Capitolo 7.

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Inizialmente non ci feci nemmeno caso. Passeggiavo per strada, appena uscita da scuola, e invece di imboccare il familiare sentiero che mi conduceva a casa decisi di deviare, di andare avanti, verso il centro del paese. Odiavo il fragore dei ragazzi che uscivano in massa da un portone, con gli occhi che urlano pietà dopo ore di stressanti interrogazioni e lezioni noiose o talmente interessanti che utilizzano la poca energia rimasta al cervello, anche se succedeva di rado.
La sensazione di essere seguita mi perseguitava ultimamente. Spesso mi capitava di udire passi dietro di me, non volevo girarmi, avevo paura. Mi bloccai. Qualcuno mi inciampò addosso. Occhi di ghiaccio, un guizzo sulle labbra. Notai che erano labbra piene e... "Matilde possiamo concentrarci un secondo?" Mi maledii. «Mio Dio Aaron, sei diventato il mio stalker? Sono davvero lusingata», iniziai scoccandogli un'occhiataccia. «Ah ah ah, la tua vena sarcastica è ben allenata signorina, ma potresti fare di meglio. Forse, andavo solo nella tua stessa direzione, nemmeno mi sono accorto che eri tu a camminarmi davanti. Poi mi sei saltata in braccio...» si strinse nelle spalle, il suo sorriso si fece beffardo e io lo fermai prima che potesse aggiungere altro. «Caro mio, non sono stata io a saltarti addosso come una scimmia, casomai il contrario! Adesso mi fai il piacere di togliere il tuo fantastico gomito dal mio polmone? Oppure potresti sempre tenerlo lì e continuare il discorso quando mi sarò ripresa dallo svenimento per mancanza d'ossigeno.»
«Che paroloni Dottoressa, prego, mi perdoni se l'ho importunata.» Mi aiutò ad alzarmi e finalmente arrivammo al succo della questione: «Aaron, sul serio, mi seguivi?» Ammetto che ero davvero nervosa. Il suo sguardo si fece cupo: «Matilde, sul serio, no. Non sono quel genere di persona.» Per un attimo mi sembrò di averlo persino ferito, ma fu un momento fugace. Era sempre così... controllato? Interessante. E forse anche un po' carino. "Oh ma insomma!" Mi schiaffeggiai mentalmente.
«Bene allora, meglio così.» Si schiarì la gola infilandosi una mano nei capelli neri. Li portava corti. «Tu piuttosto che ci fai in giro tutta sola?» chiese lui con fare curioso. Oh beh, mi aveva beccato. «Io... È complicato. Diciamo che non mi piacciono le folle di persone. La gente mi infastidisce. È una cosa che odio.» Si bloccò come se dalla mia bocca fosse uscita una rivelazione: «Capisco perfettamente. » Quell'affermazioni mi incuriosì ancora più profondamente. "Oh Aaron, tu sei proprio misterioso." «Sul serio?» Lui annuì sicuro, forse camminavamo l'uno a fianco all'altra per la stessa ragione. Era buffo, perchè fra noi non vedevo altro che differenze, non mi sarei mai immaginata che un tipo così sicuro di sè potesse essere impaurito dagli esseri umani. Passai davanti ad un cestino, e inizialmente non notai nulla di strano, tranne la parola "morte". Mi bloccai. Beh su un giornale è normale, no? La gente muore, tutti giorni. Giusto? Oh per la miseria! Tornai indietro, e raccolsi un giornale da terra, quello con la scritta a caratteri cubitali di cui mi ero accorta poco prima, e il titolo era niente meno che: "LA STRAGE NON È FINITA, BAMBINA DI 6 ANNI TROVATA MORTA VICINO ALLA SCUOLA ELEMENTARE DI FIORANO." Sfogliai il pezzo di carta trovato per un caso fortuito, e arrivai fino alla pagina dove gli avvenimenti erano riportati in modo più dettagliato; la bambina, dalla carnagione pallida e i capelli rossicci, era stata ritrovata poco lontano dalla nuova scuola elementare, più precisamente nell'angolo iniziale del bosco. Era stata torturata, infatti riportava segni di lividi sull'epidermide ma aveva lottato con tutte le sue forze fino alla fine secondo il coroner. Sulla gola, sulle braccia, le gambe e altre parti del corpo apparivano chiari segni di morsi, buchi profondi che avevano facilmente perforato la carne tenera e prematura della bimba. La morte era avvenuta per dissanguamento anche se secondo l'analisi del corpo vi erano segni di strangolamento post-mortem. Il killer, o meglio la killer, non è molto furba, pensai. Per quanto riguardava i morsi la scientifica forense supponeva che si trattasse di animali, infatti il corpo era giaciuto nell'erba del bosco alla mercè delle bestie per tempo ancora da definire.
No. Impossibile. Assurdo. Ancora lei? E se fosse la stessa donna? Possibile?
Aaron mi fissava sconvolto e confuso: «Matilde che cavolo succede?» Ah no, qui c'era solo una persona che poteva giocare a fare la detective, ed ero io. Non avrei di certo coinvolto qualcun altro in questa folle storia. Riguardava me, e le voci. «Niente... Io... Devo andare» dissi decisa. «No. Non vai» mi afferrò il braccio così forte da farmi male, le sue dita premevano e attraversavano il giacchetto come se non ci fosse: «Non puoi andartene, adesso mi dici cosa succede!» Fissavo con tacito orrore la sua mano su di me, e solo quando il suo sguardo incrociò il mio, capì che aveva oltrepassato una barriera, un limite che lui stesso si era posto; la vidi spezzarsi nei suoi occhi e con essa un fluire incontrollato di emozioni. «Matilde io... Merda. Sono desolato, perdonami... Non volevo stringere così forte, io ti giuro che... Oddio, cosa ho fatto!» Il panico prese anche la sua voce e non rimase che un sussurro del ragazzo che avevo davanti. Adesso sì che era terrificante. Mi allontanai piano, come davanti ad un animale feroce che si è appena distratto, poi sempre più veloce, fino a ritrovarmi a correre a perdifiato. Tutto quello che stavo vivendo era assurdo e non ero nemmeno sicura di voler sapere cosa avesse a che fare tutta quella situazione con una ragazza di sedici anni col cervello incasinato. Dopo quel pomeriggio però, avevo capito due cose: la donna che sembrava sparita aveva ricominciato ad uccidere; e Aaron mi spaventava davvero.

La figlia dell'Inferno.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora