Capitolo 19.

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Avevo tempo prima di cena, non sapevo cosa fare. Gironzolavo per la mia stanza riflettendo su quanto la mia vita fosse cambiata in poco tempo. Con i miei piedi si muoveva il mio cervello che mi stava facendo fare un viaggio in tutto ciò che era accaduto contro ogni aspettativa, andando all'indietro. Mi vennero in mente Marta, Raphael, il mio arrivo alla sede del Consiglio, mia madre, il sonnifero prima di salire in macchina. Aaron... Aaron che non usciva mai dalla mia testa. Rimaneva lì in un angolo, appartato, senza disturbare nessuno, come una piccola luce accesa in una notte senza luna, così piccola che non si poteva sentire il suo calore ma la si poteva scorgere fioca e arrendevole sul fondo dei miei occhi. Una fiammella tremolante al vento dei fatti spiazzanti della realtà che come un uragano mi era balzata addosso. Non aveva  mai risposto ai messaggi che gli mandavo ogni sera.
Forse non vuole parlarmi. Forse l'ho ferito andandomene via. Se così fosse prenderei un treno, un aereo, ruberei la macchina di mia madre, farei qualsiasi cosa per dirgli che non è colpa mia, che io ci tengo davvero. Ma che sto dicendo? Lui non si fa sentire, vuol dire che non gli importa un fico secco di me! E allora perché sento tutto questo vuoto? Perché?
Lacrime amare scesero sul mio viso. Mi coprii gli occhi, quasi a nascondermi dal mondo che mi circondava, da ciò a cui appartenevo da troppo poco tempo per chiamarlo mio. Non riuscivo proprio ad abituarmici. Per sedici lunghissimi anni ero stata Matilde, la ragazzina insicura e brava a scuola, senza talenti di nessun genere, senza amici fantastici, senza una migliore amica, avevo avuto qualche cotta certo, ma niente di serio. Non ci eravamo spinti più in là di qualche bacio.
Infilai le mani nelle tasche per cercare un fazzoletto con cui asciugarmi il viso ma quello che tirai fuori dai pantaloni fu il rotolo di pergamena dorato, piccolo e sottile, che la professoressa mi aveva dato quella mattina.
Non avevo ancora trovato tempo per leggerlo.
Si informa la gentile signorina Matilde Anastasia Nachtregen che è invitata alla cerimonia di incorporazione come nuovo membro del Sacro Consiglio Di Lilith della Signora Marianna Nachtregen.
La preghiamo di essere puntuale, la cerimonia si svolgerà nella Sala del Consiglio alle ore 16 del giorno 7 gennaio.
P.S. La preghiamo inoltre di indossare il vestito bianco per la cerimonia che troverà nel suo armadio e di scegliere un accompagnatore.

Il Consiglio.

Rimasi piuttosto stupita. Mi sedetti sul letto e rilessi attentamente il documento che mi era stato recapitato, mia madre sarebbe diventata membro del Consiglio il giorno seguente? Pazzesco. «Ci voleva anche questa» sbuffai ad alta voce e l'occhio mi cadde sull'orologio: «Oddio! Sono in ritardo!»
Mi precipitai fuori dalla porta, corsi per le scale a perdifiato e mi gettai contro le porte della mensa, per fortuna avevano tutti appena cominciato. Qui avevano la mania di chiudere il dannato portone per fregare i ritardatari.
Entrai cauta, sbirciai in giro per trovare Marta che una volta catturata con lo sguardo mi raggiunse.
«Matilde dov'eri?» il suo sguardo allarmato sembrava quello di una sorella maggiore.
«Scusami, ero in camera, ho fatto i salti mortali per arrivare in tempo, è che ho ricevuto questo» dissi dandole la pergamena.
«Tua madre membro del Consiglio?! Wow! Diventerai un pezzo grosso anche tu alla fine!»
«Non dire sciocchezze, ma scusa nel Consiglio non possono entrarci solo quelli con i poteri?»
«Penso che tua madre li abbia, solo che sono di gene recessivo. In tal caso c'è un modo per tirarli fuori se non sbaglio, me lo ricordo perché è lo stesso per quasi tutti quelli come noi. Tranne che per le ninfe, noi dobbiamo sempre far eccezione, uffa» disse mettendo il broncio. Io le sorrisi.
Presi la mia cena e insieme tornammo al tavolo. Mangiai poco, ero stanca e nervosa, nervosa per mia madre, avrei voluto parlarne con lei, avrei voluto che me lo avesse detto senza che io fossi dovuta essere invitata per via cartacea. Mi sembrava che ormai non fossimo più madre e figlia, ma solo due persone che si conoscevano. Questo mi rattristava in effetti.
«Mati c'è qualcosa che non va?» chiese Marta notando che giocherellavo col cibo, probabilmente.
«No, è solo che ho perso un po' i rapporti con mia madre. Siamo sempre state legate e ora di punto in bianco non vivo più con lei, non la vedo più tutte le mattine, non è lei a prepararmi il pranzo ogni giorno, mi sembra strano, devo solo abituarmici suppongo.»
«Immagino debba essere bello» la vidi fissare il vuoto davanti a sé con un sorriso sghembo.
«Cosa?»
«Avere una mamma.»
«Tu... Non ce l'hai?» Mi morsi la lingua per l'indelicatezza.
«È morta quando avevo cinque anni. Un demone bastardo la uccise. Lei e pochi anni dopo mio padre. Ho vissuto con i miei zii finché non mi sono trasformata a diciassette anni e adesso sono qua» mi regalò un altro sorriso triste.
«Marta io... Mi dispiace tanto.» Avrei voluto trovare un modo per rincuorarla, ma da tempo avevo imparato che in certi casi è meglio il silenzio.
«Non preoccuparti, non è colpa tua. Questa è la nostra casa adesso. E tu sei la mia migliore amica, non potevo chiedere di meglio.»
«Sempre troppo buona sei. Dovrai perdonarmi.»
Mi guardò confusa: «Perché mai?»
«Io non sono una persona molto affettuosa. Non dico mai alle persone cosa provo per loro, dovrai scusarmi se non ti dirò spesso quanto bene ti voglio ma sappi che sei la sorella che non ho mai avuto. Io...» inghiottii un fiotto di saliva. Dato che eravamo in vena di confidenze pensai che fosse giusto rivelarglieli. «Potevo averla una sorella sai? Mia madre rimase incinta quando avevo all'incirca sette anni. Perse il bambino. Da lì le cose con mio padre hanno cominciato a precipitare.»
«E tuo padre dov'è adesso?»
«Su una spiaggia alle Bahamas con la sua nuova fidanzata, si chiama Elena ed ha dieci anni meno di lui» pronunciai quelle parole ringhiando.
Lei mi guardò stupefatta: «Oh mio Dio. Che assurdità... Gli uomini sarebbero una razza da cancellare. A volte sanno davvero farmi ribrezzo!»
Fece una faccia così buffa che mi misi a ridere e scaricai la tensione.
«Mati, riguardo alla sorella che non hai mai avuto non potrò certo sostituirla, ma mi impegnerò affinché tu non sia mai sola. Te lo prometto. E non pensare nemmeno che tu debba scusarti per come sei, ti voglio bene così, non c'è bisogno che tu sia altro per farti amare. Giuro solennemente!» esclamò mettendosi il palmo sul petto.
La guardai, quella ragazza era una delle persone più piene di amore che io avessi mai conosciuto. Era così dolce nei suoi gesti esagerati, nei suoi capelli scuri sempre arruffati anche se lisci, con i suoi occhiali neri, e quel sorriso incantatore. La mia piccola grande luce.
«Giuro solennemente» le promisi di rimando.
Mi sorrise e io non potei fare a meno di ricambiare.
«Adesso vedrai il tuo bellissimo stregone!» la provocai, e lei cominciò ad illuminarsi.
«Sì! Non vedo l'ora! Fare lezione non è mai stato così piacevole, lui è così attento e premuroso con me.»
«Secondo me ti sei innamorata» dissi maliziosa.
«Cosa? No, macché! Non esagerare. È carino, certo. Ma no. Non sono innamorata di l... Oddio eccolo là!» urlò. E io risi come non avevo mai fatto.
«Marta è moooolto innamorata» canticchiai.
-«Marta ti tirerà una sberla se non la pianti! Shhhh! Se lui ci sente è la fine!»
«Giusto, diamogli il beneficio del dubbio». Ero sicura che anche lo stregone ricambiasse. La mia nuova e unica amica sapeva essere davvero irresistibile.
Marta lo seguì con lo sguardo e lui si girò verso di lei, come da manuale. «Devo andare, ci vediamo dopo» disse con un sorriso adorabile sul viso.
«Attenta a non diventare una lampadina...» sussurrai facendole i pollici in su.
La vidi trotterellare contenta verso il suo affascinante allenatore. Jeremy la prese sotto braccio e la portò fuori dalla mensa parlandole di qualcosa che sembrava catturarla completamente.
Io ero ancora in piedi quando sentii due mani coprirmi piano gli occhi.
Una voce profonda e vellutata mi chiese: «Chi sono?»
Non mi era mai stato così vicino, sentivo un profumo delicato di fiori avvolgermi. Il suo tocco era caldo, e la sua domanda mi aveva fatto venire i brividi fino alle punte dei capelli che portavo sciolti sulla schiena.
«Mmm, vediamo un po'... Sei forse un angelo biondo a mio completo servizio?»
«Molto brava, che ne dici di fare il nostro dovere?» domandò ridendo.
«Uffa... Non credo di averne molta voglia.» Lo vidi corrucciare le sopracciglia. Non era contento. Chissà se gli angeli si arrabbiavano.
«Ma davvero? Signorina, lei mi costringe ad essere brutale» mi caricò in spalla come fossi un peso piuma e sotto lo stupore generale mi portò in palestra. Uscendo dalla stanza, fra le urla e gli applausi di qualche simpaticone, notai Howl che ci fissava con sguardo vacuo. Avrei pagato oro per sapere a cosa pensasse.
«Siete un villano, brutto, sudicio e sgarbato!» dissi ridendo colpendo Raphael con piccoli pugni sulla schiena muscolosa. Se non fossi stata cauta avrei rischiato di spezzarmi le nocche, sembrava fatto di marmo.
«È così che la mettete, vostra altezza?»
«Sì» dissi sfidandolo.
«E sia.» Il suo sguardo non prometteva niente di buono.
«E sia cosa? Raphael che vuoi fare?»
Mi fece scivolare fra le sue braccia e tenendomi stretta mi disse: «Sei la pupilla più viziata che io abbia mai avuto.»
Appoggiai la testa al suo petto, che si alzava e si abbassava velocemente, sentivo il battito forte del suo cuore.
Poi una folata di vento, i suoi muscoli si contrassero. Stavamo volando sopra la scuola.
«Raphael! Stiamo volando!» grifai euforica.
«Questo è il piccolo vantaggio di essere un angelo, pupilla.»
Lo guardai, era davvero bello. Degno del suo nome. Concentrato e vigile ma con il viso disteso. La luce della luna sottolineava la linea della sua mascella, e quella dei suoi zigomi, rendendolo ancora più affascinante, se possibile. I suoi occhi brillavano quasi argentei nella notte nera e le sue braccia attente mi comunicavano che non mi avrebbe lasciato per niente al mondo. Mi fidavo di lui.
«A cosa stai pensando?» mi chiese all'improvviso.
«Non puoi leggermi nella mente?»
«Preferisco che sia tu a dirmelo.» Sorrisi.
«Non lo so. Stavo notando i tuoi lineamenti alla luce della luna.»
«Sono ancora un villano, brutto, sudicio e sgarbato?»
Scossi la testa divertita.
Lui era sempre dolce, gentile, divertente, non come Howl.
Howl... Che diavolo c'entrava adesso? Solo perché era lui quello scorbutico non dovevo rovinare con le mie mani quel momento.
«Il tuo sguardo si è fatto cupo, qualcosa ti turba, pupilla?»
- Sei un falco eh! Non è niente. È solo che ho conosciuto un tizio, sta nella camera diciotto. E non lo so, ogni volta che lo incrocio i nostri incontri sono piuttosto... Sgradevoli.»
«Capisco, mi dispiace vederti turbata. Posso fare una cosa?»
«Dipende.»
Spiegò le ali e ci fece atterrare sul tetto della palestra.
«Ti fidi di me?» sentii il suo respiro caldo sulla guancia, e mi sentii al sicuro come mai prima.
«Sì.»
«Allora adesso chiudi gli occhi.»
Ubbidii. Lo sentii muoversi, si spostò palle mie spalle e cominciò a sussurrarmi all'orecchio:«Immagina un posto bellissimo, immagina un grande prato verde, fiori di ogni genere e profumo, immagina un fiume azzuro, una cascata forte, l'acqua che scivola via, la senti?»
La sentivo davvero. Annuii. «Adesso immagina di andare avanti velocissima, c'è un montagna molto alta, coprta d'erba verde e rocce spigolose, in cima si aggira un gruppo di nuvole bianche come la neve. Dietro a quelle nuvole, anche se non è facile vederlo, c'è un castello meraviglioso. Sembra fatto di cristallo puro e risplende di una luce bianchissima» si fermò un momento per permettermi di elaborare l'immagine e assaporarla. «Ad una delle finestre della reggia lucente, c'è un bambino che cammina preoccupato nella sua camera, al piano di mezzo. Sa che ha dieci anni, ed è il momento di compiere il passo che gli cambierà la vita: prende la rincorsa e si getta dalla finestra.» Il cuore mi balzò in gola. «Le sue ali si aprono e lui rimane sospeso a guardare le meraviglie del luogo in cui si trova» la sua voce era come una melodia dolce e serena. «Quel ragazzino sei tu?»
«Sì, sono io. Vedi come sorrido?» Lo vedevo sul serio. «Sei raggiante.»
«Quel ragazzino che adesso è qui con te non può comparare quel momento con questo. Quel ragazzino con te ha tutta la gioia del mondo nel cuore.» Mi si fermò il respiro.
«Raphael...» mi girai a guardarlo. Era bellissimo.
Lacrime di gioia bagnarono i miei occhi e lui mi prese il viso e me li baciò entrambi.
«Stai meglio adesso?»
«Sì. Molto, molto meglio.» Ed era vero. Mi sentivo come se mi fossi liberata di un peso enorme dal petto.
«Posso chiederti un sorriso?»
Lo accontentai. Sentivo di doverglielo.
«Sei molto bella pupilla.» Spostò lo sguardo mentre pronunciava quelle parole. Ebbi un presagio, ma lo scacciai immediatamente.
«Non posso competere con un angelo.»
«Non sottovalutarti» mi ammonì severo.
«Posso fare una cosa io adesso?»
«Stupiscimi.»
«Posso... Ehm, toccare le tue ali?» Mi sentivo una bambina di fronte al giocattolo più bello del mondo.
«Beh, c'era da aspettarselo. Va bene, vediamo cosa succede.»
Le spiegò in tutta la loro grandezza. Le fissai per un attimo, erano sublimi, bellissime. Ogni piuma candida risplendeva argentea sotto la luna. Erano grandi, maestose, innaturali. Non erano affatto simili a quelle degli uccelli, poiché pulsavano di energia propria.
«Che c'è?»mi chiese lui curioso.
«Sono... Bellissime» le accarezzai piano, erano davvero morbide, ci affondai le mani. Sognai che mi avvolgessero e mi tenessero al caldo.
Ritrassi la mano.
«Allora? Che ne pensi?»
- Penso che mi fanno venir voglia di averle, per essere cullata da loro. Così belle e luminose, così innocenti e forti.»
«Abbiamo fatto tardi, torniamo dentro?» disse lui cambiando argomento repentinamente.
Gli sorrisi facendo cenno di sì.
Camminammo in silenzio fino alle camere, con lui preferivo fare le scale per godermi quei momenti fino all'ultimo.
«Raphael?»
«Sì, pupilla?»
«Non so come ringraziarti.» Mi sentivo stranamente in imbarazzo.
«Non devi. Io vivo per renderti la vita migliore.» Questa poi... prima o poi mi sarebbe venuto un infarto.
«Posso abbracciarti?»
«Smetti di chiedermi il permesso di fare qualsiasi cosa.»
Lui mi strinse contro il suo petto forte e mi diede un bacio sui capelli.
«Buonanotte, angelo mio.»
«Buonanotte, tecnicamente non sei tu l'angelo?»
«Tu lo sei più di me.» Era molto serio, ma non ci badai.
Mi morsi il labbro inferiore. Andai in bagno e la ragazza che mi guardava nello specchio aveva gli occhi brillanti di felicità.
Mi cambiai e mi addormentai appena toccai il letto, l'indomani sarebbe stato un gran giorno.

La figlia dell'Inferno.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora