Capitolo 16.

918 51 1
                                    

Fissavo il cellulare, in attesa.
Avevo scritto ad Aaron che mi dispiaceva, che ero dovuta andare via, che sarei stata fuori città per tanto tempo, nemmeno io sapevo quanto; gli avevo scritto che ero spaventata, confusa, che volevo spiegazioni che nessuno mi forniva, che volevo sapere come lui sapeva ciò che ero davvero. Scrissi che mi odiavo, perché non ero come tutti gli altri.
In un attacco di rabbia lanciai il cellulare sul letto.
«Come se a lui importasse qualcosa! Dannazione! A lui non importa di me. Non gli è mai importato. Eppure ieri notte... Quando l'ho visto addormentato, sognava me..»
Mi sedetti e mi coprii il viso con le mani.
Mia madre bussò alla porta ma non avevo voglia di parlare con lei. Non risposi, e il suo passo strascicato mi fece intuire che avesse accettato ancora una volta la sconfitta. Rifiutavo di vedere chiunque.
Dopo il mio pianto, mi avevano condotta nella mia stanza, perché il giorno successivo avrei cominciato l'addestramento. «Non oggi» aveva detto Heinrich «è troppo provata.» Provata era un eufemismo.
Cominciai ad ispezionare la mia nuova camera per calmarmi. Ero così infuriata che ogni particolare, per quanto oggettivamente di bell'aspetto, mi irritava indicibilmente. Un grande armadio era pieno zeppo di vestiti di tutti i generi. E di scarpe di tutti i generi. In bagno c'era tutto quello di cui avevo bisogno. Persino il mio profumo preferito. Un brivido mi corse lungo tutta la schiena. Chissà quando avevano preso queste informazioni. Da quanto tempo sapevano? Era stata mia madre a darle tutte quelle indicazioni?
Mi sentivo violata, privata della mia libertà di essere spontanea. La mia vita era stata organizzata chissà quanti anni prima. Stentavo a crederci.
Se non altro il letto era comodo e le lenzuola erano di un violetto allegro e confortevole, come i cuscini, sopra ai quali vi erano disegnati tanti piccoli fiori bianchi.
Davanti al letto una libreria mezza piena e mezza vuota. Nello spazio libero c'era una targhetta che diceva libri in prestito dalla Grande Biblioteca.
Probabilmente si riferiva al fatto che potevo prendere in prestito libri nella Sala del Consiglio. Mi sarebbe tornato utile quel particolare, non ero né la prima né l'ultima adolescente in grado di ricucire le ferite con le pagine dei libri.
Nonostante la doccia bollente, avevo i nervi tesi come corde di violino e non riuscivo proprio a rilassarmi. Non avevo pace.
Con i capelli ancora umidi pescai dall'armadio un paio di pantaloni comodi da ginnastica, stretti in fondo come piacevano a me ed una felpa grigia. Perfetto. Il grigio mi dava la calma che cercavo.
Uscii furtivamente dalla mia stanza e mi aggirai per i corridoi. Restare all'interno a deprimermi era un'opzione, ma fino a quel momento pareva non aver funzionato più di tanto.
Con mia sorpresa notai che sopra alle stanze c'era scritto il nome dell'inquilino. Eravamo mischiati, maschi e femmine. Pensai che fosse una cosa piuttosto inusuale, poi mi tornò in mente il fatto che spesso un lettore era destinato ad avere una relazione con un altro per cui era più che ragionevole quella mescolanza, facilitava il rapporto con l'altro sesso.
Mi trovai ad un bivio, e scelsi di andare a sinistra. Il tappeto rosso che foderava il pavimento era attraversato da una linea gialla sinuosa che seguiva le anse del corridoio. Come mi piaceva fare da bambina, misi un piede davanti all'altro, attenta a non uscire dalla linea. Ero così concentrata in quel giochetto che per un attimo dimenticai il luogo in cui mi trovavo e continuai a camminare, mi sembrava di stare andando sempre avanti, come se non ci fosse una fine a quel percorso, finché... Non sbattei la faccia contro la realtà. E la realtà era un ragazzo dai capelli color della luna, gli occhi neri come pozzi profondi e la pelle candida come la neve. «Oh cavolo, scusami. N-Non ho fatto caso a dove stavo andando e io...» ma lui mi aveva già sorpassata. Che strano tipo, pensai. Non mi aveva nemmeno ascoltata, e per un attimo ebbi timore che non sarei mai riuscita a fare amicizia in quel posto se tutti si fossero comportati come lui. L'educazione era una di quelle cose che consideravo imprescindibile.
All'improvviso percepii un pizzicore intenso in mezzo alle scapole che mi costrinse a fermarmi. Voltai lentamente la testa: era lui. Immobile contro la parete, che mi fissava. Sembrava una statua ornamentale di granito e io lo guardai disorientata.
Fece un mezzo sorriso, guardò verso la porta accanto alla sua e poi sparì. Cercai di raggiungerlo muovendomi verso di lui, e mi ritrovai esattamente dove avevo cominciato. Avevo girato intorno, ero di nuovo davanti alla mia stanza.
Guardai la targhetta sul muro in corrispondenza del posto in cui quel ragazzo era scomparso e notai che sulla sua, il nome era stato graffiato via, come raschiato con le unghie.
La faccenda si stava facendo ancora più strana del previsto.
Un gorgoglio sinistro mi fece distrarre, era il mio stomaco. Avevo una fame terribile.
Mi avevano dato alcune istruzioni al riguardo:
1. Si fa colazione alle 7 in punto.
2. Dopo colazione sessione di addestramento in gruppi.
3. Si pranza alle 13 in punto.
4. Dopo pranzo pausa di un' ora prima dell'addestramento teorico.
5. Si cena alle 20:30 in punto.
6. Dopo cena sessione di addestramento in coppie.
Non c'erano orari per il letto. Ma se ti trovavano sveglio dopo mezzanotte e soprattutto, non nella tua camera, venivi severamente punito.
Tutto quell'addestramento. Avrei retto la pressione? Non lo sapevo. Per me era una novità dover lavorare con così tanta assiduità, e poi non sapevo nemmeno cosa intendessero dire con allenamente in coppie, era una cosa che non mi rendeva per niente tranquilla: sarebbe stato un faccia a faccia con un'altra persona, da soli, e io non ero mai stata molto incline a quel genere di cose.
Presi il mio cellulare, controllai l'ora: 20:20. Avevo dieci minuti e mi decisi a cercare il refettorio: non fu difficile, era pieno di cartelli ovunque, e supposi fossero per i nuovi arrivati come me.
Per cena c'era pasta al pomodoro e frittata di patate. Mi sedetti ad un tavolo, da sola. Poco dopo vidi avvicinarsi una ragazza, sembrava piuttosto sperduta. Cercando di non risultare scortese le chiesi: «Cerchi qualcuno?» La sua testa si voltò di scatto e sul suo viso si aprì un sorriso luminoso. Era quel tipo di ragazza che mi faceva arrossire.
«In realtà no, sono arrivata oggi e non ho nessuno con cui cenare...» disse sconsolata. Rifiutarle il mio aiuto sarebbe stato fuori discussione. «Puoi sederti accanto a me se vuoi, anche io sono sola.»
Alzò gli occhi dal suo vassoio e notai che erano verdi scuro. Sembravano il punto profondo di una foresta, riuscivo quasi a sentire l'odore degli abeti.
I suoi capelli lunghi quasi finivano nei piatti. Il suo sguardo guizzò di rimando alle mie parole: «Dici sul serio? Sei molto gentile. Ma bando alle ciance! Io sono Marta, piacere di conoscerti!»
Le strinsi la mano frettolosamente, con la paura di non riuscire a contenere i miei poteri.
Lei mi guardò e disse: «Tu cosa sei?»
«In che senso scusa?» Cavolo, andava dritto al sodo. Eppure la sua curiosità mi sembrava genuina.
«Se sei qui, significa che hai qualcosa di fuori dall'ordinario! Per esempio, io sono... Beh ecco...» La vidi esitare e abbassare il viso verso il tavolo. «Non devi dirmelo per forza sai? E qualunque cosa sia, non credo che dovresti vergognartene». Marta mi fissò per qualche secondo, sbigottita. «Oh no, non si tratta di questo. È solo che, vedi, è da poco che lo dico a voce alta. Ci sto ancora facendo l'abitudine. Sono una ninfa» aggiunse porgendomi la mano.
«Una ninfa? Pensavo che qua ci fossero solo Lettori» ero confusa. Forse era così carina perché era una ninfa? Ma soprattutto, esistevano anche le ninfe? Cercai di non dare di matto.
«All'inizio sì, in effetti. Poi questo luogo è diventato una scuola grandiosa per tutti coloro che sono.. fuori dalla media, per intenderci» disse facendomi l'occhiolino. Era dolce, e molto esuberante, dovevo ammeterlo.
«Piacere Marta, io sono Matilde. Sono una... Lettrice di anime». A pensarci bene anche per me era molto strano pronunciare quelle parole a voce alta. Lei però sorrise affascinata: «Wow, dev'essere una figata.»
«Perché, essere una ninfa non è..."figo"?»
Le risposi utilizzando la sua stessa espressione.
«Noi ninfe non facciamo nulla di speciale. Ognuna di noi appartiene ad uno dei tre ordini,se così vogliamo chiamarli: ninfe della terra, del mare e dell'aria. Quelle della terra vivono per gli uomini servendoli e consigliandoli. Quelle del mare esercitano il loro potere e controllano tutto ciò che riguarda le acque. Le terze invece, ci sanno fare con gli eventi atmosferici. Qualcuna di diverte a scatenare un tornado, alle volte» disse tenendo il conto con le dita lunghe e laccate di verde. Ero sbalordita, non avevo idea che esistessero creature del genere. O almeno, non fuori dai miei libri.  «Io sono un caso a parte, un caso un po' speciale. Non voglio peccare di falsa modestia quindi tanto vale che lo dica subito» aggiunse ridacchiando. La intimai ad andare avanti, facendole intendere il mio interesse. «Credo di essere una specie di strano mix, vado forte con gli elementi in generale» la sua bocca perfetta si esibì in un piccolo sorriso. Non era una persona vanitosa, anzi, piuttosto era cosciente e consapevole di se stessa, ed era una qualità interessante. Mi piaceva Marta. La sua voce squillante mi tartassò di domande per il resto della cena, ad alcune non sapevo rispondere e ad altre, sulle quali ero preparata lei mi ascoltava rapita. Stranamente le sue curiosità non mi infastidivano. Ci incamminammo ridacchiando verso il dormitorio e notai che imboccammo lo stesso corridoio. «Anche tu sei in una di queste stanze?»
Si fermò: «Per l'esattezza questa è la mia.»
«E questa è la mia» dissi io sorridendo.
«Siamo vicine di stanza! È una cosa fantastica! Adesso devo andare a letto, le giornate sono dure qui dentro, te lo assicuro. A domani dolcezza!»
«Buonanotte Marta.»
Avevo un'amica, il primo giorno. Niente male.
Non avevo visto mia madre per tutta la sera, ma una delle guardie mi aveva comunicato che alloggiava nella residenza dei membri del Consiglio.
Mi misi il pigiama e mi addormentai appena toccai il letto: ero stremata.
Dormii profondamente.
Per la prima volta dopo essermi trasferita riuscii a riposarmi per ben nove ore consecutive. Quando mi alzai, ero giusto in tempo per vestirmi e scendere per fare colazione. Sentii un rumore, era la porta, qualcuno stava bussando.
«Matilde Nachtregen! Alzati dormigliona!»
Scoppiai a ridere, come era possibile essere così arzilli alle sette di mattina?
«Marta placa i tuoi bollenti spiriti, sto arrivando» dissi con l'ombra di un sorriso sulle labbra.
Mangiai alla velocità della luce e subito mi sentii carica per affrontare la giornata, non mi ero mai sentita così in vita mia: così completa, così in pace con l'ambiente circostante. Mi sentivo a casa, al mio posto.
«Marta lo senti anche tu?»
«Intendi questa pace assurda dei sensi? Oh sì.»
Sorridemmo entrambe, doveva essere il luogo che ci faceva quell'effetto, tutti erano più o meno felici come noi, lo si leggeva sulle loro facce. Tutti... Tranne una figura dalla cima del refettorio che non aveva smesso mai di fissarmi.
Era il tipo del giorno prima. I nostri sguardi si incrociarono e persi un battito. Santo cielo. Percepivo qualcosa... La sua forza forse?
«Matilde? Mi stai ascoltando? Sei imbambolata da dieci minuti a guardare... Oh. Cavolo. Chi è quel figo assurdo?» anche lei si era accorta che quel ragazzo mi stava fissando.
«Marta. Credo di avere uno stalker.»
Lei si mise ad urlare:«Cosa?! Uno stalker?» cercai di calmarla e rassicurarla. La situazione era piuttosto comica, sarei dovuta essere io quella da rassicurare e calmare. Iniziavo ad irritarmi.
«Non lo so, è solo che... Penso di doverlo scoprire da sola. Lui non fa altro che rimanere impalato come un emerito idiota.»
Il tizio inquietante allargò lo sguardo, i suoi occhi si fecero più neri, un fremito mi percorse, lasciandosi dietro una scia di brividi. Avevo freddo, tremavo. Dalla mia bocca usciva aria gelata, sembrava fossero zero gradi.
Mi girai verso Marta che scioccata mi fissava con le pupille minuscole di paura. Forse le ninfe non eccellevano per il loro coraggio.
Tornai a guardare il ragazzo e lui per tutta risposta se ne andò.
«Penso che ce l'abbia con te» sussurrò Marta.
Non riuscivo a parlare. Era avvenuto tutto troppo velocemente ed era stato troppo strano.
Cominciammo a camminare, ma eravamo ancora pietrificate e la mia temperatura corporea stava iniziando solo con il movimento a ristabilirsi. Per tutta la giornata tentai di tenere la mente impegnata con altre faccende, sperando di liberarmi di quella sensazione frustrante di essere osservata.
Scoprii che le sessioni di gruppo si trattavano di un mare di ragazzi e ragazze che venivano selezionati e divisi in base ai loro poteri.
Io ero nella categoria principianti ovviamente, e ci fornirono alcune penne e blocchi note su cui scrivere.
A malincuore dovetti separarmi da Marta. La prima lezione fu tutta una novità per me.
Ci divisero ulteriormente per completare il nostro primo vero incarico: uno di fronte all'altro dovevamo poggiare la mano sul compagno e intercettare la prima cosa che potevamo il più velocemente possibile. L'insegnante ci aveva spiegato che era una tecnica molto utile da sfruttare per difenderci.
Il mio compagno in questo caso era una ragazza, doveva avere un anno più di me, ma già sentivo di non sopportarla. Le appoggiai la mano sulla spalla, timorosa. «Ciao Elidia»
dissi. Quella era la prima cosa che avevo captato: il suo nome.
La professoressa aveva il mio stesso cognome, Nachtregen. Era la seconda sorella di mia madre. Fantastico. Oltre al fatto che avevo scoperto solo dopo diciassette anni di avere due zie.
Fu per questo motivo che mi guadagnai da subito il titolo di cocca della prof.
Non ci feci caso, ero lì per capirci qualcosa in più rispetto a quel poco di cui ero a conoscenza. I bulli non mi erano mai piaciuti, ma adesso sarebbero passati proprio in secondo piano rispetto al casino che avevo in testa.
Con l'avanzare del tempo, scoprii che la mia compagna aveva 18 anni e mezzo, come lei stessa aveva precisato; aveva un cane e due gatti; era perfettamente consapevole di essere una bella ragazza e vidi molti episodi a cui avrei preferito non assistere.
Lei continuava a squadrarmi con aria divertita, e sentivo tutto il suo godimento nel vedermi arrossire quando scelse di farmi vedere i suoi baci appassionati... Bleah. Mi sembrò un po' precoce per la sua età, intrattenersi con così tanti ragazzi diversi, ma evitai di farglielo notare.
Continuammo con quel ritmo per un'ora, poi fu il suo turno di scavare dentro di me.
Non volevo che lo facesse, ma non avevo scelta. Potevo solo decidere cosa farle sapere e cosa tenere per me.
Le diedi le informazioni di base e quando lei cercò di andare più a fondo l'unica cosa che le concessi fu di farle toccare con mano il dolore nel vedere mia madre così distrutta dopo la separazione. Lei sorrise sinistramente, sembrava godere della mia sofferenza. Mi fece venire voglia di darle un pugno. Avevo un compito molto più importante su cui concentrarmi però: tenere al sicuro il ricordo di Aaron. Alla fine della sessione, io avevo compilato il mio blocco con più informazioni di tutti, e per questo mi guadagnai un po' di ammirazione e rispetto. Anche un po' d'invidia, mio malgrado.
Arrivò l'ora di pranzo, finalmente.
Non ci misi molto a trovare gli occhi verdi di Marta, anch'essi in cerca dei miei.
«Hey! È stato sfiancante stamattina. Tutta quella gente, e poi lo smistamento. Io sono con le ninfe principianti, ci fanno esercitare sui domini. E tu? Cosa ti fanno fare?»
Cominciai a raccontarle tutto, di Elidia, della sessione, della professoressa, e nel mentre sbocconcellavo dal mio piatto. Ero già stremata ed eravamo solo ad un terzo della giornata. Adesso ci aspettava teoria se non andavo errata.
Conducevamo la tranquilla sessione di studio in un angolo dell'immensa Sala del Consiglio, seduti a gambe incrociate con i nostri volumi adagiati sopra. Un modo nuovo di studiare. Il professore era un uomo sulla cinquantina, si chiamava Litfold e aveva adorabili occhi chiari e capelli brizzolati. Intuii che facesse parte anche lui del Consiglio. Ci fece leggere qualcosa riguardo al fatto che di base i Lettori possiedono le stesse capacità, toccare qualcuno ed essere in grado di leggere l'anima del soggetto. Eppure alcuni erano in grado di utilizzare il loro potere come ramificato, dando vita ad un infinità di capacità che si affiancavano a quelle di base. Chi leggeva nella mente senza contatto, chi vedeva un evento imminente, chi percepiva pericoli a lunga distanza, chi usava la propria mente come barriera difensiva, chi comunicava telepaticamente, chi era in grado persino di possedere la mente dell'altro per un periodo di tempo e controllarla a proprio piacimento.
Ero affascinata da tutti questi particolari che non mi resi nemmeno conto che il pomeriggio era passato in un lampo ed erano le sette. Ci concessero un po' di tempo libero e ci assegnarono di studiare il 1º capitolo di Lettura di anime di base. Il mio cervello aveva decisamente bisogno di una pausa, ma al contempo tutte quelle informazioni mi avevano schiarito le idee; mi sembrava di star rispolverando vecchie conoscenze impolverate, chiuse da chissà quanto tempo in un cassetto nella mia testa.

La figlia dell'Inferno.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora