Ho sempre amato la domenica mattina, ma mai quanto il sabato sera. Il sabato infatti, come dice Leopardi, è il giorno migliore, perché alle volte è più dolce l'attesa di un evento che l'evento stesso.
Quella domenica era assolata; aprii un occhio, poi l'altro, e infine mi stiracchiai. Sarà una bella giornata, pensai infilandomi i jeans e un maglione grigio. Andai in bagno, mi lavai il viso che lasciava ancora la traccia delle notte agitata che avevo passato. Ero spesso vittima degli incubi che il mio contorto cervello mi proponeva giornalmente. Feci colazione e infilando in bocca un pezzo di pane e Nutella... Mi bloccai. «Domani saremo a pranzo dai nostri vicini Matilde, vedi di prepararti decentemente, truccati un po', sii donna per una volta.» Oh cavolo. Il pranzo dai vicini. Controllai l'ora: 11:30, schizzai sulla sedia dritta in camera, avevo mille cose da fare e troppo poco tempo. Perché quella sveglia maledetta non aveva suonato all'ora impostata? Feci la doccia in soli dieci minuti, in un quarto d'ora mi asciugai i capelli con schiuma e diffusore, mi truccai, eye-liner, mascara, fondotinta per gli odiatissimi brufoli. Ore? 12:10. Mi schiacciai il cinque da sola e gridai: «Usain Bolt!»
La mamma aveva detto che dovevo essere pronta fuori di casa alle 12:30, così non feci in tempo a scegliere qualcosa di più carino da mettere che gli abiti con cui ero scesa per fare colazione. Normalmente quando dovevo prepararmi per qualcosa di importante fissavo l'armadio nello stesso modo in cui Amleto fissava il teschio.
Infilai il mio anello preferito con un lapislazzuli sopra, una spruzzata di profumo, scarpe, cappotto, sciarpa bianca, chiavi, e in pochi minuti mi ritrovai sulla soglia di casa ad aspettare mia madre che poco prima doveva essere uscita per fare la spesa.
Arrivò, abbassò il finestrino e disse: «Mati devo disfare la spesa, ti va di andare prima tu dai vicini? Io ti raggiungo tra poco... E dai non fare quella faccia, vai due case più avanti e presentati» non mi fece nemmeno replicare che sgommò in garage. Mi avviai rassegnata. Oh no. No. No. No. Non può essere. Non da lui. Quell'odioso ragazzo scansafatiche. Con le sopracciglia corrucciate feci per bussare quando la porta si aprì. Ancora, i suoi occhi mi scrutavano dal fondo di un pensiero che vedevo rimpicciolirsi. Ogni volta era come fare un frontale allucinante con un camion in autostrada. «Ehm... Io... Ciao.»
«Ciao Matilde. Sei tu allora a pranzo da noi» la sua espressione si ravvivò. Sembrava contento. Certo, come no. « Sì, per la tua gioia sono io. Che dici mi fai entrare o devo prendere una gru per spostarti?» Scoppiò a ridere per la mia spontaneità. «Se ci tieni tanto entra, ma io sto andando a prendere le bottiglie d'acqua in garage, mi accompagni?» quella richiesta mi sembrò più che accettabile, non sapevo se avevo voglia di conoscere sua madre, così decisi di andare con lui. Accidenti quanto era alto. E magro.
«Allora, Matilde. Cosa mi dici di bello? Le voci sono sparite?» disse con la sua voce così fastidiosamente armoniosa.
«A dire la verità no, ma dopo quello che ho scoperto sembrano essersi... Ehi aspetta un attimo! Cosa sai tu delle voci?» spalancai gli occhi confusa.
«Forse è meglio se ci sediamo e parliamo.»
Continuò: «Vedi, casa tua apparteneva ai miei genitori, i quali decisero di affittarla. I primi affittuari furono i tuoi nonni...» Si fermò come a interpretare i miei stupiti battiti di ciglia e la smorfia che trasformava il mio viso. Quasi avesse colto in me un segno di assenso, riprese a parlare e io non potei fare a meno di immergermi completamente nella sua voce calda: «Sentivo spesso i miei litigare per quella casa, mio padre diceva che era uno spreco darla in affitto, e mia madre non ne voleva sapere di rimetterci piede... I miei poi si sono separati. Per colpa delle voci. Adesso mia madre è tranquilla, pochi anni fa sentiva le voci anche in casa nostra, poi tutto è svanito e questi sono diventato ricordi spiacevoli sepolti nella memoria. »
« Io... Oh mio Dio... Ecco perché sapevi quelle cose sulla casa! Beh io le sento ogni singolo giorno quelle voci, pensavo di essere completamente uscita di cervello! »
«No Matilde, non sei pazza, io so cosa vuol dire...» Il suo sguardo assomigliava a qualcosa di molto triste.
«Certo che lo sai, immagino che debba essere stata dura vivere con tua madre che sentiva quegli infernali bisbigli. »
«Sì...» non sembrava convinto dalle mie parole, come ci fosse qualcosa che doveva confessarmi e dentro di lui ci fosse una guerra tra due fazioni: una voleva rivelare un segreto, l'altra gli imponeva di tacere. Vinse la seconda. In un soffio, i suoi occhi azzurri divennero più scuri e intensi, attraversati da un' ombra. Ero indecisa su come giudicare quel ragazzo. Lo fissai così intensamente per decifrarlo che lui cambiò argomento, con un leggero rossore a colorargli le guance: «Mia madre si chiederà dove sono finito, e dove sei finita tu. Meglio andare.»
Annuii seguendolo. La casa era bella, spaziosa, una luce calda e soffusa la rendeva accogliente. Il tavolo era apparecchiato per quattro, perché come lui stesso aveva specificato, erano anni che i suoi genitori non stavano più insieme. Ridemmo e scherzammo tutto il tempo, ma nello sguardo di Aaron che spesso incontrava il mio, scorgevo ancora la sua guerra. Non gli feci notare nulla, e alle 4:30 tornai a casa mia, mi stesi sul letto a fare i compiti e alla fine ci rinunciai, optando per fare schemi e disegni riguardo a quello che avevo saputo da Aaron. Cercavo disperatamente di dare un senso alla situazione che mi circondava.
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La figlia dell'Inferno.
FantasyUn filo che è come la lama di un rasoio a unire i tre regni. Inferno, Terra, Paradiso. Qualcuno ha mai sentito parlare di: lettori di anime? Una ragazza destinata alla gloria o alla dannazione. A voi la scelta, ma vi avverto.. « Lasciate ogni sper...