Capitolo 38

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Il mio cuore era frammentato. Fatto a pezzi. Distrutto da un mattone che vi si era posato sopra, scagliato a velocità inimaginabile. La visione di Howl ed Elidia mi aveva scombussolato tanto da farmi sciogliere in pianto davanti alla porta chiusa della sua stanza. Scelsi di torturarmi, rimanendo fuori, seduta con la schiena alla parete, gli occhi fissi nell'oscurità ad ascoltare i rumore che riempivano il corridoio. Le risate di Elidia, la voce roca e profonda di Howl, Lucifero che urlava il mio nome non riuscendo a trovarmi e una voce che fra tutte le altre sentivo più penetrante: Eligos, in preda al dolore della medicazione che gli stavano facendo, gridava. Non erano grida comuni, erano strozzate, quasi trattenute, ma che lui sputava fuori dalla gola nella foga del momento. Doveva essere davvero terribile e l'unica cosa che potevo fare io era quella di starmene seduta in silenzio e aspettare che il mondo girasse, che il giorno cambiasse, che le ore passassero piano, con la lentezza straziante di chi aspetta con impazienza qualcosa che sembra non arrivare mai.
Mi presi la testa fra le mani, le guance bagnate e i capelli zuppi di lacrime alle punte. Lo feci. Serrai il lucchetto, sbattei la porta. Chiusi la mia mente perfino a me stessa, così che nel cranio l'unico suono rimasto era un sibilo a ricordare che fuori qualcosa stava ancora accadendo. Non sentivo più niente, nessun dolore, nessuna emozione. Lasciai che le lacrime si seccassero sul mio viso, mi alzai e entrai in camera. Quel giorno era particolarmente freddo, il fuoco crepitava nel camino fra i ciocchi di legno riempiendo l'aria dell'odore di rami bruciati e resina sfrigolante. Osservai le foglie accartocciarsi, mi avvicinai e mi inginocchiai davanti ad esso.
Lo feci senza pensarci, allungai il braccio e la mia mano fu dentro le fiamme in un attimo.
Poco dopo arrivò Elizabeth, dovevo aver gridato senza essermene accorta. La sua voce mi rimbombava nella testa ovattata, non distinguevo la forma del suo viso, ma sapevo che era lei. Nessun altro mi avrebbe preso con così tanta delicatezza e mi avrebbe fatto stendere sul letto. Annusai il cuscino, sapeva di buono. Sentii bruciare la mano ma non aprii la bocca, tenni tutto il dolore per me, assaporandolo, punendomi per ciò che ero e che non riuscivo ad accettare di essere. Serrai gli occhi: non volevo vedere mentre la mia cameriera mi spalmava unguenti e mi fasciava la mano, non volevo sentire mentre diceva che non c'era da preoccuparsi, che avrebbe lasciato poco più di una cicatrice.
Ero troppo stanca anche solo per pensare e mi abbandonai ad un sonno leggero fatto di incubi tremendi. Eligos bruciava fra le fiamme, Howl mi salutava da lontano cingendo Elidia per la vita e accanto a me c'era Lucifero che sussurrava: - Lo hai ucciso tu.-
Quando mi svegliai completamente coperta di sudore non ci pensai due volte ed entrai in bagno. Aprii l'acqua della doccia e mi ci ficcai sotto, niente aveva più importanza; non potevo stare accanto ad Eligos, l'unica persona capace di guardarmi come se fossi una ragazza come tutte le altre; non potevo stare accanto ad Howl, mi odiava per qualcosa che non avevo fatto ed inoltre era fidanzato; non potevo stare accanto a Lucifero, perché nonostante ci fossero buone intenzioni in quel che mi diceva e faceva, nel suo cuore regnava un'aria che mi spaventava, mi soffocava, mi stringeva fra le sue spire. Lasciai che il mio corpo fosse inondato dal calore dell'acqua che scorreva alla massima temperatura arrossandomi la pelle, non sentivo nemmeno il dolore. Sapevo di aver chiuso il mio cuore e la mia anima, di aver gettato la chiave da qualche parte e pur sforzandomi di ricordare dove, non riuscivo a ritrovarla.
Uscii dalla cabina e mi asciugai, indossai solo mutandine e una maglia che mi stava due volte più grande, non sapevo cosa ci facesse nel mio armadio, ma non era un dettaglio che destava in me preoccupazione. Mi tamponai i capelli con un asciugamano morbido e li lasciai umidi all'aria, gettandomi di nuovo sul letto di pancia, con la faccia affondata fra i cuscini e a contatto col materasso.
Qualcuno bussò alla porta ma io tacqui, non avevo la forza di rispondere.
- Annie? Annie apri ti prego.-
Doveva essere Eligos, era l'unico a chiamarmi così.
Non so come, strisciai fuori dal letto e girai la chiave nella toppa, non ricordavo di aver chiuso.
- Ciao..-
- Annie che hai fatto alla mano?- domandò lui con gli occhi spalancati.
- Niente di importante, come ti senti?-
Dovevo rimanere fredda, distaccata, ma non ci riuscivo. Rividi Ecate, il suo gemello, mentre mi implorava di non fargli del male.
- Meglio, dopo l'ultima medicazione stanno scomparendo anche le bruciature anche se è stato molto doloroso - sussurrò lui.
- Lo so. Non devi vergognarti del dolore che provi Eligos.-
Non potei fare a meno di leggere nella sua anima le sensazioni che stava provando al momento, era più forte di me. Il mio dono e la mia maledizione, essere costretta ad immedesimarmi costantemente negli altri, a provare un'empatia al di fuori del normale e agire sempre di conseguenza.
Presa dai pensieri non mi ero accorta che il demone era entrato nella stanza chiudendo la porta, e adesso mi stava spingendo sul letto costringendomi a rimanere seduta con lo sguardo torvo.
Mi si inginocchiò davanti e mi slegò la fascia che mi ricopriva totalmente la mano: era rossa, gonfia, piena di bolle e bruciature.
Nello stesso istante entrò anche Howl, che alla vista della mia mano sbiancò e rivolse uno sguardo adirato ad Eligos: - Che le hai fatto?- urlò.
Non ebbe tempo di rispondere che Howl gli si era già gettato addosso e adesso i due erano coinvolti in una zuffa senza precedenti fatta di mani, grida, pugni e calci. Non distinguevo più dove cominciava l'uno e dove finiva l'altro.
Cercai di fermarli, dovevo trovare un modo. Nonostante parlassi a voce alta non mi udivano, allora feci l'unica cosa che sapevo avrebbe funzionato: notai che Howl portava alla cintura un coltello, lo estrassi mentre era impegnato a combattere e mi incisi la carne del braccio lasciando che ne fuoriuscisse il sangue.
I litiganti si bloccarono, Howl girò di scatto la testa e con l'espressione più addolorata che avessi mai visto tanto di tenere Eligos steso a terra, che adesso con gli occhi del colore del vino, mi fissava come fossi il piatto principale della cena. Era meno scalpitante della prima volta, dovevano averlo nutrito e dentro di lui una parte riusciva ancora a controllarsi. Attesi minuti, forse mezz'ora prima che il demone si calmasse e tornassero a risplendere i suoi rassicuranti occhi azzurri. Quando tornò in sè spinse via Howl, mi rivolse un'occhiata carica di rammarico e vergogna e poi uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Eravamo solo noi, io e la fonte di parte del mio dolore, ci guardavamo dritti negli occhi, incapaci di scollarli l'uno dall'altra.
- Perché l'hai fatto?- disse lui avvicinandosi e facendomi sedere.
- Non mi stavate ascoltando. Prima che tu saltassi addosso a quel povero ragazzo stavo tentando di spiegarti che non è colpa sua se la mia mano si è quasi carbonizzata - affermai decisa, le mie labbra indurite in una linea.
