Capitolo 17.

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Quando discutiamo con una persona, per quanto torto o ragione possiamo avere, arriva quel giorno in cui vedendola si dimentica il motivo per cui il litigio aveva preso vita. I litigi sono così, sembrano animarsi e continuarsi come una reazione chimica senza fine. Ma il vero motore della discussione, qual era? Passano i giorni, e cominci a dimenticarlo. Ti accorgi che un' aria strana serpeggia negli angoli bui del tuo cuore, un sinuoso senso di colpa che si infiltra nei buchi più piccoli mettendo in discussione ogni decisione che prima sembrava così necessaria e coerente. Ti manca quella persona, ti mancano le cose che prima erano abituali, come vedere i suoi occhi la mattina, come il 'buongiorno' bofonchiato perché è ancora troppo presto per augurarlo davvero. Ti mancano le mani e i modi rassicuranti di quella persona, e a me mancava il calore confortante di mia madre. Mi mancava il suo modo buffo di ridere con me, mi mancava l'affetto gratuito e improvviso che ogni genitore sente per il figlio. Ero molto legata a lei, le raccontavo tutto. Era il mio confessionale, però era così corretta e imparziale da consigliarmi senza giudicarmi, e la adoravo per questo. Mi ritenevo molto fortunata da quel punto di vista, poichè con il trascorrere del tempo ero venuta a conscenza di storie fra genitori e figli di genere totalmente opposto. Al contrario io avevo coltivato con lei un bel rapporto.
Forse erano queste le ragioni per cui alle sette e mezzo di sera, quando il sole di fine dicembre era già calato e il freddo entrava nelle ossa, ero in cerca degli appartamenti dove risiedevano i pezzi grossi, gli anziani.
Volevo parlare con mia madre e abbracciarla, trovare un po' di conforto dopo questi giorni troppo pieni.
Camminavo avanti ma non sapevo dove stavo andando, la mia pila cominciava a dare cenno di scaricarsi prima lentamente, poi tutto insieme. La paura prese il sopravvento. Buio.                          
Mi giravo in tutte le direzioni, sentivo rumori magari dettati dalla mia agitazione, fruscio di vento tra gli alberi. Mi bloccai. «Maledetta torcia!» imprecai. Muovevo su e giù con foga la malcapitata che ormai esalava gli ultimi respiri. Di tutti i momenti in cui poteva succedere, proprio adesso... La legge di Murphy non si smentisce mai, d'altronde.
Una risata profonda e gutturale sembrò schernirmi.
«C-C'è qualcuno là?» battevo i denti per il freddo. Il giaccone e il capello non erano sufficienti a quanto pareva.
«Non dovresti camminare a quest'ora fuori dalla tua camera, tutta sola...» mi sorprese ancora la voce, questa volta dal tono caldo e profondo.
Non riuscivo a vedere nessuno, eppure percepivo che chiunque fosse, non doveva trovarsi troppo lontano da me.
Una folata di vento mi sfrecciò accanto.
Mi girai. Calmati Matilde, mantieni la calma, non ti farà del male, magari può aiutarti. Se ti fai prendere dal panico non risolverai niente.
«Ehm... Temo di essermi persa, cercavo la residenza dei membri del Consiglio.»
Altra risata.
«E perché dovresti andare da loro?» Chiunque fosse adesso si era fatto davvero troppo vicino, sentivo il suo fiato caldo sul collo.
«Non penso siano affari tuoi» risposi decisa.
«Ma davvero? Quindi se adesso per sbaglio io ti uccidessi nessuno potrebbe sentirti urlare pietà, nessuno potrebbe aiutarti.»
«Uccidermi?» Per sbaglio?
«Ucciderti, ammazzarti, frantumarti, distruggerti, ridurti in polvere. Come preferisci.»
«E perché mai dovresti farlo? Nemmeno so chi sei. Sono qui da troppo poco tempo per essermi inimicata qualcuno, non sono così brava.» Cercavo di prendere tempo, ingraziarmelo in qualche modo. Era un uomo, doveva essere piuttosto alto, circa venti centimetri più di me. L'unica cosa di cui ero assolutamente certa era che pareva non avere buone intenzioni. Spalancai gli occhi nell'oscurità nel tentativo di facilitare la vista, eppure, mi sentivo cieca e disorientata.
