Capitolo ventisette

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Buonsalve a tutti. Allora.
Visto che questa storia promette di arrivare ai cinquanta capitoli (sto scrivendo il 48 adesso, e considerando quel che deve succedere alla cinquantina ci dovrebbe arrivare), mi sono fatta due conti. Se pubblicassi un capitolo a settimana, mi ci vorrebbero circa sei mesi per pubblicare tutto. Mi sembra un tantinello eccessivo, quindi aggiornerò un po' più frequentemente.
So... enjoy!

Lovino si sentiva osservato. Ed era fastidioso.
Adesso non poteva neanche godersi il cibo in santa pace? Volevano proprio togliergli tutte le cose belle della vita? Avanti, il cibo era la sua ultima gioia.
Finì di mangiare, si alzò e uscì dalla mensa, aspettando lì vicino che il suo osservatore uscisse. Quando, pochi minuti dopo, ne uscì Ivan, gli si piantò davanti e gli puntò il dito contro -che cazzo ti guardi? Eh?
Ivan inarcò un sopracciglio -non ti stavo guardando.
-invece sì.
Quello scosse la testa -ti sbagli- fece per andarsene, ma si fermò e si girò verso di lui, con l'aria di essersi appena ricordato qualcosa di importante -ah, più tardi potresti venire nel mio studio? Dovrei discutere con te di alcune faccende.
Lovino sbuffò -ho scelta?
Ivan continuò a sorridere -no.
-fantastico. Il tuo studio dove minchia sarebbe?
-fatti accompagnare da João. Dovrò parlare anche con lui, presumo. Venite tra circa un'ora, va bene?- e, senza aspettare la sua risposta, se ne andò fischiettando qualcosa di molto simile all'inno russo.
Lovino sbuffò e, quando fu sicuro che quello fosse abbastanza lontano, gli fece il medio alle spalle. Poi si voltò e andò a cercare João.
Chissà che voleva quello psicopatico slavato.
Gli ci volle un po' a trovare João, il quale, venendo a sapere tutta la faccenda, sembrò tutto tranne che entusiasta.
-si mette male- commentò. Brontolò qualcosa in una lingua che Lovino non conosceva, scosse la testa e sospirò -ci conviene muoverci. Non è lontano, ma meglio non arrivare tardi.
-chiamiamo Hercules?
-meglio di no. Almeno, se Ivan ci facesse fuori, lui potrebbe mandare avanti la cosa. In qualche modo. Forse.
Lovino sospirò -fantastico- cominciò a fare avanti e indietro, nervoso -siamo nella merda. Ottimo.
João scrollò le spalle -non andare troppo nel panico. Non è detto che sappia, magari vuole dirti altro.
L'italiano sbuffò -certo. Ci parlerà delle sue bambole di pezza offrendoci del tè e dei biscottini.
João roteò gli occhi -non serve essere così sarcastico.
-sono sarcastico quando sono nel panico!- strillò, passandosi le mani tra i capelli.
-ora sei solo isterico.
-biasimami. Siamo nella merda, grazie al cazzo che sono isterico!- si fermò e crollò a terra, portandosi le ginocchia al petto -non ne posso più- si lasciò sfuggire.
João sbuffò -la smetti di autocommiserarti sì o no? Essere così negativo non ti aiuterà. Se vuoi che questa faccenda finisca, falla finire tu.
-lo so- ringhiò. Poi sospirò, si passò le mani sul viso e rimase così per un po'. Rimise insieme i pezzi rotti della sua mente e li coprì con le mani e con una parvenza di sanità mentale, mascherando il male con la calma. Infine, quando il velo fu abbastanza spesso, si tolse le mani dalla faccia e si alzò -scusa. Ora sto bene. Ragioniamo.
João annuì -bene. Mancano pochi minuti, ci conviene andare.
-va bene- si alzò e lo seguì fuori dalla stanza, senza dire una parola di più.
Lo studio di Ivan era nella torre degli scienziati, affianco a quello di qualche altro generale. João bussò.
-avanti.
I due si guardarono, poi Lovino aprì la porta.
Quella stanza era enorme, ma essenziale. Un lungo tavolo per le riunioni di legno scuro la divideva in due. Le pareti erano di un bel rosso scuro, intonate al tappeto pregiato che copriva quasi interamente il pavimento, ma vuote, c'era giusto una piccola libreria in fondo.
Ivan era seduto al capo tavolo, dalla parte opposta alla porta, e stava sorridendo.
-benvenuti. Chiudete la porta, grazie- João obbedì. Il biondo aumentò il suo sorriso -avanti, sedetevi.
Lovino roteò gli occhi -accanna co' 'ste formalità. Che minchia vuoi?
Il generale mostrò per una frazione di secondo una smorfia infastidita, tornando poi al suo sorriso freddo. Ecco, non c'erano altri aggettivi per descriverlo se non glaciale. Dava al ragazzo la sensazione di avere un cubetto di ghiaccio che scendeva lentamente lungo la sua schiena. Lo rendeva nervoso, e quando Lovino era nervoso esagerava con il turpiloquio (ovvero: imprecava come un marinaio che sbatteva il mignolino contro il comodino alle tre di notte).
-il supremo mi ha chiesto di discutere con te di alcune faccende- sollevò una cartellina bianca. Lovino lo raggiunse dall'altra parte della stanza e la prese -sono i risultati di alcuni esami. Pensavo fosse il caso di discuterne con te, visto che ci tieni.
Lovino annuì, leggendo. Sopra, con una calligrafia elegante ma semplice, era scritto tutt'altro, in inchiostro nero.
"So cosa state combinando tu e João. Ve ne parlerei, ma qui ci sono delle cimici. Il supremo non si fida di me e mi fa seguire ovunque"
Lovino si rivolse al russo -in quella cabina... quella dove mi avete fatto l'esame. C'erano delle telecamere?
Il sorriso di Ivan si appuntì come una stalattite -sono state distrutte. Sono rimasti giusto dei microfoni.
Bene. Quindi niente telecamere lì dentro, almeno in teoria. Girò pagina.
"State cercando di far entrare i vostri amici per fargli aprire le porte, giusto? (Annuisci se è così)"
Annuì, lentamente, con gli occhi fissi sul foglio.
"Allora forse ho qualcosa che potrebbe tornarti utile"
-come fate a capire queste cose? Quante ore dormo, come dormo... non l'ho mai detto.
-sei facile da monitorare.
Cazzo.
"Dietro questo foglio c'è una vecchia cartina. Hanno cambiato tutto, ma una parte penso che ti potrebbe tornare utile, te l'ho evidenziata. Non girare pagina, guardala solo in camera tua, quando siete soli"
-avete messo delle telecamere in camera mia? Perché non mi spiego come facciate a sapere queste cose.
-no. Intorno sì, soprattutto nei posti dove vai spesso con i tuoi amichetti.
-ah- riprese a leggere -rispetto per la privacy zero- brontolò.
"Le porte si aprono solo dall'interno. C'è un locale apposito, te l'ho evidenziato. Trovi tutto sulla cartina"
-come faccio a fidarmi di questi risultati? Che ne so che non sono truccati?
Negli occhi violetti di Ivan lampeggiò odio puro e assoluto -il nostro supremo- pronunciò quelle parole con un disprezzo tale da far accapponare la pelle -non si permetterebbe mai di fare una cosa del genere. Anche a me e soprattutto alla mia famiglia fecero esami simili ai tuoi in passato, e ti assicuro che sono attentibili.
Lovino annuì. Quindi anche Ivan era stato torturato come lui in passato. Meglio non chiedere come.
Il biondo riacquistò, pagandolo caro, il suo contegno -e comunque puoi verificare tu stesso alcuni di quei dati, sì? Ma se hai bisogno di altre conferme, possiamo riparlarne.
Annuì.
"Nelle pagine successive ci sono le spiegazioni su come aprire le porte. Non guardarle qui. Adesso chiudi la cartelina, chiedimi di portarla via e vattene normalmente. Riguardale solo in camera tua, con la porta chiusa. In cambio di queste informazioni, voglio l'amnistia per me e per la mia famiglia e tutte le cure possibili per mia sorella, nel governo che verrà"
Annuì un paio di volte -capisco. Posso portare questa roba in camera mia? Vorrei studiarmele meglio, con calma.
Ivan sorrise -certamente, tanto abbiamo delle copie.
Annuì ancora, chiudendo la cartellina e stringendosela al petto -bene. Allora vado. Grazie di avermene parlato.
-è il mio dovere.
-presumo di sì.
Uscì dalla stanza, con uno João piuttosto confuso al seguito.
-quindi...- iniziò quello.
Lovino alzò le spalle -solo alcuni esami.
Gliene avrebbe parlato dopo, quando sarebbero stati in un posto più sicuro.

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