Capitolo trentanove

104 3 88
                                    

Buonciao! Occhio: nel primo paragrafo ci sono argomenti delicati. Buona lettura!

Arthur sospirò, stanco, allentandosi il nodo alla cravatta e buttandosi sul letto del francese senza troppi complimenti.
-fuck, quella festa sembrava non finire più- brontolò, sfilandosi le scarpe. Francis rise e si sdraiò al suo fianco, appoggiandosi a lui. Socchiuse gli occhi.
-Arthùr?
-mh?
Il suo sguardo si perse in lontananza -non... non ti ho mai raccontato del mio... periodo, prima di venire qui. Forse dovrei.
Arthur lo guardò, preoccupato -ma ti sembra il modo di uscirtene così, all'improvviso?
Francis si sdraiò in modo da avere il viso affianco al suo sul cuscino e si lasciò sfuggire una risatina -scusa. Stavo solo... pensando.
-a cosa?
Scrollò le spalle, restando in silenzio, con lo sguardo puntato al soffitto. Chissà cosa ci sarebbe stato... oltre.
Arthur gli accarezzò la guancia con due nocche -Francis? Stai bene?
Scosse la testa, tornando a guardarlo -io... sì, scusa- si sforzò di imbastire un sorriso -che stavi dicendo?
-se senti il bisogno di... parlarmene- mormorò, stringendogli la mano -sono qui.
Francis annuì, socchiudendo gli occhi. Sospirò -avevo sette anni. I miei mi vendettero a un circo di passaggio pensando che mi avrebbero fatto fare il giocoliere o qualcosa di simile.
-ti... vendettero?
Francis annuì -avevo tanti fratelli e non arrivavamo a fine mese. Erano convinti che mi avrebbero trattato bene.
-ma...- scosse la testa -scusa. Continua.
Francis lo baciò a stampo -all'inizio era bello. Avevo dei bei vestiti e una stanza tutta mia. Poi un giorno il capo del circo entrò con un signore e mi disse di fare quello che voleva lui- gli si seccò la gola -provai a protestare o a scappare, ma non...- gli servì uno sforzo cosciente per ricordarsi di essere al sicuro -mi picchiava se parlavo e mi schiacciò per terra per non farmi scappare- una lacrima gli corse lungo la guancia -non camminai per tre giorni, in seguito- si asciugò la guancia -il tipo aveva pagato tanto, ma al circo, non a me. Dopo una settimana arrivò un altro uomo. E poi un altro. E un altro. E così via, per anni- un brivido lo scosse dalla testa ai piedi, in ogni cellula del suo corpo -e a un certo punto semplicemente smisi di lottare. Smisi di piangere, di parlare, li lasciavo fare e basta. Nel frattempo mi avevano insegnato...- gli uscì una mezza risata -insegnato... frustato finché non ho imparato, a usare il mio potere per il vino, e se sbagliavo...- altri brividi -in teoria posso modificare ogni liquido. In pratica riesco a trattare solo il vino. Per quanto ci provi non...- il respiro si affannò. Arthur gli strinse la mano per riportarlo alla realtà.
-va bene così- disse, sicuro, fermo, saldo -nessuno ti obbliga a fare nulla.
Francis annuì, cercando di regolarizzare il fiato. Gli ci volle qualche minuto, e diverse carezze di Arthur, per riuscire a parlare di nuovo -un giorno, quando avevo quindici anni, venne un uomo strano. Era più bello degli altri, più gentile, e non mi guardava in modo...- gesticolò leggermente -hai capito. Parlò e basta. Mi chiese se volessi andarmene, se ci fossero altri ragazzi come me... non dissi molto, non ci riuscivo e comunque non sapevo che dirgli, ma alla fine mi rilassai tanto che tornai a parlare un po', dopo tanto tempo- si lasciò sfuggire un minuscolo sorriso -era Romolo. Venne qualche altra volta, mi rassicurò, e riuscì a portare dentro anche un altro ragazzino, Antonio, con cui farmi chiaccherare- gli sorrise -erano anni che non parlavo con qualcuno della mia età. E così mi ha proposto di andarmene con lui in un posto sicuro- strinse le ginocchia al petto -e alla fine ho accettato. L'avevo visto tre volte, lo conoscevo appena, neanche lui sapeva dove saremmo andati, ma mi andava bene tutto, bastava andarmene. Così un giorno concordato ho...- esitò. Poi si disse che doveva essere sincero fino in fondo, anche sulla sua vendetta -li... li ho avvelenati e sono scappato.
Arthur gli strinse la mano -darling...- gli si stringeva il cuore -posso abbracciarti?
Francis annuì, con gli occhi lucidi, e scoppiò in lacrime quando quello lo strinse.
Sporco. Viscido. Mani sul suo petto, sul suo viso, sul suo sedere, mani ovunque e ogni centimetro di pelle sempre più sporco e viscido e vi prego vi prego salvatemi.
In realtà c'era molto di più. Se dovessi parlare di tutto quello che Francis sentiva, non basterebbero mille capitoli, e ancora non sarei riuscita a coglierlo appieno. Quindi mi scuso, perché, davvero, non sono in grado di descrivere una sensazione così orrenda, così profonda, così...
Poi Arthur lo toccò, e lo sporco per qualche istante, in una piccola zona, sparì. Sulla schiena, dove le mani dell'inglese erano posate sul tessuto morbido del suo vestito, Francis si sentì non dico pulito, ma leggermente meno disgustoso. Singhiozzò -stringimi...- la sua fu una preghiera, un mormorio quasi vergognoso, ma funzionò, perché quello lo strinse più forte, espandendo l'area meno viscida del resto. Singhiozzò e lo abbracciò a sua volta, scoppiando a piangere. Gli ci volle tanto, davvero tanto, per riuscire a parlare ancora.
-mi sento sempre le loro mani addosso- singhiozzò -sempre. Non importa quanto mi lavi o provi a ignorarle, mi accompagnano sempre- si strinse maggiormente a lui -abbracciami- sussurrò -mandale via.
E Arthur non poté fare a meno che obbedire, accarezzandogli lentamente la schiena.
Il ragazzo si lasciò cullare, lentamente, cercando di tornare alla calma. Esalò un sospirò tremolante -sono... sono migliorato, credo. Non mi dà fastidio se mi toccano, a parte quando...- tirò su con il naso -quando è improvviso. Però se me lo aspetto va bene- nascose il viso contro la sua spalla -e vorrei tanto, tanto, fare l'amore con te, però ho paura di tornare a sentirmi in quel modo, e non mi perdonerei mai l'idea di farti del male, mai.
-lo so. Davvero, non serve, non mi pesa, anzi. Io non mi perdonerei mai se ti facessi stare male- gli baciò il dorso della mano, facendolo sorridere a quel gesto così all'antica, così da Arthur -davvero. Non mi importa.
Francis annuì, tornando a socchiudere gli occhi, improvvisamente infastidito dalla poca luce che filtrava attraverso il tessuto della camicia di Arthur.
-Arthur- lo richiamò, dopo qualche minuto.
-dimmi.
-promettimi una cosa. Anzi, un paio di cose.
-che esigente che sei- cominciò ad accarezzargli i capelli -ti ascolto.
-domani mattina- iniziò, scandendo bene le parole -e solo domani mattina, quando si saranno svegliati per conto loro, puoi chiamarmi Antonio e Gilbert?
-mh? Certo.
-indipendentemente da come sto.
Arthur scrollò le spalle -come vuoi. Altro?
-sì. Quando me ne sarò andato, non fare cazzate. Non buttarti sull'alcool, non isolarti dal resto del mondo e stai vicino ai ragazzi.
-stasera ti va di parlare di cose allegre- commentò, sarcastico.
-sono serio.
-anch'io. Te lo prometto.
Francis sospirò di sollievo -merci.
-altro?
-sì. Mi canti una canzone? Love of my life?
Arthur sbuffò, divertito -non capirò mai perché ti piaccia così tanto sentirmi cantare. Ma se insisti... va bene.
-merci- ripeté, sollevando il viso -mi baci?
-pensavo avessimo finito con le richieste- ma lo accontentò, sollevandogli il viso con due dita per baciarlo, con tutta la dolcezza del mondo. Una lacrima scivolò lungo la guancia del francese, e insieme ad essa un sussurro riuscì a scappare, intrufolandosi tra i denti e attraversando le sue labbra.
-je t'aime...
Il bacio finì troppo presto. Ma, ragionò Francis, mi sarebbe sempre sembrato troppo preso, quindi va bene così.
-I love you too.
Arthur gli sorrise, e sottovoce cominciò a cantare.

Rebuild MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora