Capitolo 15.

730 50 1
                                    

Aaron

Mi svegliai di soprassalto. Quella notte non avevo fatto lo stesso sogno, non era stato il solito incubo. La persona che aveva invaso i miei pensieri era Matilde. Tutto era iniziato con uno scricchiolio, poi un' ombra che spariva nel pavimento, come risucchiata.
Tutti i miei sensi erano attivi. Fradicio di sudore e coi muscoli tesi, balzai a sedere sul letto. Le coperte ravvolte in un ammasso. Un odore... Era delicato e allo stesso tempo intenso. Era suo quel profumo che si era inspiegabilmente attaccato alle mie narici.
Uno sguardo alla sveglia sul comodino: le sei e mezza. Era già arrivato il giorno del suo compleanno, ed io ero in uno stato pietoso. Mi persi nei pensieri mentre mi dirigevo verso il bagno: speravo che l'acqua calda facesse scivolare via quella sensazione vaga di stordimento. Ero stanco di prima mattina, l'incubo era ancora attaccato al fondo dei miei occhi arrossati che ora fissavano lo specchio.
Lei scappava da me, piangeva, mi diceva che ero un mostro e che dovevo starle lontana; eppure mi sembrava in qualche assurdo modo, che avrei avuto comunque bisogno di lei. Bisogno di sentire i suoi capelli sotto le mie dita ancora una volta, bisogno delle sue stupidaggini, perché da quando l'avevo incontrata... Ah! Detestavo ammetterlo, ma qualcosa nella mia testa era cambiato. Non ero ancora riuscito a capire cosa, ero confuso. Mi passai una mano nei capelli, poi infilai anche l'altra, li tirai leggermente: ero esasperato. Assetato di qualcosa di indefinibile, qualcosa dentro di me si muoveva come in collera e non riuscivo a trattenermi, tremavo. Afferrai il lavandino con entrambe le mani, strinsi forte per placare quel repentino attacco di non sapevo cosa, era orrendo. Mille lame mi trafiggevano il petto nudo in corrispondenza delle cicatrici. Volevo urlare, ma avrei svegliato mia madre. Mi costrinsi a tapparmi la bocca, morsi il labbro ripetutamente fino a farlo sanguinare.
Che diavolo mi sta succedendo?
Non lo sapevo più.
Ero sopraffatto.
Ero solo.
Uscii di casa e andai a bussare a casa sua.
Marianna Severi, così diversa dalla figlia, rispose aprendo la porta: «Ciao Aaron, che ci fai qui?»
«Devo vedere Matilde» ansimavo e dalle mie labbra usciva ancora il sangue caldo e ferroso.
Che hai fatto alla faccia? È già iniziata? Aaron, stalle lontano. Sappiamo tutti che non è corretto che voi vi frequentiate.» Dietro lo sguardo limpido, quella donna nascondeva una forza primordiale. I patti erano patti, ma ero pronto a scommettere che lei avrebbe combattuto fino all'ultimo respiro.
«E con questo? Io tengo davvero a tua figlia, ho bisogno di vederla Marianna, ti prego. Solo un attimo. Ti scongiuro!» Le parole uscivano con fatica dalla mia bocca arsa da un inferno che non riuscivo a placare. Sentivo che stavo perdendo il controllo.
«No. Oggi è il suo diciassettesimo compleanno, lo sai come funzionano le cose... Dovrò portarla via.»
« No! Non puoi farmi questo Marianna» L'ultima cosa a cui avrei potuto abituarmi era piegarmi al volere degli alti. Arrendersi però, era fuori discussione.
Sentimmo entrambi un rumore al piano di sopra. Era sveglia. Feci pressione sulla porta, volevo entrare.
«Mammaa...» la sentii. Aveva una voce distrutta, secca, stanca.
«Aaron. Io... Mi dispiace, la rivedrai... Mi dispiace. Devo andare.» Sapevo che era così. Leggevo il dispiacere in ogni ruga del suo volto, ma avevo un compito.
«Non chiudere. Non azzardarti... Per Lilith, lasciami entrare!»
Lei sbatté la porta, e io rimasi al di fuori, impotente. Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Sapevo che avevo sprecato tempo, non avrei dovuto risvegliarla così presto.
Mi asciugai un rivolo colante di saliva rossastra poi corsi via, nel mio angolo segreto, nel bosco, dove quello stesso giorno avrei voluto portare lei, per farmi fracassare la testa dalle sue mille domande indisturbati. Mi fermai, guardai l'albero sotto il quale le avrei rivelato segreti di cui lei non era a conoscenza e senza pensarci, crollai in ginocchio. Non piansi, non gemetti, lasciai che il dolore e il bisogno mi trafiggessero come lame senza che io li fermassi. Mi lasciai alla terra, al mondo. Mi arresi. Avevo lottato, e avevo perso. Avrei dovuto capirlo immediatamente. I sogni, il suo arrivo, gli eventi che si erano susseguiti così velocemente, i bambini della casa... Ogni traccia lasciava presagire ciò da cui ero sempre fuggito. Trasformazione. Mutazione. Cambiamento. Modi di dire la stessa cosa. Modi per cercare di darle un senso, di accettarla.
Odiavo ciò che ero e ancor di più odiavo chi mi aveva reso tale.
Mi alzai, e appoggiai la schiena all'albero, faceva tutto tremendamente male.
Un fuoco infernale sembrava crescermi dentro per ustionarmi. Il sangue infiammato scorreva sempre più velocemente nelle vene, il mio cuore si stava indurendo. Polvere alla polvere. Carbone e ossa. Avevo perso la mia unica occasione di poter essere amato e liberato dalla mia condanna. Da adesso il processo era avviato e non lo si poteva più fermare.
Dal centro della testa, sentii il mio cervello mutare, i neuroni esplodevano come enormi scintille di fuochi d'artificio, i miei sensi si stavano sviluppando, le mie dita stringevano la fanghiglia di foglie e terra per trattenere le lacrime di dolore. Sentii il mio viso cambiare, i miei tratti indurirsi e al tempo stesso farsi armoniosi; la mia bocca si stava allargando leggermente, lo sentivo dallo scricchiolio che facevano le mie ossa. Mi uscì un gemito disperato.
Una patina bianca e molle mi coprì i denti, aveva un sapore acre, sputai tutto a terra.
Ed ecco che arrivava la prima parte più dolorosa: i canini calarono facendosi spazio fra gli altri denti, distruggendo le mie labbra. Lasciai che i rivoli di sangue mi ricoprissero senza pensarci.
E poi ancora, ancora trasformazioni, ancora ancora mutazioni, ancora cambiamenti.
Ore di orrende e crudeli sofferenze. Forse erano stati giorni. O forse solo un minuto.
Mi incamminai verso casa, ero ansioso di scoprire il risultato finale.
Entrai in bagno, mi spogliai. Davanti allo specchio, Aaron, il ragazzo insicuro dagli occhi di ghiaccio, era stato sostituito.
Una figura mi osservava sulla superficie riflettente: alto, i muscoli tonici, le spalle larghe e possenti, anche se in totale il fisico risultava straordinariamente asciutto, non esagerato.
Mi toccai i pettorali, e gli addominali. Niente male. Mi toccai la schiena e girandomi vidi alcuni lividi blu che andavano scomparendo rapidamente. La nostra guarigione  era un processo doloroso eppure incredibile da osservare.
I capelli erano leggermente più lunghi, arruffati. Le sopracciglia definite incorniciavano due occhi che si erano fatti leggermente più grandi.
La mia pelle era senza difetti, il mio sguardo carico di forza. Ero indubbiamente più affascinante, ero un predatore, un seduttore.
Spostai gli occhi sulle mie labbra, erano rosse del mio stesso sangue. Due rivoli scendevano ancora giù da un lato, aprii leggermente la bocca ed eccoli lì, i miei canini splendenti in grado di forare qualsiasi cosa. Provai a controllarli. Li ritirai da dov'erano spuntati e non fu così doloroso come lo era stato farli nascere.
Misi una mano sul petto, le cicatrici non erano scomparse, le avevo ancora. Sentii il mio cuore battere più lentamente di quanto fosse necessario per vivere, ascoltai il ritmo del mio sangue cadenzato. Sapevo che prima o poi sarebbe successo, le maledizioni non tardano mai nel rispettare le scadenze assegnategli, e la mia era perfettamente e odiosamente in orario.
La trasformazione era stata completata: adesso ero io, il demone. Lo stesso demone che Lilith predisse. Eppure, se avesse saputo a cosa era destinata la sua progenie... I miei genitori erano le creature più lontane dall'umanità che potessero esistere. Mi avevano creato e lasciato al fato, abbandonato quando ancora non ero in grado di pronunciare il mio nome. Dentro il petto sentii montare una rabbia divorante, e scagliai il pugno contro lo specchio. Sette anni di sfortuna... Sorrisi. Il vetro sparso a terra, la mia pelle dura come roccia, senza un graffio.
Ero uno dei migliori esemplari, uno stallone purosangue. Demone nato da demoni. Diretta progenie infernale. Ci sarebbe stato da divertirsi. 

La figlia dell'Inferno.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora