Capitolo trentotto

106 2 34
                                    

Buonsalve miei cari amici. Sì, due capitoli di fila. Prego.
Piccolo avviso: CI SONO LE COSE SESSUOSE. Non dettagliate o esageratamente spinte, anche perché non le so scrivere, ma ci sono, quindi se vi infastidiscono saltate pure il capitolo.
Mi dileguo.

Mentre ritornava in camera sua mano nella mano con il suo ragazzo, Lovino sentiva il cuore in gola. Antonio gli strinse la mano per attirare la sua attenzione.
-stai bene?
No, pensò. Ho il cuore nel cervello e il cervello nelle palle, però annuì -sì solo...- scrollò le spalle, come a indicare una serie generica di cause: l'inquinamento, la stanchezza, il debito pubblico, l'emozione, l'inflazione, l'ansia...
Antonio però, come sempre, capì un po' troppe cose -riguardo il discordo di prima... se non te la senti non farti problemi a dirlo, va bene? Possiamo fermarci quando vuoi.
Sbuffò -ti ho detto che lo voglio. Sono solo un po' nervoso, ecco. Sono umano anch'io.
Lo spagnolo annuì, con un sorrisetto divertito -va bene, querido- lo baciò sulla guancia. Per un po' li accompagnò il silenzio, uno scomodo terzo incomodo, poi un dubbio atroce -tu hai... l'hai mai... ecco...
-no- rispose, tranquillo, ma Lovino riconobbe un puntino di nervosismo nel suo tono di voce -sai come sono fatto... sono uno sdolcinato, per me ci vuole la persona giusta.
-e... io lo sarei?- chiese, chiudendo alle proprie spalle la porta della propria stanza. Sentì due mani gentili posarsi sui suoi fianchi e spingerlo verso il muro, e poi una bocca ormai familiare stringersi alla sua, in modo dolce, per quanto quel... quella fame lo permettesse. Antonio posò la fronte contro la sua, scrutandolo con due occhi enormi, così come si guarda il più grande tesoro del mondo, un'alba spettacolare, o un tramonto perfetto.
-tu- gli sussurrò -sei la persona più giusta che riesca a immaginare.
E a quel sussurro Lovino sentì qualcosa infrangersi, dissiparsi completamente, senza lasciare neanche la cenere al suo passaggio. Tornò a baciarlo, senza più riuscire né voler fare altro, con le mani che, superata la barriera della camicia bianca, si facevano lentamente più audaci, e il cervello che sembrava essere andato completamente a puttane. Antonio però si scostò leggermente da lui, quel puntino di nervosismo diventato una marea in piena regola che gli si agitava in testa. La sua domanda fu un sussurro, da qualche parte vicino al suo orecchio.
-e... io sono quello giusto per te?
-che cazzo di domanda è? Certo che sì, idiota- gli sembrava il momento di parlare? Antonio però non sembrava convinto.
-sicuro? Non è che stai con me solo perché ero l'unico a poterti toccare e...
-no.
Se lo era già chiesto, in realtà, anche prima che tutta quella storia cominciasse, quando ancora non riusciva a toccare gli altri.
Non è che sono convinto di amarlo solo perché è l'unico che posso toccarlo? Non è che è solo gratitudine? Non è che mi sento così solo perché è stato il primo a trattarmi come un essere umano dopo anni e anni di buio?
La risposta era, semplicemente, no. Se l'era chiesto, ci aveva pensato per ore e ore, ma la risposta era sempre la stessa: no. Anche pensando alle alternative, anche potendo toccare gli altri, anche immaginando di stare con qualcun altro, la risposta rimaneva quella: no. E quando si erano allontanati, cazzo, gli era mancato talmente tanto che non poteva essere solo gratitudine, né mancanza di alternative. Lo amava e basta, fine, titoli di coda.
-no?
-no- lo baciò -non è così. Me lo sono chiesto, fidati, e semplicemente no- vedendolo dubbioso, continuò -se anche immaginassi l'uomo più bello, perfetto e figo del mondo, un Adone fatto a posta per piacere, e immaginassi che questo dio greco ci provi con me, direi di no, perché comunque preferisco te- un bacio, da Antonio questa volta -perché, semplicemente, per quanto possa provare a immaginare di baciare qualcuno migliore di te, non ci riesco. È una cosa stupida, ma non ci riesco. Potrebbero propormi tutte le alternative del mondo, ma non ci riuscirei- gli accarezzò il viso, soffermandosi sulla bocca -perché, semplicemente, ti amo.
Accadde in fretta. Ebbe appena il tempo di finire la frase prima di sentire la sua schiena sbattere violentemente contro il muro, e la bocca di Antonio sulla sua, vorace e bisognosa anche più della sua. Si aggrappò alle sue spalle, allontanandosi da lui solo per farsi sfilare la maglia. Dove andò a finire non lo sapeva, e non gli interessava, non quando anche quella di Antonio era finita chissà dove, l'aveva lanciata via lui stesso e neanche se n'era accorto, e poteva finalmente ammirare il petto dell'altro, così, esposto, davanti a lui, magari non perfetto, magari non il più bello del mondo, ma qualcosa da cui non riusciva a distogliere lo sguardo, se non per chiudere gli occhi all'ennesimo bacio. Antonio scese a dedicarsi al suo collo, e a ogni bacio che lasciava il ragazzo sentiva le ginocchia tremare un po' di più. Quello scese ancora, riempiendolo di brividi, tanto concentrato su di lui che, arrivato all'altezza dell'ombelico, si sentì riportare alla realtà da un gemito, che tanto somigliava al suo nome e che avrebbe dovuto essere un avvertimento. Diede un ultimo bacio su quella pelle da cui stava diventando quasi dipendente e si rialzò, neanche si era accorto di essersi inginocchiato, tornando a dedicarsi alle labbra del suo ragazzo, già schiuse in sua attesa. Le mani di Lovino, ben più intraprendenti del proprietario, scesero lentamente sulle sue spalle, giù, lungo gli addominali, fino alla chiusura dei jeans stretti, e Antonio non riuscì a non gemere quando sentì i pantaloni venir tolti, quasi strattonati via, e rimase solo un quasi insificante pezzo di tessuto scuro tra lui e quelle mani. Lovino sembrò soddisfatto di essersi un po' vendicato, perché scese a sua volta a baciare, più a mordere in realtà, il collo del suo ragazzo, lasciando le mani lì, ferme, quasi a prenderlo in giro. Antonio, in risposta, si intrufolò senza troppi preamboli nei suoi pantaloni, superando le mutande e stringendo, senza più ostacoli, quel sedere sodo tra le mani, strappandogli un mugolio acuto e un morso più forte appena sotto il suo orecchio, doloroso ma tutt'altro che spiacevole.
Un sussurro tremante contro l'orecchio lo risvegliò almeno in piccola parte da quel sogno di gemiti e mugolii, e gli ci volle, al suo cervello annebbiato dagli ormoni, qualche secondo per capire a pieno le sue parole.
-il... il l-letto- e, mierda, non aspettava altro. Arretrò, lentamente, cercando le sue labbra, che Lovino fu ben contento di dargli... e all'improvviso era sul pavimento.
Si guardò intorno, sconcertato, con il sedere per terra, le mani dietro di sé nella vana speranza di tenersi su, la testa che aveva sbattuto contro il bordo del letto. Individuò il colpevole: la sua stessa maglietta, caduta a terra nella foga del momento, sulla quale, a quanto pareva, era scivolato. Con gli occhi sgranati portò lo sguardo sull'italiano, che lo osservava con un labbro tra i denti.
E, a quello sguardo, l'italiano non riuscì più a trattenersi. Tra la sua espressione scioccata, l'assurdità di tutta quella situazione, il residuo di nervosismo per quello che stava per accadere... che era sul punto di accadere, se non fosse stato per quel piccolo incidente, e, forse, anche un lieve residuo delle due dita di amaro che si era bevuto quella sera, Lovino fece l'unica cosa che poteva fare in una situazione simile: scoppiò a ridere. Forte, di gusto, tanto da sentire la pancia fare male, e Antonio pensò di essere morto battendo la testa perché, davvero, quel suono non poteva essere definito in altro modo se non il canto degli angeli. Lo lasciò spiazzato ancor più di quanto già non fosse, lasciando nel suo cervello solo due informazioni. Primo, quanto quella risata fosse stupenda e assolutamente perfetta, e avrebbe voluto portarsi dietro un registratore per potersela portare sempre dietro, e secondo...
-ho vinto la scommessa- mormorò, osservandolo ridere. A Lovino ci vollero un paio di secondi per riuscire a parlare.
-cosa?- rise di nuovo, portandosi una mano sulla pancia per calmarsi. Antonio sogghignò e si sedette meglio, avvolgendogli le gambe con le braccia per fargli perdere l'equilibrio e ritrovarlo affianco a sé. Lovino non riuscì a opporre troppa resistenza, e così si ritrovò con le ginocchia sul pavimento freddo, piegato in due per il ridere.
-ho vinto la scommessa- gli ripeté dritto contro l'orecchio, tirandoselo addosso. Lovino lo guardò, il corpo ancora scosso dalle risate.
-quale...- rise ancora quando quello prese a fargli il solletico sul collo, e gli ci volle qualche momento per riuscire a concludere la frase -quale scommessa?
-quella che abbiamo fatto nella cella- gli ricordò, portandogli le mani sui fianchi, e quello appoggiò il viso nell'incavo del suo collo -avevo scommesso che sarei riuscito a farti ridere- e, a riprova della sua vittoria, gli solleticò leggermente i fianchi, facendolo ridere contro la sua spalla -e ce l'ho fatta.
-è per questo che... che sei caduto come un sacco di patate? Per la scommessa?- riprese a ridere, senza riuscire a fermarsi. Sì, si disse Antonio, avrei dovuto decisamente portarmi dietro un registratore, o meglio ancora una videocamera, sei stupendo mentre ridi... dovresti vederti.
-ho i miei segreti- rispose, con un sorrisino furbo, nonostante il tutto fosse stato completamente involontario.
-e... e sentiamo, che vorresti come ricompensa per- risatina -aver vinto la scommessa?
Antonio fece finta di pensarci, accarezzandogli i fianchi.
-un bacio- stabilì infine, sorridendo -un bacio dal mio dolce principessino.
-principessino un cazzo- replicò, sistemandosi meglio su di lui e prendendogli il viso tra le mani. Aveva un sorriso così bello che Antonio si trattenne dal baciarlo lui stesso -un bacio eh?- lo baciò sulla guancia -qui ti piace?- sull'altra guancia -o qui?- sul naso -o meglio qui?- percorse il suo petto con la punta del dito, fingendo di pensare. Poi lo baciò sulla mascella, al confine con il collo -o forse è meglio qui?- sussurrò, dandogli i brividi. Scese ancora, baciò il segno di un morso che lui stesso aveva dato e poi scese ancora, fino alle clavicole e alle spalle. Lo guardò, con gli occhi illuminati da una malizia nuova, e gli prese le mani, che a loro volta erano scese parecchio, riportandosele sui fianchi.
-fermo- sussurrò, baciandolo al centro del petto, in corrispondenza, più o meno, del cuore. Antonio mugolò in protesta.
-stai trasformando il mio premio in una tortura- si lamentò, sottovoce, con tono infantile. Lovino ridacchiò e salì a baciarlo sulla fronte.
-hai detto che volevi che io ti baciassi, non che volevi baciarmi tu- gli ricordò, baciandolo di nuovo sulla guancia -né quando né quanto e né tantomeno dove.
Antonio si imbronciò, e quello rise di nuovo, baciandolo sulla fronte e facendogli posare la testa contro il suo petto, accarezzandogli lentamente i capelli. Sospirò -il mio piccolo bimbo.
-no soy un bimbo- replicò, portando le mani sulla sua schiena e stringendoselo contro, senza incontrare proteste questa volta. Lovino lo baciò tra i capelli, che profumavano di mandorle. Dopo qualche secondo in quella posizione, lo allontanò da sé, con le mani alla base del suo collo. Appoggiò la fronte contro la sua, osservandolo.
-vuoi che ti baci?- domandò, anche se sapeva già la risposta. Antonio annuì, con un piccolo e adorabile broncio da bambino in viso.
-sulle labbra- specificò, questa volta.
-vedo che impari in fretta- gli sussurrò sulle labbra, divertito. Poi lo baciò, e Antonio ne approfittò per divertirsi un po'. Capovolse le posizioni, premendogli la schiena contro il pavimento, e, sempre con le labbra premute sulle sue, andò a togliergli del tutto i pantaloni, che quello calciò via senza troppi problemi, allargando le gambe intorno al suo bacino per tenerselo stretto. Come se ce ne fosse stato bisogno, poi. Però lo spagnolo colse l'occasione per sistemarsi meglio tra le sue gambe, scontrando, volontariamente, i loro bacini, per farlo gemere direttamente contro la sua bocca. Lovino gli morse il labbro inferiore, per vendetta.
-sei un bastardo- gli ansimò, tra un bacio e l'altro, strusciandosi istintivamente contro di lui per cercare piacere. Quello rise, lasciandogli capovolgere di nuovo le posizioni per ritrovarselo a cavalcioni sul proprio grembo. Lovino riprese a strusciarsi, prendendo piano piano sempre più confidenza, e imparando ad andare a ritmo con lui, superando, passo dopo passo, gemito come gemito, ogni minimo strascico di imbarazzo rimastogli. A un certo punto però si stancò di quel giochino, e si alzò, staccandosi da lui, che lo guardò confuso. Lovino in risposta gli sorrise e si buttò a pancia in su sul letto, allargando le gambe e le braccia in un chiaro invito.
Antonio non se lo fece ripetere due volte.
E... sapete una cosa? Sono quasi quaranta capitoli che li seguiamo nelle loro disavventure, senza lasciare loro un minimo di privacy, invadendo i loro pensieri e i loro sogni senza ritegno. Non vi pare il caso di lasciarli da soli, almeno in un momento delicato come questo?
No?
E vabbé, la narratrice sono io, si fa il cazzo che mi pare. Anche se ora come ora il cazzo che si sta facendo non è certo il mio (anche perché ne sono sprovvista).
Che stavo dicendo? Sì... alla prossima.

Rebuild MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora