fate tutto quello di cui avete bisogno, finché quelle ragnatele non si scioglieranno. È inutile lottare, dopo starete meglio. Non serve combattere quando hai la testa piena di ragnetti che ti bloccano il cervello. Rilassatevi e inondateli fino a sterminarli.
Sfogatevi. Che siate da soli o in compagnia, che lo facciate piangendo, urlando, disegnando, in un qualsiasi altro modo o, come me, scrivendo, basta che vi sfoghiate.
Lasciatevi andare.
È come con le manette cinesi: più lotti e più si stringono. A volte bisogna solo rinunciare per vincere, e per farlo spesso ci vuole più coraggio che per lottare.
Be', potreste dirmi, finché sei a casa a fare i compiti okay, ma nel momento in cui devi fare una verifica, o un'interrogazione? Eh... lì, amici miei, sono, per dirla con parole povere, cazzi amari, ma è un ottimo esempio per tornare al discorso di prima e chiudere questa grossa parentesi probabilmente inutile.
Lovino si sentiva così, solo che la sua era una verifica perenne, dove non poteva mai lasciarsi andare, perché, se fosse crollato una volta, sarebbe crollato per sempre, e non poteva permettersi il tempo di recuperare; e dove non solo non aveva amici, ma anche dove, se lo avessero beccato, avrebbe fatto una brutta fine. Sì sì, era invulnerabile e tutto, ma Sadiq poteva toccarlo, e fisicamente non avrebbe avuto bisogno di chissà quanta forza per sopraffarlo.
Sapete quello che davvero gli faceva paura? La facilità con cui tutto continuava a cadergli addosso. Un giorno aveva un dramma, e quello dopo quasi se l'era scordato. Era bombardato di così tante informazioni contemporaneamente che anche una strage di innocenti gli sembrava poca cosa, solo l'ennesima notizia, subito seguita da un'altra e un'altra ancora.
Di norma, penso lo abbiate notato, tendeva a farsi mille problemi per qualsiasi cosa. Quella... chiamatela missione, impresa, battaglia o semplice rottura di coglioni, lo stava portando al limite. Non poteva continuare a farsi così tante paranoie, sarebbe impazzito. Quindi il suo cervello aveva detto okay, scremiamo le cose, e tutto valeva poco o niente. Se non fosse successo sarebbe impazzito, ma quello era forse l'inizio di quel processo che tanto lo spaventava, e che lo avrebbe portato a perdere la sua umanità?
La cosa peggiore? Persino questa preoccupazione era solo una nel mucchio. Valeva tanto quanto le altre, e cioé poco. Era solo l'ennesima ragnatela fastidiosa.
Ormai aveva perso il conto dei ragnetti, comunque. E non poteva permettersi di piangere, urlare, avere paura, perché a quel punto sarebbe stata la fine. Era sempre stato un pessimo bugiardo, ma era stato costretto a imparare in fretta.
Le bugie sono dolorose, sapete? Stancanti. Devi ricordarti a chi hai detto cosa, quando, dove, come e perché, devi stare attento a non contraddirti, a non aggiungere o togliere dettagli in contrasto o poco plausibili, a infilarci quel pizzico di verità per rendere il tutto credibile... e in tutto questo marasma, tendi a perdere di vista come stanno davvero le cose.
Tutto questo stress aveva aggiunto ai soliti, cari, buon vecchi attacchi di panico, che si erano fatti più corti ma più intensi, anche delle simpaticissime paralisi del sonno. Fantastico, no? Un bel bingo di disagio.
E se, durante gli attacchi, riusciva a volte a sussurrare tra i denti, come un mantra, i soliti tre nomi delle persone che più amava (Antonio, Feliciano e Romolo), durante le paralisi non riusciva a fare neanche quello. Restava lì, vigile, allerta, ma completamente immobile, senza potersi muovere, con il corpo che sembrava essersi ribellato alla mente. "Ci hai fatto stancare" dicevano i polmoni, e allora il cuore rincarava con "mi stai facendo soffrire", e quindi gli occhi aggiungevano un "lasciaci lavorare", e così il sistema esplodeva e lui restava fermo. E anche se avrebbe tanto voluto una pausa, quella decisamente non era la pausa che voleva.
In quei momenti, tra il sonno e la veglia, ma molto meno dolci dei vecchi risvegli con il suo ragazzo, Lovino aveva davvero voglia di mollare. Scappare, andarsene, fuggire il più lontano possibile da quell'incubo, risvegliarsi, con calma, tra le braccia di Antonio, fare colazione con Feli e andare da suo nonno.
Ma poi con che occhi li avrebbe guardati in faccia? Non avrebbe mai avuto le palle di tornare da loro, non scappando, non così. Lo avrebbero perdonato, lo sapeva, ma non voleva la loro pietà, né la loro comprensione; voleva il loro orgoglio, voleva che fossero fieri di volergli bene.
E qui potreste farmi notare che, con quello che aveva passato, tra esperimenti e sensi di colpa vari, se l'era già ampiamente meritato, e non avreste tutti i torti. Ma vedete... Lovino aveva ancora quella cosa del "sono un fottuto mostro, merito di morire e blablabla". Quindi, dal suo punto di vista, quello era sufficiente ad essere trattato come un normale essere umano. Per il resto aveva ancora da sgobbare.
Già... non aveva una gran stima di sé.
Ma questo, miei cari amici, probabilmente l'avevate già capito. Abbiamo già parlato tanto di Lovino, d'altronde è il protagonista, anche se ancora non credeva di meritarselo. Quindi forse vorreste approfondire qualcun altro.
Permettetemi quindi, dopo una linea bianca per mantenere un minimo d'ordine i questa accozzaglia di informazioni disordinata, di raccontarvi qualche scena per comprendere meglio altri personaggi altrettanto importanti, anche perché, presumo, il capitolo precedente vi abbia lasciato una certa angoscia, e lungi da me farvi aspettare ancora.
Andiamo allora.

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