La voce non rispose per un tempo che mi parve infinito, era frustrante sapere di avere una figura al proprio fianco ma di non essere capaci di individuarla. Sentii qualcosa di incredibilmente freddo poggiarsi sulla mia gola. Erano dita, le mosse su e giù, e premette leggermente su una vena. Mi balenò un pensiero nella testa.
«Aspetta. Cosa sei?» sussurrai.
«Ti va di fare un gioco?»
«Un gioco?»
«Ti dirò ciò che non sono. Voglio capire se sei sveglia come dicono.»
«Chi lo dice?»
«Non farmi domande di cui non vorresti conoscere la risposta.»
«Giochiamo, allora.» Con i miei diciassette anni era aumentato anche il coraggio, sembrava.
«No, non sono un vampiro, mi dispiace. Non ti morderò per farti mia per l'eternità e quelle cavolate da vampiri. Mi fanno un po' pena, pensano sempre di essere perfetti» disse sarcastico.
«Non sei un vampiro, ricevuto.»
«Non sono un lupo mannaro, nonostante questa zona ne brulichi.»
«Non sei un lupo mannaro...» ero sempre più sconcertata. Esistevano anche quelli?
«Non sono una ninfa. Come spero tu abbia notato.»
Mi strappò un lieve sorriso nonostante la situazione. Azzardai: «Ah davvero? Avrei quasi scommesso che tu fossi una bella ninfa marina.»
Lo sentii sorridere, non sapevo come, ma intuii il leggero movimento delle sue labbra schiudersi.
«Se tu sapessi con chi stai parlando non proveresti nemmeno a rispondermi con quel tono, bambina.»
«Bambina? Nemmeno mia madre mi chiama più così!» il sussurro insistente mi faceva arrabbiare, ma se avessi perso le staffe, chissà cosa sarebbe potuto accadere.
«È da lei che stavi andando?»
Approfittai del nostro cambiamento di discorso per scostarmi leggermente da lui, solo un piccolo passo... Ma fu troppo veloce, mi afferrò le braccia immobilizzandomi. Mi costrinse ad inarcare la schiena per sussurrarmi all'orecchio: «Dove pensi di andare? Dobbiamo finire di giocare» la sua voce si era improvvisamente indurita e mi sentii gelare, letteralmente. Sembrava ringhiasse come un cane arrabbiato. Fu tutto esattamente come in mensa. «Deja vu» dissi con i denti che battevano.               
«Che hai detto?» Sembrava sorpreso.
«So chi sei. Stai nella camera accanto alla mia, ma il tuo nome sulla targhetta è cancellato. I tuoi capelli sono argentei e i tuoi occhi neri come la pece, la tua pelle bianca. Mi fissi da quando sono arrivata. So che fisicamente sembri un Lettore di anime. Stamattina in mensa mi hai inchiodata con lo sguardo e mi hai congelato. Letteralmente.»
Colsi il suo sbigottimento momentaneo per farlo ragionare.
«Per tua informazione, lo stai facendo anche adesso, e se intendi uccidermi con le tue mani dovrai impedire che io muoia di freddo e portarmi alla residenza così che io possa stare al caldo.»
Allentò leggermente la presa.
«Brillante. Molto acuta. Accurata analisi dei fatti. Ti consiglio una cosa ragazzina, stammi alla larga. Lo dico per te.»
Per me? Ma se mi aveva appena detto di volermi eliminare dalla faccia della terra?
«Penso di essere un po' confusa. Sul serio adesso smetti di gelarmi! Sto davvero morendo di freddo» improvvisamente mi sentii debole. Era troppo, non potevo tacere ancora, e come se non bastasse il suo umore altalenante non faceva che mandarmi in bestia. «Non ti sto ghiacciando» la sua voce era sorpresa «Non adesso almeno.»
Feci appena in tempo a vedere che prendeva la mia torcia e la accendeva quando mi accasciai a terra senza forze.
Mi svegliai in una stanza molto grande, non era la mia. Il letto a baldacchino sui toni del rosso, vestiti sparsi ovunque, un odore aleggiava nell'aria, un profumo... Mamma!
«Mamma? Mamma dove sei?»
«Matilde? Oh per Lilith finalmente ti sei svegliata. Pensavo non aprissi più gli occhi, pensavo...- la voce rotta dal pianto.
«Mamma non piangere, sto bene. Come sono arrivata qui?» ricordavo poche cose della sera precedente e mi sentivo come se una sanguisuga mi avesse prosciugato.
«Ti ha portata qui un ragazzo» il suo sguardo si fece improvvisamente preoccupato.
Solo allora tutto tornò alla mente, fino allo svenimento. «Mamma, sai come si chiama quel ragazzo? Lo conosci?»
«No...» rispose stringendo le labbra. «Mi dispiace tesoro, non so chi fosse quel ragazzo»
Perché sentivo di non doverle credere? Che mi nascondesse qualcosa?
Mi riportarono in camera e mi dissero di riposare, avrei saltato le sessioni mattutine.
Sentii qualcuno parlare a bassa voce, eppure sembrava così vicino.
«Ti avverto ragazzo, stalle lontano, non deve importarti di lei, altrimenti sai qual è la tua fine.»
Ero curiosa. Mi alzai dal letto per avvicinarmi alla porta.
«Lo so. Non c'è bisogno tu me lo ricordi Heinrich. E poi già non la sopporto, l'ho solo trovata fuori e ho evitato che morisse. Sai bene che avrei potuto fottermi delle vostre regole e fare quel che volevo» sussurrò una voce calda e profonda. Mi sembrava di averla già sentita. Anzi, l'avevo già sentita, sicuramente.
Aprii leggermente la porta e li vidi.
Il ragazzo misterioso e il direttore, parlavano indisturbati. Data la mia scarsa capacità di coordinazione, mi sporsi troppo e caddi rumorosamente distesa sul tappeto.
Si girarono con uno sguardo tra lo spaventato e il sorpreso.
Heinrich, si girò verso il ragazzo: «Grazie per il tuo tempo, finiremo questo discorso un'altra volta» si avvicinò un po' al suo viso e inchiodandolo con lo sguardo aggiunse «Ricordati di stare al tuo posto.»
Il ragazzo chiuse sbattendo la porta.
Heinrich mi aiutò ad alzarmi: «Tutto bene? Tua madre ti ha detto che non si deve origliare?» arrossii... Beccata.
«Io... Mi dispiace. Vi ho sentito da dentro la camera e...» dissi abbassando gli occhi.
Lui si fece pensieroso, contrariato.
«Questo non è possibile.»
«Lo giuro. Ho sentito e mi sono avvicinata.»
«Mi ero assicurato che la barriera comprendesse le camere accanto alla sua.»
«Barriera?»
Il direttore fece un sorriso amaro: «Tra qualche mese saprai di cosa sto parlando. Nel frattempo, ti pregherei di stare molto lontana da quel soggetto.»
«Non capisco.. Perché continuate tutti a ripeterlo? Anche lui me lo ha detto» Perché mai non potevo essere io a decidere quali fossero le persone giuste o sbagliate per me?
«È solo una precauzione, non voglio tu stringa rapporti con le persone peggiori Matilde. Ah, Marta ti cerca da stamattina.»
«Matilde!»
Mi girai e la vidi correre verso di me, travolgendomi con un abbraccio.
«Marta. Che succede?»
«Niente... È che non ti ho vista.Ho saputo che sei stata male, sei svenuta!» I suoi occhi si fecero lucidi. Sembravano biglie di vetro sotto il sole estivo.
«Hey hey, calmati, sto bene, è questo quel che importa no?» mormorai sorpresa da tutta quella preoccupazione.
Qualche volta tendevo a dimenticare che i sentimenti fossero strade a doppio senso.
Dopo pranzo andai alla lezione di teoria, ci spiegarono qualcosa in più sulla scuola finalmente: era stata fondata come sede del Consiglio, ma con l'incremento della popolazione di lettori ed esseri non umani, c'era bisogno di un luogo di formazione per i suddetti. Doveva essere un posto dove potessero sentirsi al sicuro e al tempo stesso padroni di sè, in grado di esercitare i loro poteri al meglio, e a prepararsi... In caso di scontro.
La cosa mi lasciò esterrefatta ed incuriosita, con chi avremmo dovuto mai scontrarci?
Il professore rispose alla mia domanda implicita: «Come avrete notato qui ci sono vari soggetti con varie potenzialità: lettori di anime, ninfe di ogni ordine, angeli, streghe e maghi schierati dalla parte della giustizia e figli di matrimoni misti tra umani ed esseri speciali, gli ibridi. Tutti noi conviviamo in pace e chi è pronto dopo anni di formazione, che ci crediate o no, contribuisce alla pace del mondo, alla sua stabilità.» Trattenni il fiato, c'erano degli angeli? mi sentii fluttuare, era una sensazione indescrivibile, era come se improvvisamente al solo pensiero mi sentissi più al sicuro.
«Ovviamente c'è sempre l'altro lato della medaglia: parliamo di vampiri, lupi mannari, streghe e maghi che hanno deciso di dedicare la loro vita all'oscurità. Eppure, non posso non menzionare loro, i cattivi, i nostri acerrimi avversari eterni: demoni spietati nascosti nell'ombra.. Dall'alba dei tempi Lucifero ha organizzato un luogo simile a questo dove addestrare i suoi adepti per poter far prevalere il male nel mondo.» Ero sotto shock, e ne avevo tutte le ragioni. Demoni, vampiri... Aspetta, quindi un Edward Cullen potrebbe comparire da un momento all'altro? Diventai paonazza. «Tutto bene signorina?» si interruppe il professore, sensibilmente preoccupato. Che figura... Tipico di me. «Oh sì, non si preoccupi, mi è andata a traverso un po' di saliva, tutto qua!» Lo dissi rapidamente e agitando le mani in maniera frenetica. Pessima bugiarda. «Come stavo dicendo, Lucifero non agisce tutt'oggi per tornaconto personale, piuttosto perché quando Dio lo fece cadere dal cielo, gli fu negata la possibilità di vedere le meraviglie di questa terra.» Ero molto affascinata, iniziavo a vedere le cose da un punto di vista differente. «Con il passare del tempo si è indurito parecchio. Non è sempre stato cos...» si interruppe d'improvviso. Un'ombra scura gli attraversò il volto e io non potei fare a meno di pensare che sembrava che lo conoscesse personalmente. «Il male li fortifica, e non scherzo quando dico che i più pericolosi fra tutte le creature che vi ho elencato sono i demoni, quindi se mai ne incontrerete uno, e non ve lo auguro, stategli alla larga!»
Senza che io rispondessi del mio gesto, alzai la mano: «Professore, lei parla di demoni, ma intende quelli nati da un Lettore e da un umano?» azzardai racimolando le informazioni prese da mia madre, quel poco che aveva saputo dirmi, in relatà.
Rimase in silenzio, perplesso.
«Si sono estinti da tempo a quanto ne so. Io parlo di angeli caduti, che hanno rinunciato alle ali diventando come Lucifero.» Dal suo tono compresi di aver fatto una domanda scomoda.
«Capisco», me ne stetti in silenzio fissando il pavimento. Sentivo di aver vangato in un terreno arido e ferito.
«Signorina Nachtregen non vada a mettere il naso in cose ormai passate» mi freddò il professore risoluto, quasi arrabbiato. Sembrava io gli avessi fatto un torto orrendo. Non mi capacitavo del fatto che in quel luogo anche le persone che avrebbero dovuto risultare normali insegnanti, fossero assurdamente strani e misteriosi. La mia boccaccia non sapeva starsene al suo posto, eppure era inutile fingere che quegli argomenti mi incuriosivano a dismisura. Non immaginavo nemmeno, in quel momento, che avrei finito per scoprire più verità di quante avrei voluto.

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