- E di chi è la colpa?-
- Mia. Solo e soltanto mia.-
Distolsi lo sguardo che fino a quel momento non si era sciolto dal suo, arrossendo per la vergogna. Guardai lontano, verso la porta del bagno, oltre al demone che adesso si era inginocchiato e aveva strappato un pezzo della sua camicia per bendarmi la ferita. E bravo il mio eroe, pensai. Era una scena così teatrale, che mi trattenni a stento dal ridere.
- Che c'è di così divertente adesso?-
- Niente, è che sembra di stare in un film. Tu che tu strappi la camicia, mi chiedi perché l'ho fatto, tenti di medicarmi, sembra tutto così assurdo..- ammisi.
- In effetti.. Però è reale, io sono reale e anche tu. Mi dispiace, quando ho visto la mano conciata in quel modo.. Ho perso la testa.-
Howl girò il viso verso di me, cercando i miei occhi che io gli negai.
- Ana, guardami.-
Non potei più resistere, feci come richiesto.
Appoggiò il palmo della sua mano sulla mia guancia accarezzandola. Un calore familiare e rassicurante mi pervase e non mi trattenni. Scivolai dentro la sua anima aggrappandomi ad essa, assicurandomi che lui non potesse fermarmi tanto salda era la mia stretta.
Ogni cosa che sentivo e vedevo attraverso di lui era nuova, diversa. La mia forma stessa era scomparsa, ero diventata qualcosa che si era smaterializzato per entrare nel corpo di un altro, nel corpo di Howl. Adesso non esistevo più, Anastasia era svanita. Presi il controllo, mossi le mani che si alzarono agili e dalle lunghe dita, mi sfiorai il viso. Maschile, spigoloso.
Anastasia ma che hai fatto?
- Penso di essere entrata nel tuo corpo Howl..- la voce che uscì non era la mia, era profonda, roca, virile.
E cosa pensi di fare adesso?
La voce di Howl mi rimbombava nella testa, lui era ancora presente. Due anime in un solo corpo.
Presi possesso della sua mente e lasciai che vagasse, vidi Lucifero, Belial, Elidia e poi il mio viso. Avvertii una stretta al cuore, poi fui catapultata verso un ricordo in particolare: ero io, in piedi davanti ad un albero che urlavo. La mia voce non si sentiva ma ero visibilmente arrabbiata, me la rifacevo con dei tizi grandi e grossi, con un sorriso beffardo sul viso. I miei occhi diventarono verdi, era la me di prima, la Matilde con i capelli mossi e castani, la ragazza insicura e solitaria dagli occhi colore del cioccolato fuso che adesso aveva posato una mano sul torace del più grosso dei ragazzi e questo mutava la sua espressione da divertita a impaurita. Dopodiché caddi a terra, stremata.
Finito il ricordo sentii come un pugno che si apriva e mi mollava, a velocità inimmaginabile ero scaraventata fuori da un corpo che non mi apparteneva per tornare nel mio.
Chiamai Howl nella mente, ma nessuno rispose. Ero di nuovo io, di nuovo sola.
Il demone mi fissava sconcertato, la bocca aperta a metà, ma non ne usciva alcun suono.
- Come cavolo hai fatto?-
- Non ne ho idea.-
- Cosa hai visto?-
- Io.. Non ne sono sicura..- sembrava troppo assurdo per essere reale. Ricordavo perfettamente quell'episodio, lo tenevo impresso nella mente come l'unica volta in cui ero riuscita a proteggere Aaron, e non il contrario. Ma che ci faceva un ricordo del genere nella testa di Howl?
Tutto mi fu chiaro, lampante. Fui colta da un fulmine, da un lampo di genio che i portò a schiacciare la mano contro la fronte. Come potevo essere stata così stupida? Così cieca all'evidenza che mi si era stagliata davanti agli occhi per tutto il tempo?
-Howl..- dissi con la voce tremante.
Lacrime calde cominciarono a fuoriuscirmi dagli occhi senza che potessi controllarle.
- Ana? Che succede?-
Lui era atterrito, sconcertato, se avesse potuto teletrasportarsi in qualsiasi altro luogo lo avrebbe fatto, senza ombra di dubbio.
- Aaron. Aaron ascoltami.-
Gli occhi fondi e neri come il carbone di Howl si spalancarono un tutta la loro grandezza e un suono uscì dalle sue labbra, solo uno.
- Matilde..-
Mi gettai fra le sue braccia. Quella somiglianza non poteva essere casuale, l'attrazione che provavamo l'uno per l'altro non poteva essere così forte e nata nel giro di poco tempo, no. C'era un legame più intenso e profondo, un legame che adesso ci teneva stretti e collegati da un filamento invisibile ma indistruttibile. Rimanemmo abbracciati per un tempo eterno, quasi che i minuti scorressero ad un ritmo tutto loro, scandito da un nuovo metronomo: il nostro cuore.
- Grazie a Dio.. Grazie a Dio ce l'hai fatta, mi hai riconosciuto..- ansimò lui gemendo piano.
Gli afferrai il viso e asciugai le lacrime che erano cadute sulle sue guance.
Ci scambiammo un bacio tenero eppure pieno, consapevole. Uno di quelli che ti prende e ti riempie fino all'orlo, finché non sei ubriaco e dell'amore non ne puoi quasi più. Quasi. Dell'amore non se ne ha mai abbastanza.
- Come è possibile? Com'è stato possibile?-
- Quando mi sono trasformato una parte di me è rimasta umana, ma non ricordavo più quale fosse, sapevo che al tramonto del sole diventavo qualcun altro, qualcuno che mi faceva sentire mezzo pieno e mezzo vuoto al tempo stesso. Di notte tornavo ad essere Aaron, per questo nessuno mi ha mai visto di notte e l'altro me doveva inventarsi qualche scusa a chi lo incrociava per sbaglio. Ero condannato a vivere così, finché qualcuno non mi avesse riconosciuto.-
Le sue parole diradarono molti dei miei dubbi facendo sorgere però una miriade di domande affamate.
- E nessuno ti ha riconosciuto?-
Lui sorrise, triste.
- Sarebbe stato troppo facile. Non era una persona a caso che doveva farlo, era la persona con cui avevo condiviso qualcosa prima della mia trasformazione. Non sai quanto ti ho aspettato.. Non ho lasciato avvicinare nessuno per anni, nessuno finché non ho incrociato il tuo sguardo fuori dalla scuola. All'inizio ero restio ma tu mi hai aperto come si fa con le noci, mi hai tolto il guscio.-
Ero felice, felice di averlo ritrovato.
- Non tornerai più ad essere Aaron?-
- No.. Spero che la cosa non ti deluda. In ogni caso adesso sono molto più equilibrato. Dentro di me c'è tutto l'ordine che mi è mancato davvero tanto negli ultimi tempi..-
Non riuscivo a crederci, eppure era vero.
Non gli diedi il tempo di terminare il discorso e lo afferrai, dovevo sentirlo vicino, ascoltare il battito del suo cuore contro il mio, vivere per la prima volta dopo anni. Le nostre mani, le nostre bocche, tutto di noi si fuse e si incendiò, divenne come metallo fatto dagli scarti, come plastica modellabile per creare qualcosa di nuovo e inaspettato. Noi eravamo il cambiamento, eravamo l'amore che vince contro il tempo e contro la divisione di due cuori che da lontano non riuscivano a scorgersi. Ma ora era diverso, eravamo noi, Anastasia e Howl con la vita fra le mani che pulsava e si dimenava come un uccellino.
In quel momento mi tornò in mente un verso di una poesia di Ungaretti: non sono mai stato tanto attaccato alla vita.

Fine.

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