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«Sei stata grande oggi, Riley. Grazie per essere venuta con così poco preavviso» Paul mi diede una pacca sulla spalla e non soddisfatto, mi racchiuse fra le braccia per qualche secondo.
«Grazie ancora. Hai lasciato la chiavetta nel mio ufficio?»
«No, riguarderò ancora la copertina e la lascerò prima di andare a casa» lo rassicurai ed annuì tirando fuori le chiavi della macchina.
«Buona serata, ci vediamo martedì » chiamò l'ascensore, proprio mentre si aprivano le porte si girò di scatto come se si fosse ricordato di qualcosa di estremamente importante.
«È possibile che mia moglie venga lunedì con mio figlio per una visita veloce, dovrebbe tornare da Londra domani»
«Non sapevo che avessi un figlio...»
«Oh Riley, ne ho perfino due! Non sai che fatica con questi ragazzi. Uno sarà a breve si ritorno da Londra, ma sono certo che avrai occasione di conoscere entrambi» mi sorrise come se fosse una notizia da niente e come se fosse già dispiaciuto della cosa.
Entrò in ascensore chiudendo le porte dietro di lui.

Erano quasi le sei e dovevo ancora mettere in ordine la mia scrivania e il suo ufficio, riguardare la copertina della presentazione per martedì e contare le mie ore da dare all'addetto alle buste paghe.
Sospirai perché avrei finito di nuovo tardi e mia sorella si sarebbe ritrovata a cenare nuovamente sola.
Era sabato e ovviamente non c'era nessuno al nostro piano, nonché il quarto. Avrebbero ripreso lunedì, quindi tutte le scrivanie erano vuote ed ero circondata dal silenzio più totale.

Ero davvero sorpresa della cosa dei figli. Voglio dire, in due anni di rapporto lavorativo non mi aveva mai parlato veramente della sua situazione familiare, eppure ero convinta di sapere tanto della sua vita: il sesso, le amanti, gli amici, le passioni, così tanti dettagli sulla società, i suoi conti bancari...., ma non mi era mai balenato nella testa che potesse avere dei figli nascosi da qualche parte nel mondo.
Mi chiesi se fossero loro la causa per cui non voleva ancora fare un testamento.
Come gli premeva sempre ricordarmi, non ero soltanto la sua segretaria, ma ero anche come una figlia e lo strano rapporto sviluppatosi tra di noi era non poche volte stato motivo di episodi di bullismo nei miei confronti da ex colleghi, per essere la preferita, con possibilità di avere sempre l'ultima parola su tante cose, ma di fatto non ne avevo mai abusato. Tutti poi licenziati, proprio cosi, licenziati per farmi stare tranquilla.

Raccolsi i fogli sparsi sulla scrivania e li sistemai nei rispettivi cassetti, nel frattempo aprii la presentazione sul mio Mac e selezionai il correttore automatico tanto per iniziare.
La mattina prima si era nuovamente presentato davanti al mio appartamento, senza preavviso, chiedendomi di lavorarci perché gli serviva urgentemente uno schizzo per dimostrare ai collaboratori che si stava dando da fare.
Alcuni di questi lo avevano convocato d'urgenza questo pomeriggio per capire d'anticipo i punti su cui Paul intendeva porre maggiore attenzione durante la riunione di martedì.
Abbiamo dovuto rifare l'intera presentazione una volta resi conto che era fuori argomento.

Era un nuovo piano per attirare ulteriori investitori, impostogli dai suoi collaboratori per garantire la ripresa delle perdite subite a seguito di una lite di quella stronza di sua moglie con uno dei loro investitori più importanti.
Ovviamente tutti avevano accusato il povero Paul che aveva dovuto pagare sanzioni su sanzioni, ma la cosa che più mi faceva imbestialire era il fatto che non volesse ancora capire che quella donna lo voleva mandare in rovina.

Sospirai selezionando il suo nome sulla copertina per cambiarne il colore e renderlo più evidente. Non era niente male e volevo soltanto che fossero fieri di lui ricordando che era proprio grazie alle sue capacità ed alla sua determinazione che aveva guadagnato il titolo di amministratore delegato.

Modificai anche i ringraziamenti, avviai la stampa per tredici persone e mi spostai nel suo ufficio.
Spensi i dispositivi, ordinai il divano, i blocchi di autorizzazioni che aveva usato durante la riunione del giorno, svuotai il cestino della spazzatura e passai la scopa sul pavimento.
Dalle grandi vetrate si vedevano le luci della città, parevano così lontane eppure così vivide da farmi socchiudere gli occhi. Los Angels ragazzi.

Chi lo sapeva che quella povera ragazza terrorizzata di quasi tre anni prima avrebbe avuto così tanta fortuna in una città come quella? Che tra decine di colloqui in una giornata afosa d'agosto Paul Collins avrebbe scelto proprio lei?

«Straordinari?» Con mia grande sorpresa il responsabile delle buste paghe, Nick, si trovava nel suo ufficio al secondo piano e mi aveva vista posare i due fogli nel blocco delle ore.
«Esattamente» mi strinsi nelle spalle sentendomi quasi colpevole d'aver segnato tutte quelle ore.
«Bene, grazie» mi fece l'occhiolino e sorrisi andando verso le scale.
«Bel vestito comunque» feci finta di non averlo sentito e continuai a camminare. Era un semplice Givenchy a fiori in saldo che io e mia sorella avevamo deciso di prendere uguali per fare le gemelline ogni tanto. Di certo non era un interessante argomento di conversazione, e poi stavo per perdere l'ultimo bus delle sette e cinquanta!

«Ah, Riley James, che onore averti a casa giusto quando la cena si è già raffreddata» mia sorella venne ad aprire la porta avendomi vista dalla finestra del salotto, da dietro di lei sentii addosso il calore proveniente dai termosifoni e mi affrettai ad entrare liberandomi del cappotto.
«Come stai?»
Feci gli occhi dolci come una muta richiesta di perdono, il tavolo era apparecchiato e le nostre cene ancora coperte.
«Avrai mai coraggio di dire no a quell'uomo?»
«Ma era urgente, Jess»
«Per entrambi i tuoi giorni di riposo? Oggi è sabato, è da lunedì che lavori fino a tardi e non hai nemmeno avuto tempo di andare a vedere la macchina con me» disse mentre andava a riscaldare il cibo.
«Lo dico per il tuo bene, Riley. Datti una tregua ogni tanto, hai una cera orribile per tutte le dormite non fatte e poi stai perdendo peso!"

Dopo l'incidente dei nostri genitori, avevamo passato un anno con i nostri zii e poi avevamo deciso di spostarci da New York, perciò da quando eravamo arrivate a Los Angeles, mia sorella minore si era abituata a farmi da madre perché ero sempre stata quella spericolata e piena di idee sbagliate tra le due.
Anche se pazientava molto, a volte perdeva le staffe costringendosi a risolvere personalmente i miei casini. Avrebbe potuto prendere Paul dal colletto e minacciarlo di non presentarsi più a casa nostra la mattina presto mentre dormivo, di non chiamarmi nei miei giorni di riposo o peggio ancora di licenziarmi perché troppo era troppo.
Non erano mai andati d'accordo.
«Ora alza il culo e mangia»

BE CAREFUL WITH MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora