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Seduti sul divanetto accanto alla finestra, l'abbraccio non finiva più, il mio nome non smetteva di essere sussurrato dalle sue labbra e le sue mani non volevano saperne niente di interrompere di tastarmi tutto il corpo per capire se fossi reale.
«Mi sei mancata da morire che non puoi nemmeno immaginare, Riley!» aggiunse e l'abbraccio si fece così stretto che le mie mani gli finirono sulla schiena per delle pacche tra disagio e conforto.
«Mi dispiace per tutto, se solo potessimo metterci una pietra sopra...» era una domanda indiretta ed io non risposi, anche perché il mio viso finì nell'incavo del suo collo e tenni serrate le labbra per non far sembrare che lo stessi baciando proprio lì.

«Riley, Riley, Riley...» me la cavai con un bacio sulla fronte ed uno sullo zigomo, mi osservò ancora un po' e allentando la stretta della cravatta, mi chiese ciò di cui credevo si fosse scordato.
«Che stavi facendo là sotto?»
Ed è lì che mi venne in mente una cosa che mi disse lui stesso: Menti, ma mentre lo fai, mostrati sicura come se fosse vero.
«Volevo lasciarti una cosa, ma sentendo la porta mi sono nascosta credendo fosse Betty» mi uscì così dal nulla e strinsi la borsa al petto come se la cosa fosse dentro.
«Dammela ora» mi porse la mano e scossi la testa.
«Farò finta di averla trovata per caso e la guarderò più tardi, promesso» aggiunse.
«È una cavolata, davvero. Ora sei qui, quindi fa niente» insistetti e sospirò dandomela vinta.
«Ero in una riunione straordinaria, comunque» mise entrambe le mani sulle mie cosce su cui fece scorrere le dita.
«Si, me l'hanno detto» annuii.

«Non ho lasciato che nessuno toccasse le tue cose. Il casino è colpa mia da ieri sera e il tuo Mac è chiuso a chiave nel mio ufficio. Bryan voleva utilizzarlo»
«Non vedendolo ho pensato subito a lui» mi lasciai sfuggire scordando la promessa che mi ero fatta, ovvero non nominare i suoi figli.
«Ah.» rispose già meno contento.
«Puoi riprendere quando vuoi, io... ehm» mi indicò il corridoio verso l'ascensore e lo seguii interrogativa.
Lo chiamò al nostro piano.
«Mi dispiace tanto e sai che non mento quando si tratta di te. Non so cosa mi sia preso e riconoscendo il mio stupido errore, mi sono promesso di darti tutto il tempo che ti serve, a patto che mi perdoni prima o poi»
I suoi occhi si illuminarono sotto il riflesso della luce proviene dallo specchio dell'ascensore una volta che si aprì, il sorriso di un innocente pentito. Non fiatai.

«Starai per oggi?»
La sala riunioni in cui mi aveva portata era vuota, a dire il vero tutto il piano era vuoto, solo noi due.
Davanti a me vi erano diversi fogli su cui non toglievo gli occhi cercando di capirne il contenuto.
«Domani devo tornare a Beverly Hills per un altro contratto»
«È fantastico!»
«Si, l'ultima occasione per recuperare la perdita dopo...ehm il casino con mia moglie»
Mi andò la saliva di traverso.
«Stai bene?» afferrò il bordo del tavolo e si spinse con la sedia accanto a me massaggiandomi la schiena.
«Va bene, va bene così» era un chiaro invito a levarmi le mani di dosso, ma non lo colse e mi prese sottobraccio indicandomi un primo documento.
«Sei ancora disposta a venire a San Francisco con me?» chiese.
«vuoi che venga?»
«Non è quello che ti ho chiesto, Riley» rispose con tono canzonatorio.
«Forse...»
«Non è una risposta, ma comunque mi serve un consenso scritto per poter coprire anche le tue spese. Se non ti fidi ti lascio un attimo per leggerlo attentamente» disse l'ultima parte dopo che lo guardai accigliato, perché non avevo mai sentito parlare di consensi scritti per viaggi lavorativi.
«Ti lascio sola?»
«No, no, va bene così» mi promisi di leggerlo comunque più tardi.
Firmai e glielo porsi, venni stretta tra le sue braccia con un «mi sei mancata» sussurrato con le labbra quasi ad accarezzarmi lobo.
«Resti a lavorare o torni a casa?»
«Sono qui per questo»
«Bene, sono contento, perché c'è un sacco da fare prima di venerdì»
Mi fece aspettare lì ed andò a prendermi il Mac per spiegarmi tutto ciò che mi aspettava per quella giornata.

Non tornai alla mia scrivania, non mi ricordai nemmeno di farlo, perché fui sommersa di documenti di transazione arretrati di giorni e giorni che teoricamente aspettavano a Betty da revisionare il lunedì, ma era troppo occupata a farsi scopare dall'amante sul divano di Paul.
Avevo saltato pranzo, e anche se il mio stomaco era contrariato, lo ignorai e mi promisi di finire quelle noiose scartoffie in modo da fare il mio solito lavoro dal giorno seguente.

Anche con le telecamere puntate sopra la testa e Paul nel suo ufficio che poteva controllarmi, misi della musica incurante di non poterlo fare, ma tutto sommato essere la preferita del capo doveva pur comportare dei benefici.
Ero appunto distrattissima quando qualcuno entrò nella stanza, Spotify stava per riprodurre la canzone seguente quando la persona premette sulla barra spaziatrice fermandola.
«Salve»
E forse mi ero spiegata male soltanto il giorno prima, forse quei lividi non erano serviti a nulla e forse il tentativo di Paul di uccidermi non era nemmeno sufficiente, un po' come le sue minacce a me e a loro.
«C'è qualcuno?» chiese sedendosi di fronte.
La mia prima reazione fu alzare la testa e puntare gli occhi terrorizzati verso le telecamere.

Lo vedi anche tu che io non centro nulla, vero?

«Anche oggi ti sei svegliata e hai scelto antipatia?»
Bussò sul tavolo per avere la mia attenzione, ma non cedetti e mi piegai ulteriormente sui fogli togliendolo così dal mio campo visivo.
«È così che hai deciso di reagire a tutto ciò che è successo tra di noi?» domandò e mi agitai vedendo un piccolo scatto delle braccia verso di me.

Sudai, e per ogni vampata di calore che facesse aderiva troppo la camicia alla mia pelle, capii che il terrore fosse vero, puro e proprio di Paul!

Come un cane richiamato dall'odore del cibo, Paul fece sbattere la porta spalancandola violentemente e rimanendo sulla soglia, schiarì la voce.
«Mi chiedevo dove fossi finito. A breve inizi il corso, possiamo scambiare due parole prima di allora?»
«Veram-»
«Ora. Grazie»
Bryan obbedì.
«Riley, la pausa, ora. Ti ho lasciato qualcosa in cucina» e richiuse la porta.

Non mi voltai nemmeno.
Le parole magiche erano farsi i cazzi propri. Lo capii.

Eppure i figli erano due.



Non mi odiate tanto, perché mi è mancato Paul e mi siete mancati pure voi❤️

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