Mi svegliai e sentivo meno dolore di quando mi ero addormentata. La febbre doveva esser stata placata un po' dai farmaci.
Mia madre entrò in camera: la fissai attentamente per la prima volta. Il suo viso leggermente ovale era smagrito nei mesi successivi la separazione dei miei, regnavano profondi due occhi azzurri come il mare che le avevo sempre invidiato e mi chiedevo perché non fossero nel mio DNA occhi così... Ma per quanto belli fossero erano anche severi. Duri. Freddi. I capelli di un taglio regolare, color mogano, erano leggermente mossi, con qualche meches rossa per coprire la comparsa dei primi capelli bianchi. Il corpo esile ma al tempo stesso forte, in grado di tenere testa alla vita; la sua figura era dritta, longilinea e il portamento da ballerina di danza classica quale era stata fino a sedici anni, la facevano sembrare ancora più giovane. Mi piaceva mia madre, in fin dei conti. Si era sempre presa cura di me come meglio poteva.
Ero talmente assorta nei miei pensieri che non sentii che mi stava parlando e aspettava qualcosa, una risposta probabilmente.
«Matilde non mi stavi ascoltando vero?» Scossi la testa sorridendo.
«Matilde se ti senti meglio... Devo portarti in un posto.»
«Che posto?» Ero ancora un po' intontita, non riuscivo a seguire la maggior parte dei discorsi che faceva.
«Non posso dirtelo, ma ci sono persone che devi conoscere. E per portarti in quel posto dovrei... Ecco... Bendarti. O farti addormentare.» Si fermò un attimo, riflettendo su quelle parole, forse proiettandole da qualche parte e guardandole con disprezzo e dissenso. «Q-quale preferisci?»
«Mamma... Io...» ero senza parole. Che figata. Tipo un film di James Bond. Ok, forse ero eccitata per via dei farmaci. Non avevo il coraggio di replicare. Preferivo dormire forse. Altrimenti mi sarei maciullata il cervello a forza di domande e arrovellamenti per capire dove ero diretta, chi avrei incontrato, quale posto avrei imparato a conoscere, quali persone, riguardo a cosa. Volevo fidarmi. Per una volta avevo bisogno di lasciare che fossero gli altri a fare ciò che era necessario: «Preferirei dormire se non ti dispiace mamma.» Lei annuì e scomparve dalla porta. Come un fantasma si materializzò alla porta del bagno nel quale avevo cominciato a prepararmi tenendo in mano una pillola: sonnifero.
Presi una respiro, le guardai: mia madre tesa e nervosa, la pillola immobile, in attesa. La adagiai sulla lingua e la deglutii con una generosa sorsata d'acqua, avevo paura, tremavo come una foglia, non sapevo cosa sarebbe successo ma al tempo stesso ero carica come una molla.
La mia mente per una volta era presa in un nuovo gioco, un nuovo meccanismo inestricabile di cui in fondo avrei avuto le risposte appena due ore di viaggio più tardi. Ne ero felice. Appena entrai in macchina mi addormentai, erano le otto di mattina.
Riposai bene, quando mi svegliai ero un po' dolorante per aver dormito in una posizione un po' scomoda, ero diventata più o meno una pallina sul sedile della macchina. Avevo sempre avuto la peculiarità di non riuscire a stare ferma nel sonno, infatti di solito la mattina non era strano ritrovarmi in fondo al letto o persino sul pavimento, questo mi era costato più volte qualche raffreddore fastidioso.
Scesi e mi trovai in un posto apparentemente privo di qualunque particolare che potesse aiutarmi ad orientarmi. A volte le cose mi sembravano scontate, forse perchè avevo spesso l'impressione di essere stata in ogni luogo che visitavo. Mi succedeva anche quando ero piccola, ogni città straniera, ogni posto che vedevo mi suscitava una serie di flashback confusi e spezzettati. Per non parlare delle lingue, non faticavo quasi per niente ad imparare nuove espressioni e assimilavo molto velocemente tutto ciò che ascoltavo. Eravamo in un bosco, l'autunno avevo mietuto le sue vittime lasciandole a terra, restituendole ad essa: per poco non scivolai su quelle maledette foglie.
Due grandi, enormi pietre sbarravano una strada inesistente tra gli alberi alti.
Sulla pietra sinistra, l'impronta cava di una mano umana. Appoggia la mano sinistra su di essa.
Una voce autoritaria mi dava gli ordini che ricevevo direttamente nella testa. Era una voce giovane, invecchiata dalla disciplina. Feci un piccolo balzo, spaventata. Se queste persone potevano parare nella mente, forse potevo farlo anche io?
Feci come richiesto la terra cominciò a tremare: mi sentivo spaesata, in preda ad un panico che non potevo controllare, arretrai mettendomi davanti a mia madre per proteggerla da nemmeno io sapevo cosa.
Si aprì una zona sotterranea, proprio in mezzo alle due pietre nella quale mi feci coraggio ed entrai una volta terminato il terremoto.
Avanzavamo nel buio, le mani strette l'una con l'altra, quando una voce tuonò: «Dichiarate i vostri nomi.»
«Matilde e Marianna Severi.»
«Nessun Severi nella lista... Strano.»
«Forse siamo segnate come Nachtregen?» tentò mia madre titubante.
«Nachtregen? Mi prendete in giro?»
Che c'era di strano adesso? Mio Dio, una lista, con dei cognomi, e quindi? Cos'aveva il mio cognome tedesco che non andava?
«Nachtregen le dico, controlli.»
«È vero. Beh, perdonatemi ma proprio non vi ho riconosciuto. Sei diventata grande Marianna. Mi dispiace per la morte dei tuoi.»
«Buon pomeriggio a te Lucius. Grazie, non dispiacerti, non è di certo stata colpa tua» rispose mia madre.
Lucius, il tipo biondo che avrà avuto all'incirca l'età di mia madre, premette le labbra come per bloccare una risposta.
«Seguitemi» tornò repentinamente ad essere professionale, quasi mi spaventava, sembrava che avesse dentro di lui due persone completamente diverse, una affabile e dolce, una rigida e severa. Era evidente che si conoscessero da tempo.
«Mamma chi era quello?» dissi quando lui era distante, in modo che non sentisse.
«Un Lettore, quello che doveva sposare tua zia. Giocavamo insieme quando eravamo piccoli. In circostanze normali di solito i lettori si conoscono e si sposano e fanno figli come le altre coppie. I lettori che fanno parte del Consiglio, chiamati di Mente Reale, hanno già qualcuno scelto per loro, così come per i loro figli.»
«E tu sei l'altra figlia di un membro del Consiglio, quindi giocavi col futuro marito di tua sorella... Certo, ora sì che è tutto più chiaro!» esclamai sarcastica. Era troppo intricato e complesso.
Nel frattempo le mie gambe erano riuscite a tenere il ritmo del mio cervello e a portarmi in una grande sala: tutto era... Di legno. Al contrario di quanto si potesse pensare, la sala del gran Consiglio, non era piena di barocchi riccioli d'oro o di mobili intarsiati. C'era legno ovunque. Legno di diversi colori, ovvio; quello del tavolo era chiaro, come quello delle sedie. Le pareti invece non erano visibili perché interamente coperte da scaffali scuri. E in ogni scaffale vi erano decine di libri e una targhetta placcata. Dio. Mio. Non avevo mai visto tanti libri tutti insieme in una sola stanza.
Era un panorama mozzafiato.
Lucius ci guardò con un mezzo sorriso sul volto: «Ti piace leggere Matilde?»
Con gli occhi e la bocca spalancati detti un cenno di assenso con la testa. «Hai preso da tua madre allora» concluse ammiccando.
Un portone scuro in fondo alla sala si spalancò ed entrò un uomo alto sulla cinquantina. I suoi capelli argentei come la luna. Gli occhi color del carbone, lo sguardo furbo ma stanco. Doveva essere uno degli anziani, eppure portava la sua età in modo discreto.
Mia madre mi aveva condotta nel luogo in cui avrei capito chi ero davvero.
«Vediamo un po', Matilde Nachtregen. Meraviglioso. E... Marianna Nachtregen. Marianna penso tu possa aspettare qui, farò due chiacchiere con Matilde nel mio ufficio.»
L'uomo brizzolato mi fece un cenno e io lo seguii obbediente lasciando a malincuore mia madre.
Un corridoio buio, poi destra, sinistra, corridoio breve, sinistra, destra. Arrivati. Non avevamo spiccicato parola tutto il percorso e mi sentivo tremendamente a disagio.
Mi fece accomodare su una sedia e lui si mise all'altro capo della scrivania, guardandomi negli occhi.
«Matilde... Sorpasserò i convenevoli, dovrai scusarmi. Andrò dritto al sodo: sei un membro di una delle famiglie del Consiglio, pertanto sei una Lettrice di anime. Questo tipo di potere rimane come sepolto dentro i lettori finché non raggiungono i 17 anni e o qualcosa che li sblocca. Un evento, una persona, qualcuno o qualcosa che li riconosce magari. Tu hai una persona che ti ha detto chi eri veramente?»
Non potevo fidarmi di lui e raccontargli di Aaron. Per quanto quell'uomo stesse facendo in apparenza domande formali io non potevo rischiare, mi vidi costretta a mentire: «No, nessuna persona, direi.»
«Come si sono manifestati i sintomi? Perdona il termine ma adoro chiamarli così, mi fa sentire un dottore.»
Mi scappò un piccolo sorriso e dissi: «Sento delle voci nella mia nuova casa, sono fantasmi che chiedono il mio aiuto. Quando tocco una persona sento ciò che prova o che ha provato. Faccio sogni strani. Penso siano questi i sintomi che lei intende.»
«Esatto cara, se mi dai del Lei è troppo formale, ti prego diamoci del tu. Io sono Heinrich. Comunque dicevamo... Ah sì, i sintomi che mi hai elencato sono i tipici dell'età dello sviluppo dei poteri. Quasi tutti i lettori hanno avuto un qualcuno che li ha risvegliati, curioso che tu invece sia stata sconquassata solo dallo scorrere del tempo...» fissò i suoi occhi nei miei come a cogliere la mia precedente bugia. Come cercasse di estrapolarla dalla mia mente col pensiero. Ma io la tenevo stretta, Aaron doveva starne fuori. Lui era umano, non c'entrava nulla in quel luogo.
«Nessuno in particolare, no.» Ripetei. Tacque per qualche secondo, poi i suoi occhi parvero schiarirsi, sembrava soddisfatto.
«Bene. Direi che possiamo cominciare da oggi con l'addestramento» per lui sembrava tutto così semplice, scontato e assolutamente naturale. Ma per me trovarmi in un edificio sotto terra non era esattamente la quotidianità a cui ero riuscita ad abituarmi.
Addestrache?
La mia faccia doveva assomigliare ad un punto interrogativo gigante: «Questo luogo non è solo una sede di consiglio, ma anche un posto in cui i ragazzi e le ragazze come te imparano a gestire i loro doni. Tu sei una novellina alle prime armi, devi imparare a controllarti e magari a scoprire nuove... Inclinazioni. Chissà...»
Rimasi di sasso. No. Non potevano chiudermi qui. Intendeva dire che dovevo passare il resto della mia vita di una specie di scuola sotterranea? No, no, no. Preferivo un ospedale psichiatrico. Almeno lì c'era l'ora d'aria!
Mamma! Mamma dove sei? Dì a quest'uomo che ha sbagliato ragazza, che non sono io quella che deve stare qui! Io devo tornare a casa da Aaron! Dalle sue cicatrici. Devo curarle.
Heinrich mi congedò e io lo odiai.
Raggiunsi mia madre, e odiai anche lei. Era stato già abbastanza per i miei nervi constatare di non essere una comune ragazza di diciassette anni. Essere destinata ad una nuova vita, una nuova scuola, un nuovo mondo... Era troppo. Cedetti e mi sciolsi in pianto prima di poter aprir bocca per riferire cosa era successo.
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La figlia dell'Inferno.
Viễn tưởngUn filo che è come la lama di un rasoio a unire i tre regni. Inferno, Terra, Paradiso. Qualcuno ha mai sentito parlare di: lettori di anime? Una ragazza destinata alla gloria o alla dannazione. A voi la scelta, ma vi avverto.. « Lasciate ogni sper...