«Il cellulare è in modalità aereo, questo non dovrebbe preoccuparmi?» mi stavo facendo prendere dalla preoccupazione seduta sul letto con il il rilevatore di posizione che continuava a girare.
«Non è sua madre e lui non ha cinque anni»
«Che ci fa qui con me, esattamente?»
«La tengo d'occhio come promesso. Non mi deve ringraziare» mi strappò di mano il Mac digitando velocemente qualcosa.
«Ecco il suo capo, schifosamente ubriaco in uno Strip Club. Totalmente da lui» disse con nonchalance sussurrando l'ultima parte fra se e se.
«Ma come...» chiuse la pagina che aveva utilizzato prima che potessi vederne il nome.
«Ho i miei segreti anch'io. Viene o resta?»
«Certo che vengo» lo seguii quasi di corsa per tenere il passo.Mettendo piede fuori, venni accolta da un venticello poco piacevole che mi fece gelare sul colpo e stringermi nelle spalle per essermi scordata la giacca. Il taxi era già fermo pronto a caricarci.
«Allora? Che fa lì impalata?» Max tenne la portiera aperta.
«Ho fredd-» si tolse la giacca gessata e mi affiancò suggerendomi di aprire le braccia. Mai provato tanto calore in vita mia. Il disagio per l'orribile abbinamento bordeaux-verde passò in secondo piano con la mente piacevolmente offuscata dal suo profumo.
«Va meglio?»
«Si-si» lo superai entrando in macchina e richiusi la portiera mentre lui faceva il giro.
Il taxista partì seguendo le indicazioni di Max.Con le gambe strette fra loro, iniziai a notare il vestito accorciarsi sempre di più, incuriosita, mi spostai più vicino a Max che già mi guardava minaccioso come se stessi invadendo il suo spazio vitale.
Un vestito che mi si trascinava dietro per quanto fosse lungo, ora era arrivato sopra il ginocchio e guardando in basso, mi resi conto di averci chiuso sopra la portiera.
«Si fermi per favore!» urlai spaventando entrambi.
«Che succede?» Chiese Max per poi capire al volo vedendomi usare la sua giacca per coprirmi le gambe.
Balzò giù dal taxi andando a controllare ed aprì la portiera mostrandomi gli stracci rimasti.
«Merda!» scesi praticamente in minigonna e posando giù il piede, mi presi una storta con i tacchi cadendo contro di lui. Merda! Merda! Merda!
«Sta bene?» mi dimenai freneticamente con una caviglia fuori uso e facendo ricadere tutto il peso solo su un piede, mi lasciai tenere dalle spalle sentendomi piccola piccola sotto le sue braccia.
«Non pretenda che ora le presti i miei pantaloni o le mie scarpe»
«Che fine ha fatto il gentiluomo in lei?»
«Le sta dando la scelta di tornare in Hotel piuttosto. Penserò io a mio padre»
«No, vengo. Sto bene, possiamo andare» mi aiutò a risalire e con un sorriso compiaciuto, mi porse i resti del mio vestito.
«Siete così testarde voi donne!» commentò guardandomi massaggiare la caviglia.Il Cisco Strip Club era un localino in pieno centro a differenza dei normali locali privati, ma da fuori non si capiva cosa fosse realmente.
«Vuole entrare così? Risalga in macchina, per favore!»
«Cos'è, non mi stanno bene i vestiti corti?»
«È in cerca di complimenti?» mi squadrò da testa a piedi severo.
«Non di certo da lei» gli sculettai davanti andando all'entrata.
Ci venne chiesto di spegnere i cellulari e ovviamente pagare l'ingresso anche se volevamo solo prendere Paul e andare via.Lui era seduto in un angolino circondato da diverse ragazze, difficile capire quali stessero lavorando e quali no.
Era talmente ubriaco che in un primo momento ci chiese chi fossimo per ordinargli di tornare a casa.
Aveva macchie di rossetto su diversi punti del viso ed il rosso arrivava anche al colletto della camicia bianca, il portafoglio era aperto sul tavolo e ne rimanevano solo i documenti, nessuna traccia della carta di credito e nemmeno una moneta rimasta.
«Avrà sicuramente perso il titolo di milionario questa sera» ironizzò Max invitando le ragazze ad andarsene.
Alzò il padre pronto a tornare al taxi, ma un uomo raggiunse il tavolo presentandosi come un amico.
«Siete qui insieme?»
«Si, è un caro amico. cosa diavolo gli state facendo? La serata non è ancora finita» ci rimproverò scocciato.
«Lo riportiamo a casa, domani lav-»
«Aveva una carta di credito con sé» interruppi la conversazione guardandolo con occhi di fuoco.
Trovai il suo telefono e conoscendo il codice, lo sbloccai controllando le notifiche dall'applicazione della banca. Non era possibile.
«Aveva una cazzo di carta di credito.» mi infuriai.
«Chi diavolo siete e cosa volete da noi?»
«Sono la persona che scriverà e manderà personalmente la lettera per accusarla di frode!»
«Eccola, eccola» tirò fuori la carta di Paul dalla tasca dei pantaloni e Max dovette lasciar suo padre ricadere sulla sedia per trattenermi dal dare un pugno a quel lurido ladro. Come diceva Paul, con me si trattava sempre dei soldi.
«Ne riparliamo dopo, ok? Adesso andiamo via, non sopporto i locali»
Max ci spintonò fuori ordinandoci di salire velocemente nel taxi che ci aveva aspettati.Eravamo seduti tutti e tre nei sedili posteriori, Paul stava per crollare malgrado le nostre suppliche di restare sveglio per poterlo portare in camera più facile. Le palpebre reggevano a malapena.
Si lasciò ricadere sulle mie cosce guardandomi dall'alto.
«Mi dispiace essermi perso la serata, sei comunque bellissima come sempre» si lasciò sfuggire facendomi quasi arrossire. Ci guardammo negli occhi sorridendoci a vicenda finché non risposi con un fievole «Grazie» mentre i suoi capelli mi solleticavano la pelle scoperta. Resistetti nell'accarezzarli per eccesso di tenerezza verso una versione di lui che non avevo mai visto e che a dirla tutta non avrei mai immaginato.
«Volete una stanza?» Max si schiarì la voce tirando su il padre, gli disse di tenere la testa sulle sue di spalle perché io mi ero fatta male alla gamba. Non era la caviglia?
«Ah si?» provocai accettando la mano che Paul mi porse. Evitò di incrociare i miei occhi.Il taxista fece del suo meglio per arrivare il più presto possibile al Westin, fu molto paziente, ma il prezzo della corsa era quasi metà del mio stipendio.
«Dia la carta del capo, tanto sarà al verde dopo stasera, quindi completiamo l'opera» disse Max indifferente. Pagai con i miei soldi.
«Lo tenga da qui in modo che tutto il peso non ricada su di lei» reggemmo Paul dalla vita con le braccia attorno alle nostre spalle.
Le persone in atrio ci guardarono incuriosite bisbigliando cose tra di loro.
Forse per me che zoppicavo con un look da barbona, forse Paul che pareva morto o Max sempre rigido che non trasudava emozioni.In ascensore ci schiacciammo alle pareti senza fiato.
«Serve la sua carta per aprire la sua porta» ricordò Max.
Controllai le tasche ed il portafoglio, ma nulla.
«Potremmo chiedere al front desk di aprircelo, basta spiegare la situazione»
«Creerebbero casini laddove non ci sono. Lo farò stare nella mia»
Arrivammo al nostro piano.
Frugò in tasca per prendere la chiave elettronica, aprì la porta e ci diede un calcio per spalancarlo.
Il comodino era pieno di libri e fogli di appunti, difficile credere che avesse messo tutto quello in valigia invece dei semplici vestiti. Che strano essere era.
Il tempo di appoggiarlo sul letto e Paul si sdraiò mettendosi sotto le coperte, gli tolsi le scarpe in tempo.
Mentre impostavo la sua sveglia, Max si affrettò a liberare il comodino e riporre nell'armadio tutto ciò che era in bella vista.
Tirai fuori dal mini frigorifero una bottiglietta d'acqua e del succo d'arancia per quando Paul si sarebbe svegliato.
«Hai un'aspirina?»
«Sta male?»
«No, è per Paul»
«Lasci che soffra un po' al suo risveglio, non faccia sempre la tenera mammina con lui. Non ne ha bisogno. Si è comportato da vero irresponsabile stasera ed è giusto che ne paghi le conseguenze»
«Perché tra voi due il padre sembri tu? C'è il congresso domani, non si può permettere di presentarsi ancora in sbornia» spiegai ed alzò gli occhi al cielo.
Controllò la sua valigia e mi porse due compresse.
«Grazie»Paul già russava, io ero fermai ai piedi del letto a fissarlo pensierosa.
«Non lo consumi troppo. Sta solo dormendo, non andrà da nessuna parte, quindi si rilassi» prese due cuscini dal letto e si spostò in salotto.
La sua stanza era molto più grande della mia e aveva questo spazio in più con un divanetto ed un tavolo da quattro. Lo seguii per vedere cosa stesse facendo.
I cuscini erano proprio sul divanetto che non arrivava nemmeno a metà della sua altezza, quindi mi chiesi come ci avrebbe dormito, in più non aveva una coperta.
«Starà...comodo?»
«Sarei comodo nel mio letto. Farò causa al suo capo per il torcicollo con cui mi alzerò» sospirò.Non so perché non mi morsi la lingua e basta o del perché non augurai la buonanotte per poi tornarmene nella mia stanza, fatto sta che mi pentii delle mie parole il secondo dopo averle pronunciate.
«Può...dormire da me»
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BE CAREFUL WITH ME
RomanceRiley Elle james è una Newyorkese finita a Los Angeles con la sorella Jess per motivi lavorativi. L'organizzazione non è il suo forte, infatti continua a rimandare tutto ciò che metterebbe un po d'ordine nella sua vita per dedicare anima e corpo nel...