Capitolo 11.

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«Matilde!?» una voce che ormai avevo imparato a riconoscere mi fece tornare a galla dal mare di pensieri in cui ero immersa.
«Dannazione eterna, che pensavi di fare? Non ti facevo così distratta, cazzo. Se non fossi arrivato saresti sotto al 25 » si stava evidentemente riferendo all'autobus che mi aveva appena scansata. Assorta com'ero, non mi ero nemmeno accorta di star camminando in mezzo alla strada...
«Aaron, io...» ma perché mi beccava sempre nei momenti peggiori?
«Ti prego, zitta.»
Era nervoso, si muoveva a scatti, non capivo cosa fosse successo. Certo, si era preoccupato e mi aveva appena salvato la vita, ma non c'era bisogno di essere così scorbutici alle sette di mattina.
«Ti ringrazio di avermi salvato il posteriore, ma ancora non capisco perché sei così arrabbiato» dissi cercando di risultare amichevole. Si girò per guardarmi meglio in volto, e vidi l'ombra delle occhiaie piuttosto marcata, il suo viso più pallido del solito metteva in risalto la sfumatura argentea sul fondo delle iridi. Morivo dalla voglia di scoprire che cosa gli fosse successo durante la notte, cosa lo avesse stravolto così tanto da non fargli chiudere occhio. E d'un tratto mi resi conto che mi sarebbe bastato toccarlo per trovare la risposta alle mie domande ma... No. Non lo avrei fatto, se avesse avuto qualcosa da dirmi avrebbe di certo preferito parlarmene coi suoi tempi, giusto? Non volevo intromettermi nella sua vita in modo così invasivo.
«Riesci a stare per più di cinque minuti concentrata su qualcosa tu?»
Arrossii violentemente  «Oh, io... Ehm, scusami... Penso sempre troppo.»
Annuì con la testa, era d'accordo con me.
Continuammo a camminare immersi nel silenzio e nelle prime luci del mattino, diretti verso il posto che ultimamente odiavo di più: la scuola. O forse l'avevo sempre odiata? Arrivati davanti al portone, mi persi a cercare qualcuno della mia classe e quando feci per voltarmi per chiedere ad Aaron in quale classe fosse lui, mi accorsi che era sparito. Corsi lungo il viale, tra le foglie che giacevano a terra e lo vidi dirigersi verso il parco, appena dietro la scuola. Controllai l'orologio e realizzai di essere in largo anticipo, avevo il tempo di seguirlo per vedere dove stesse andando.
Cercai di pedinarlo senza farmi notare, mi nascosi dietro un albero abbastanza grande da coprirmi interamente e da cui potevo sbirciare cosa stava succedendo. Mi sentivo un agente segreto in missione speciale e mi piaceva, mi faceva sentire elettrizzata.
Una forte risata mi spinse a dare un'occhiata più approfondita. C'erano quattro ragazzi intorno a lui e i discorsi che facevano non sembravano piacevoli, ma ero troppo lontana e riuscivo a sentire solo brevi parti.
«Hey, guardate un po'... Il fottuto sfigato è venuto. Hai trovato il nostro biglietto? Ti è piaciuto?»
Aaron fissava il vuoto e non rispondeva.
«Stronzo, guardami negli occhi quando ti parlo» ringhiò uno.
«Infatti, idiota. Guardaci negli occhi. Che c'è? Hai perso la capacità di parlare adesso? Ti avevamo avvertito. Spaccare la finestra della tua camera e lasciarti l'opera d'arte sul banco non basta? Vediamo se hai le palle di urlarlo quello che ti abbiamo scritto, eh!» lo spintonavano, lo provocavano, gli tiravano piccoli pugni ma lui non reagiva, non feci in tempo a farmi domande che il più grosso dei quattro infastidito dal comportamento di Aaron cominciò a sbraitargli addosso: «DILLO. DÌ AL MONDO COSA SEI. UNO SFIGATO, UNO STRAMALEDETTISSIMO SFIGATO, NON HAI ANCORA DETTO A TUO PADRE CHE SEI GAY? BEH, FORSE POTREMMO SEMPRE FARLO NOI, NON È COSÌ RAGAZZI? GUARDATELO, QUESTO PEZZO DI MERDA!» Aaron fissava il vuoto, niente sembrava scalfirlo in quelle parole. Ero paralizzata, non sapevo cosa fare. Un pungo allo stomaco, un colpo di tosse. Calci, altri pugni sempre più forti e lui non emetteva un suono.
Dovevo fare qualcosa, lo stavano pestando a sangue. Dio mio. Mi feci coraggio: «Hey, stronzi!» Il più grosso scoppiò in una risata fragorosa. «E tu chi saresti? Mio Dio, che trionfo di cose imbarazzanti, vorresti salvarlo?Hey sfigato, guarda un po' chi è venuto per te? Il principe azzurro! Ah no, è una fichetta!» e rise ancora più forte.
Porca miseria. Come mi era venuto in mente di uscire da dietro quell'albero? Ormai dovevo affrontarli, non avevo scelta. Maledissi mentalmente i miei istinti che ogni volta prendevano il sopravvvento.
Aaron, a terra, il naso sanguinante, una mano premuta sullo stomaco incollò i suoi occhi ai miei. Sembrava incuriosito dalla situazione.
Mi avvicinai al gruppetto di bulli e alzai la mano destra, tremante, sotto gli sguardi increduli di tutti: sentivo una strana sensazione crescermi dentro il petto, un fuoco, una rabbia in grado di incenerire chiunque sul mio cammino, la posai sul petto del più grosso dei ragazzi e dal centro del mio corpo partì una scossa, lo fissai negli occhi: era immobilizzato, incapace di parlare, spaventato. "Non provare mai più a toccarlo, tu e la tua banda di menomati mentali! Andate a farvela con qualcuno della vostra taglia, ma azzardatevi a mettere anche solo il naso in questo parco, e per Lilith vi incenerisco seduta stante." Pensai intensamente ogni parola. Ero strana, diversa e me ne rendevo conto, mi sembrava di vivere la scena da fuori guardando la situazione da spettatrice, ma ero anche cosciente di trovarmi nel mio corpo e al pieno, anzi al massimo, delle facoltà. L'unica cosa che mi era venuta in mente di fare era salvare l'unica persona a cui avevo aperto un piccolo spiraglio nella mia solida armatura che con il tempo si stava ammaccando, e l'avevo fatto a mie spese; avevo potuto persino visualizzare l'energia che era fluita dal mio corpo durante lo scontro, era luminosissima, non avevo mai visto niente di più puro, somigliava alla luce divina sporcata da qualche sfumatura bluastra, era uscita come un'onda travolgendo tutto e tutti, persino la sottoscritta. Ero stupefatta. Mi fissai immobile le mani, tremavano ancora. Mi sentivo così senza forze che mi accasciai al suolo, eppure non avevo rimorso: avevo usato il mio coraggio, le doti nascoste dentro di me che nemmeno sapevo di avere, per una buona ragione e questo mi faceva sentire viva più di quanto fossi in realtà. Ebbi poco tempo per riflettere. Avrei voluto scagliarmi su Aaron e fuggire con lui dal parco, andare a casa e rintanarci sul divano sotto le coperte, ricevere delle spiegazioni o magari rimanere anche solo in silenzio, ma l'ultima cosa che vidi fu qualcuno che correva via in preda al panico e una bocca rosea che urlava un "Nooo" che ormai non sentivo più.

La figlia dell'Inferno.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora