Capitolo ventidue

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Lo ammetto, per la arte finale ho preso ispirazione da chiamami col tuo nome. Ma, quando ho scoperto che quella parte era tratta da un romanzo francese, non ho resistito. Buona lettura, non odiatemi.

Feliciano era stanco di sentirsi un bambino.
Aveva sedici anni. Non era ancora un adulto, ma c'era vicino. Suo nonno però era leggermente iperprotettivo (notare il sarcasmo), quindi continuava a trattarlo come se avesse otto anni.
E lui era stanco. Voleva crescere. Vedeva tutti intorno a sé rendersi indipendenti- suo fratello, Kiku, persino il suo ragazzo- e l'unico che restava indietro era lui. Anzi, per essere precisi un po' restava indietro, un po' ce lo lasciavano.
Per questo scappava. Non usciva, aveva paura di andare fuori da solo, e poi suo nonno lo avrebbe ammazzato se lo avesse scoperto, ma si allontanava il più possibile da lì. Si infilava le sue scarpe di tela e prendeva tutte le strade che non conosceva, ed essendo il Punto Omega molto grande non ci metteva molto a perdersi. Lo faceva da quando aveva undici anni, e suo nonno ormai neanche si preoccupava più: sapeva che sarebbe tornato. Lo sapeva anche Feliciano, ma questo non significava che non potesse smarrirsi tra quei corridoi sconosciuti e fingere di non tornare più indietro, anche se poi, alla fine, ritrovava sempre la vita di casa.
Quel giorno era depresso. Strano ma vero, capitava anche a lui. Gli mancava suo fratello, suo nonno era troppo occupato a lavorare, il suo ragazzo era troppo occupato con uno studio su non-sapeva-cosa, e lui si sentiva, come sempre, lasciato indietro. Aveva la perenne sensazione che il mondo andasse avanti, lasciandolo fermo al punto di partenza. In quel momento avrebbe solo voluto un abbraccio, ma nessuno era lì per darglielo, e probabilmente non lo avrebbe comunque accettato. Sapeva che era il momento di crescere, di smettere di dipendere dagli altri almeno in certe cose, ma non era così semplice, e nessuno glielo rendeva facile, continuando a trattarlo come un bambino.
E così scappava.
Gli era sempre riuscito bene. Che si trattasse di scappare via tramite i suoi disegni o con le proprie gambe, in quello era sempre stato bravo, e, come potete ben intuire, di motivi per farlo ne aveva avuti parecchi.
Continuò a camminare. Non aveva niente con sé, solo un taccuino e una matita nella tasca della felpa. Adorava quella felpa, l'aveva rubata a Ludwig, aveva le tasche enormi e riusciva a nasconderci di tutto; inoltre le maniche più lunghe delle sue braccia gli davano la sensazione che le sue dita stessero affondando nel tessuto, immergendosi nel bianco, nel tutto e nel nulla al tempo stesso, senza riemergene più. E forse era quello che voleva: immergersi nelle strade, nelle pieghe dei corridoi e delle svolte, fino a non ritornare mai, trovare il suo angolino di silenzio dove nessuno poteva farlo sentire inadeguato e staserne lì, finalmente tranquillo.
Vi è mai capitato di sentirvi a disagio? Siete con altre persone, commentate qualcosa, o fate una battuta o un ragionamento o qualcosa, e quelli vi guardano straniti, come se aveste detto chissà che cosa, facendovi sentire una merda, completamente sbagliati e inadeguati. Ecco, Feliciano si sentiva sempre così; come se tutti lo vedessero come un bambino scemo. E allora cosa gli restava da fare, se non adeguarsi alle loro aspettative? Ci aveva provato a cambiare, tanto, sempre, e tutto quello che aveva guadagnato erano facce stranite e occhiate storte. E allora, come avrebbe detto suo fratello, vaffanculo.
Si conficcò le unghie nei palmi delle mani per non piangere, ma fu inutile. Era fatto così: quando era felice rideva, quando era triste piangeva.

sei un bambino
sarai sempre inadeguato

Ricordò tutte quelle volte. Le occhiate oblique dei suoi coetanei, il modo frettoloso in cui lo mandavano via quelli più grandi, suo nonno che gli impediva di ascoltare qualsiasi discorso serio o importante perché "poi ti agiti".
Si mise a correre.

bambino
bambino
bambino
bambino
bambino

Corse più velocemente, senza una meta. Aveva solo bisogno di scappare.
Sentiva i polmoni bruciare, le gambe scattare, le guance bagnate ma si sentiva così vivo; era dannatamente bello sfogare la tristezza con qualcosa di fisico.

Rebuild MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora