Capitolo due

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Dopo un'altra interminabile serie di corridoi tutti uguali che non avrebbe mai ricordato, si fermarono davanti a una grande porta.
-buona fortuna, Lovi. Ti aspetto qui fuori.
Annuì distrattamente, lo superò ed entrò nella stanza. Ebbe appena il tempo di registrare le grandi librerie alle pareti prima di notare l'uomo seduto dietro la scrivania. Vederlo gli tolse la terra da sotto i piedi. No, stava sognando, non poteva essere lui. Non poteva essere così sfigato.
-nonno?- il suo fu appena un sussurro, ma quello annuì e sorrise. Aveva qualche ciuffo bianco in più, ma per il resto era identico a come lo ricordava: capelli castani, mani grandi e callose, sorriso caloroso e gentile. Romolo Augusto Vargas si alzò dalla sua poltrona e fece per avvicinarsi, ma il nipote si premette contro la porta chiusa urlandogli di stare fermo.
-cosa... che... che cazzo ci fai qui?!
-calmati- nonostante gli anni, il tono del nonno riusciva ancora a tranquillizzarlo. Sembrava dirgli "va tutto, bene. Sei a casa ora". Lovino si chiese se ce l'avesse ancora, una casa -se mi lasci parlare ti spiegherò tutto- gli indicò una delle due poltrone davanti alla scrivania. Lentamente, come se avesse paura di vederlo diventare cenere solo avvicinandosi a lui, Lovino raggiunse la poltrona e si sedette -capisco che tu abbia tante domande, ma prima lascia che ti racconti io cos'è successo, poi potrai chiedere quello che vuoi sapere- il ragazzo annuì. Il nonno aveva ancora lo stesso tono inflessibile. Sembrava avere una gran voglia di abbracciarlo, ma che si stesse trattenendo a stento anche solo dal chiederglielo. Lovino gliene fu grato. Negarglielo sarebbe stato difficile, soprattutto visto che lui stesso voleva lasciarglielo fare -partiamo dal principio. Non sappiamo da dove vengano i nostri poteri, l'ipotesi più accreditata è che siano il risultato di una mutazione genetica dovuta ai cambiamenti climatici e...
-anche tu hai dei poteri?- lo interruppe -e Feli... dov'è Feli? Sta bene? È vivo?
Romolo alzò una mano per fermarlo -sì, abbiamo tutti e tre dei poteri. Feliciano sta bene, immagino sarà qui tra poco.
-e quale...- Romolo mosse un dito e un foglio si sollevò dal tavolo e si avvicinò alla sua guancia, accarezzandogliela dolcemente -ah.
-già. Telecinesi. Forte eh?- sorrise per qualche secondo, poi continuò -comunque, il governo ci dà la caccia da quando abbiamo cominciato a esistere, una trentina di anni fa. Presumo vogliano sfruttare quelli che reputano utili e uccidere gli altri. Non voglio dare loro l'opportunità di farmelo scoprire. Quando tu e Feli eravate piccoli vivevamo nascosti in mezzo al resto del mondo, volevo darvi una vita normale. Speravo...- scosse la testa -insomma sapevo che anche voi avreste potuto avere dei poteri, ma speravo di no. I bambini che nascevano così mostravano i primi sintomi già intorno ai quattro o cinque anni. Voi eravate più grandi, per cui ero ottimista. Hai mostrato il tuo dono all'improvviso, immagino che tu te lo ricordi.
-non lo chiamerei "dono".
Romolo alzò le spalle -in ogni caso, eravate in pubblico quando successe, per cui loro lo vennero a sapere e ti portarono via prima che potessi fare qualsiasi cosa- strinse i pugni -ti prego di credermi quando ti dico che negli ultimi anni non ho fatto altro che cercarti. Quando una nostra spia ha scoperto dove ti tenevano Ariovisto mi ha dovuto trattenere a forza dal correre a prenderti seduta stante. Sarebbe stato un suicidio- ridacchiò, ignorando il fatto che non sapesse chi cazzo fosse quel tizio di cui parlava -avrei voluto venirti incontro non appena fossi arrivato qui, ma penso ti sarebbe venuto un infarto. Avevi bisogno di riprenderti un po'- insipirò profondamente -ti avevano portato lontano i bastardi. Mentre ti cercavo ho trovato questo posto. Era una vecchia base militare segreta, noi l'abbiamo rimodernata e resa abitabile. Insieme al mio collaboratore abbiamo creato quest'organizzazione di persone come noi, per proteggerci, per salvare altri, come noi ma non solo, e per distruggere la Restaurazione.
Lovino rimase in silenzio per un po'. Aveva talmente tante domande in testa che non sapeva da dove cominciare.
-dov'è Feli?
-qui alla base ovviamente. Voleva venirti incontro, era persino più impaziente di me, ma gli ho mentito su quando saresti arrivato. Non volevo sganciarti addosso troppe bombe tutte insieme. E poi sai com'ė Feliciano, di sicuro cercherebbe di abbracciarti e...
-no. Non voglio metterlo a rischio.
-lo so. Gliel'ho spiegato, ma sai quanto è emotivo. Non è cambiato tanto negli anni.
Lovino deglutì. C'era una cosa che voleva chiedere, ma non ne aveva il coraggio.
"Gli ho provocato dei danni gravi?"
Romolo sembrò improvvisamente più stanco, più vecchio. Allungò una mano verso di lui, fermandola sulla scrivania, a una decina di centimetri di distanza -mi sei mancato, Lovi. Non oso neanche immaginare cosa tu abbia passato. Mi dispiace di averci messo tanto e di averti mentito, ma non sapevo in che condizioni fossi. Non sapevo se fossi impazzito e non volevo rischiare di farti uscire di testa dicendoti tutto insieme. Per quanto ne sapevo potevano anche averti fatto il lavaggio del cervello.
-lo capisco- avvicinò la mano alla sua, fermandosi a pochi centimetri di distanza. Percepiva l'energia del nonno lì davanti a lui, pronta per essere assorbita, ma mise a tacere quella vocina fastidiosa nella sua testa.
-posso chiederti una cosa io?- intervenne il nonno.
-dimmi.
-hai fatto progressi con i tuoi poteri?
-credo di sì. Inizialmente qualsiasi cosa toccassi si inceneriva e il pavimento sotto di me si frantumava. Mi iniettarono qualcosa...- aggrottò la fronte -non so cosa, ma lo fecero mentre ero distratto, non so come minchia ci riuscirono, che mi rincoglioniva talmente tanto che non ero in grado di distruggere niente. Fecero... non lo so, penso di aver rimosso i ricordi. C'erano siringhe e dei dottori e... penso stessero facendo degli esprerimenti per capire che cazzo fossi. Poi... non lo so, credo un anno fa o giù di lì, mi hanno chiuso in quella cella senza più drogarmi, e ho imparato a controllarlo sugli oggetti esercitandomi sulle posate che mi davano per mangiare. Gli sarò costato un patrimonio in forchette.
-e sulle persone?
-non ho mai provato e non ho intenzione di farlo. E non...- prese a gesticolare per spiegarsi meglio -è diverso. Nel caso degli oggetti mi limito a distruggerli, invece con le persone assorbo anche la loro energia. È più... allettante. È come se ci fosse un... un istinto che mi dice di assorbire le energie di tutti quelli che ho intorno. Anche adesso. Percepisco la tua energia e sento che basterebbe un gesto per...- scosse la testa e strinse le mani a pugno, come per impedirselo -ma sinceramente se toccassi qualcuno non riuscirei a controllarlo. Dovrei esercitarmi come con gli oggetti, ma non ho intenzione di ferire nessuno.
Romolo sembrò pensarci su -forse...
In quel momento si sentì qualcuno correre e la porta spalancarsi.
-fratellone!
Lovino gelò. Si alzò di scatto e si girò verso la porta. E lì, a osservarlo con un enorme sorriso, c'era Feliciano. Il suo primo pensiero vedendolo fu: è più alto. Ed effettivamente era così. Da bambino lo aveva preso spesso in giro perché era il più basso, ma ora erano alti più o meno uguali. Per il resto era identico: stessi capelli castani, stessi occhi color mandorla. I lineamenti del viso forse erano un po' più spigolosi, ma per il resto...
E poi la vide. La mano destra di Feliciano, quella che gli aveva stretto quando erano piccoli. Le punte delle dita, tutte le ultime falangi, erano completamente nere, come pezzetti di carbone.
Feliciano fece un passo nella sua direzione, ma Lovino arretrò, con lo sguardo fisso sulla sua mano. Era colpa sua. Era tutta colpa sua.
Feliciano sembrò accorgersene, perché nascose la mano dietro la schiena con un sorriso imbarazzato -non è niente. Sono mancino, ve, non mi crea troppi problemi. Riesco a usarla normalmente, è solo fredda al tatto.
-è colpa mia- mormorò. Non riusciva a guardarlo in faccia -i-io... potevo ucciderti.
-ma fratellone non è...
-è colpa mia- ripeté. Romolo cominciò a rendersi conto che qualcosa stava andando storto.
-Lovino? Stai bene?
-colpa mia- disse a voce più alta -s-sono un mostro.
Nella testa le visioni si susseguivano rapide. Siringhe, urla, mano nera, luce, buio, cella, scienziati, mostro, mostro, mostro, sei un mostro, mostro, mostro.
Corse via. Suo nonno e suo fratello cercarono di fermarlo, ma li schivò e scappò fuori da lì. Corse, si perse in quei corridoi e sperò di non uscirne più. Le visioni continuavano e lui stava cercando di fuggire da loro, dal laboratorio e dalla sua famiglia. Non meritava il loro affetto. Era solo un mostro.
A un certo punto inciampò e cadde a terra. Si rannicchiò su se stesso, prendendosi il viso tra le mani, e scoppiò a piangere, nel bel mezzo di un attacco di panico. Non vedeva il corridoio, non vedeva nulla tranne le immagini che gli propinava il suo inconscio, e figuriamoci se riusciva a respirare per bene. Mostro mostro mostro. Mostro mostro mostro. Mostro. Mostro.
Non si rese conto di aver cominciato a mormorarlo sottovoce fino a quando qualcuno non si inginocchiò davanti a lui e gli parlò con calma.
-Lovi- lo chiamò una, due, tre, mille volte, fino a tirarlo fuori dal suo abisso di mostri -respira, Lovi, forza.
Lentamente, mentre la voce gli parlava con tono rassicurante, riuscì a recuperare un minimo di lucidità. Sollevò lo sguardo ed lì c'era Antonio, che lo osservava preoccupato, con espressione tranquilla per non agitarlo.
-mi senti?- annuì, lentamente -bene- si sedette affianco a lui, con le spalle vicine ma senza che si toccassero. Anche così percepiva la sua energia, così vicina... serrò la presa delle sue mani sulla sua testa. Mostro, non devi pensare queste cose -mi vuoi dire che è successo?
-mio fratello- riuscì a mormorare, con la gola secca.
-avete litigato?- scosse la testa -allora cosa?
-la mano- sussurrò -le dita nere. È colpa mia. Gliele ho fatte io.
Antonio rimase in silenzio per un po', riodinando i pezzi del puzzle -non l'hai fatto a posta- non era una domanda, ma Lovino annuì comunque -è stato un incidente- dichiarò con tono deciso -non hai colpe.
-gli ho fatto male.
-per sbaglio.
-ma gliene ho fatto.
-non devi colpevolizzarti per qualcosa su cui non hai controllo.
La sua risposta fu detta a tono così basso che Antonio appena riuscì a sentirlo -ma io mi sentivo bene mentre lo facevo- gli tremava la voce -sentivo questa... quest'energia che passava da lui a me e... e...
-smettila. Non potevi controllarlo, non ne eri capace. Sapevi di avere quel potere prima?- scosse la testa -e allora non potevi farci niente. Non è colpa tua se sei nato così. Non farti una colpa di cose che non puoi controllare.
Insipirò profondamente, cercando di calmarsi. La sua parte razionale sapeva che il ragazzo aveva ragione, ma quella parte in quel momento era andata parecchio a puttane. Dopo qualche minuto rilassò i muscoli e appoggiò la testa sul muro alle sue spalle, allungando le gambe fino a sfiorare la parete opposta con i piedi.
-allora- intervenne Antonio dopo qualche altro minuto di silenzio -da quanto soffri di attacchi di panico?
Lovino si asciugò un filo di sangue che gli era colato dal naso -da quando è cominciata questa situazione di merda, a undici anni. I primi tempi li avevo di continuo, ogni volta che rimanevo abbastanza lucido da ragionare.
-è normale, con quello che hai passato...- girò la testa verso di lui, osservandolo sottecchi per assicurarsi stesse meglio -anche mio fratello ne soffriva, soprattutto da piccolo.
-ah. È qui?
-no. Non abbiamo più rapporti.
-ah.
-già- tornò a guardare la parete davanti a loro -posso chiederti una cosa?
-chiedilo e basta.
-hai imparato a controllare il tuo potere?
Fece una smorfia -sì e no. Sugli oggetti sì, ma ho avuto bisogno di esercitarmi tanto- i primi tempi doveva mangiare come i cani perché distruggeva sempre le posate. Imbarazzante -ma non potendo esercitarmi sulle persone non riesco a controllarlo con loro.
-e non... non è la stessa cosa?
Scossa la testa -sarebbe troppo facile. Quando distruggo qualcosa lo distruggo e basta. Quando lo faccio su una persona assorbo anche le sue energie e mi fortifico, per cui è più... non so come dire. Spontaneo?- cominciò a giocherellare con le proprie dita -cioé distruggendo qualcosa non mi cambia niente, mentre con qualcuno ci guadagno, capisci cosa intendo?- Antonio annuì -quindi il mio istinto mi spinge a farlo di più ed è più difficile trattenerlo. Se toccassi qualcuno direttamente, senza niente in mezzo, non riuscirei minimamente a controllarlo, e anche toccando solo i vestiti farei fatica.
-sicuro?
-sicurissimo. Anche adesso sto facendo uno sforzo cosciente per non toccarti e non rubarti le energie, e prima, con i due idioti e il crucco, facevo ancora più fatica, ma alla fine mi basta stare a distanza. Ma se...- scosse la testa -non avrei il minimo controllo. Per imparare a farlo dovrei fare tantissimo esercizio e... be' , non posso farlo senza ammazzare della gente. Quindi amen.
-mh...- Antonio si morse il labbro -non capisco.
-cosa? La storia del controllare il...?
-no, non quello- esitò -io ti ho toccato, Lovi.
-impossibile. Saresti morto.
-ma l'ho fatto. E a lungo.
-no. Non è vero, sono sempre stato attento a...
-dormivi- lo interruppe -la notte scorsa. Faceva freddo e tremavi, così ho pensato di abbracciarti. La mattina mi sono svegliato prima e sono tornato al mio posto. Non... Romolo non mi aveva parlato del tuo potere, mi aveva solo detto di stare molto attento a non toccarti. Pensavo fosse solo un motivo psicologico, un trauma di qualche tipo.
-cosa...- gli fischiavano le orecchie. Istintivamente si allontanò leggermente da lui -non è possibile. Forse per una botta di culo hai toccato solo i vestiti.
Antonio arrossì -no. Ti ho preso la mano, sono sicuro.
-no. Saresti morto. Devi essertelo sognato.
Scosse la testa -non l'ho sognato. Mi sono svegliato che eravamo ancora così, ti eri anche girato verso di me nel sonno.
-che...
-c'è un modo per scoprire se l'ho sognato o no- sollevò la mano verso di lui e lo guardò, dandogli i suoi tempi per decidere cosa fare. Molto lentamente, Lovino allungò la mano verso la sua. Non voleva fargli male, ma la curiosità lo stava uccidendo. E forse...
Posò la punta dei polpastrelli sui suoi e chiuse gli occhi, in attesa. Non successe nulla. Niente. Non sentiva niente: né l'istinto di ucciderlo né la sua energia. Semplicemente il nulla. Riaprì gli occhi, trovandosi davanti il sorriso di Antonio.
-visto?
-ma non... non ha senso. Se lo facessi a qualcun altro morirebbe.
-forse ce l'ha- intrecciò le dita con le sue -ci ho pensato prima, dopo che hai distrutto la porta, e penso sia legato al mio potere. Assorbo le energie negative che dovrebbero rendermi cenere e le rendo energia per me. Tu assorbi quella, ma visto che è fatta della tua stessa energia non ti dà niente in risposta. Percepisco qualcosa in effetti, se mi concentro sento il tuo potere, ma non mi fa niente.
Lovino rimase in silenzio per un po', elaborando le sue parole.
Poteva toccare qualcuno. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime e liberò le loro mani per abbracciarlo di slancio. Scoppiò a piangere. Non abbracciava qualcuno da... neanche lo ricordava. Antonio lo strinse e prese ad accarezzargli la schiena dolcemente, sussurrandogli qualche parola di conforto. E non successe niente: niente energia, niente urla, niente di niente. Lovino chiuse gli occhi e, per qualche secondo, si sforzò di immaginare di essere un ragazzo normale, senza poteri, senza niente di strano. Solo un normalissimo diciassettenne che abbracciava un altro essere umano, senza ferirlo, senza ucciderlo. Solo un abbraccio.
-stai bene- mormorò, tatuandosi quelle parole in testa. Gli faceva strano toccare qualcuno, l'abitudine gli diceva di allontanarsi e scappare, ma la mise a tacere con quel sussurro.
Nonostante non fosse una domanda, Antonio annuì -sto bene.
Singhiozzò di nuovo e si lasciò andare tra le sue braccia, come se quella stretta dovesse rimettere insieme tutti i cocci e le crepe, tutte le ferite che aveva subìto.
-va tutto bene- aggiunse con tono gentile. E Lovino si sforzò di crederci davvero.

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