24

112 9 2
                                    

Nella speranza che mi perdoniate per il ritardo, ecco il primo aggiornamento di due.
A tra poco per il secondo❤️


Il lunedì non mi presentai a lavoro.

Le scuse che dissi a me stessa ed a Jess furono che avevo mal di testa e la faccia mi faceva ancora male. Da quando mi menti, Riley? Le parole di Paul mi risuonavano in testa dalla mattina.

Jess aveva un'altra presentazione per il corso di fotografia, quindi era uscita presto per una piccola riunione con alcuni compagni.
Mi ero svegliata con la sensazione che qualcosa non tornasse in quella giornata, non era il cielo grigio, il silenzio della casa senza mia sorella, il cellulare spento che avevo scordato di mettere in carica la sera prima, la porta di camera mia spalancata al mio risveglio, la televisione rimasta accesa da chissà quanto o le undici.
Mi sentivo fuori luogo perché casa non era il posto in cui mi sarei dovuta trovare, sarei dovuta essere alla mia scrivania, a digitare un po' più velocemente sulle tastiere per non mancare la pausa pranzo, rispondere alle telefonate e litigare con Betty, perché il lunedì era maggiormente il giorno in cui si presentava in ufficio a dare direttive ai dipendenti come se fosse lei a farsi il culo ventiquattr'ore su ventiquattro per mandare avanti la società.

Sarei dovuta essere di nuovo la prima ad arrivare, inviare l'ordine della colazione di Paul al bar, accendere le luci, stampare i programmi della giornata e pagare il corriere come ogni lunedì, invece ero ferma in mezzo alla strada, Sunset Boulevard per l'esattezza, davanti al Book Soup a decidermi se entrare o meno.
Era passato veramente tanto dall'ultima volta e mentirei in parte se dicessi che fosse stato per la mancanza di tempo.

Come diceva mio padre, ero una lettrice cauta, nascondevo la mia passione dagli altri e da me stessa per paura dei giudizi altrui, ma a chi diavolo sarei dovuta andare a spiegare che, invece di ballare, in discoteca avrei preferito sedermi in un angolino a leggere storie d'amore tossiche o dei Yaoi cui molte pagine ero costretta a saltare in presenza di mia sorella perché troppo spinte? Appunto.
Il suono improvviso di un clacson mi spaventò tanto da decidermi ad entrare.

«Buongiorno Riley, da quanto tempo!» il mio amico Jay, fece il giro dalla cassa e venne ad abbracciarmi.
«Che ti è successo? Non ti piace più il mio negozio?» mi prese sotto braccio per fare due passi.
Il posto era enorme, ma la sezione dove trovavo sempre qualcosa di interessante era al secondo piano, quindi gli indicai l'ascensore.
Nel momento in cui quest'ultimo si aprì, il telefono prese a suonare e mi abbandonò per non mancare la chiamata. Sospirai e chiusi le porte.
C'erano persone ovunque, fermi davanti ad ogni sezione ed i figli di qualcuno correvano in giro aggrappandosi ai mobili per non scivolare.
Con fatica, mi feci strada per raggiungere il fondo chiedendo scusa ad ogni due per tre.
«Scusi» una ragazza si spostò lasciando un piccolo spazio accanto a sé per vedere i nuovi arrivi nei manga.
«Graz-» non mi fece nemmeno finire che se ne andò, sospirai ed aprii un volume per leggerne la trama.

Con la coda dell'occhio vidi qualcuno fissarmi immobile dal centro della sala, non mi osavo a guardare quindi indietreggiai per fargli capire che c'era abbastanza spazio per dare un'occhiata alla sezione, ma non servì a nulla, perché non si mosse.
La cosa mi stava mettendo ansia, quindi chiusi il libro rumorosamente e decisi di sparire negli scaffali dietro.
Girandomi per andare, potei riconoscere quel viso in mezzo ad altri centinaia, ma non fu quello la sorpresa se non la mia reazione.
Corsi lungo il corridoio che portava alle scale e scesi due gradini alla volta, non sentivo nessun segno di un inseguimento, ma non rallentai.
Al piano terra, mi scontrai con Jay impegnato con un cliente e vedendomi di corsa, mi disse di fermarmi un attimo, ma raggiunsi la porta.

Non rallentai fino alla fermata del bus più vicino, il respiro affannato non mi permetteva nemmeno di capire gli orari scritti a grandi caratteri davanti a me.
Non volevo parlarci, con chiunque ma non lui dopo tutti i drammi insensati.
Sarei tornata a lavoro, ammesso che dopo quell'assenza ne avessi ancora uno, l'avrei rivisto, ma sarei stata capace ad evitarlo con un Paul vigilante, ma là fuori non avevo nessuno che testimoniasse che non ero io a cercarli, ma erano addirittura loro a trovarmi. Poi come diavolo aveva fatto? Quello era pure  stalkeraggio.
Il bus ci avrebbe impiegato più di venti minuti, ero arrivata alla libreria camminando e riconsiderai la stessa opzione per tornare a casa, ma nel vincolo che avevo percorso sarei stata da sola e chissà dov'era finito.
Legai i capelli e li coprii con il cappuccio della giacca per essere meno riconoscibile, mi sedetti sulla panca a testa bassa e sbloccai il cellulare fingendo di stare facendo qualcosa di interessante. Venti minuti.

Controllavo il tempo maniacalmente e per ogni persona che mi passava davanti, mi stringevo nelle spalle.
Non avevo la minima idea che mi avesse seguita in macchina e quando l'Audi si fermò al posto riservato ai bus, ci misi qualche secondo per capire, secondi che bastarono a lui per scendere ed afferrarmi dalla vita prima che scappassi di nuovo.
«Te lo giuro, Bryan, se non mi lasci mi metto ad urlare!»
«Non lo faresti» disse premendo sulla mia pancia con una mano e tappandomi la bocca con l'altra.
Mi stava sollevando da terra e tirai calci in aria cercando di dimenarmi nella direzione opposta a dove voleva portarmi.
Tentai di mordergli il palmo, ma non avevo spazio per socchiudere le labbra, cercava di arrivare alla macchina piccoli passi alla volta perché stava faticando a tenermi.

«Datti una calmata, voglio solo parlare» mi sussurrò, non gliela diedi vinta e gli tirai qualche gomitata sperando che togliesse quelle mani schifose dalla mia bocca.
«Ehi, amico, che le stai facendo?» Un uomo si fermò abbassando le cuffie, guardò prima me che lo supplicavo con gli occhi di aiutarmi e poi Bryan in modo cagnesco.
«Nulla che ti riguardi, ora vattene» rispose lui maleducato.
Mi chiesi se avesse intenzione di fare a botte quando posò a terra la sua tracolla, il cellulare e le cuffie; era decisamente più piccolo di Bryan e quest'ultimo lo avrebbe steso con un solo pugno.
Non fece nulla del genere, mi tese solo le mani tirandomi, Bryan faceva lo stesso e più che aiutarmi, mi stavano facendo ancora più male.
«Ehi, ehi, che succede? Posatela immediatamente giù» si fermò anche una coppia. Il ragazzo cercava di capire da chi avrebbe dovuto difendermi.
«Sto cercando di aiutarla» spiegò l'uomo che mi teneva ancora la mano, quindi il ragazzo tirò un pugno dritto in faccia a Bryan, il quale allentò la presa lasciandomi cadere bruscamente a terra.

Tutto si ingigantì con una piccola folla attorno a noi, io mi allontanai con il culo e le gambe doloranti, la vista già offuscata dalle lacrime.
I due si erano messi contro Bryan, uno che lo spintonava e l'altro impegnato a restituire tutti i pugni ricevuti.
Bryan stava sanguinando dall'angolo delle labbra, ma non se ne curò e per farla finita, colpì il ragazzo sulla tempia con la mano con più anelli facendolo cadere, l'uomo si ritrovò nella stessa situazione è sentii qualcuno dire di chiamare la polizia.
«Andiamo via Riley» sussultai sentendo il mio nome.
«Io con te non vado da nessuna parte, scordatelo. Guarda che cazzo hai fatto» mi avvicinai ai due tipi per controllare che stessero bene, ma lui si mosse in fretta e mi prese di peso fino alla macchina, aprì la portiera dietro e mi gettò dentro di peso.
Prima che potessi girarmi e scendere, partì attivando il blocco automatico.

BE CAREFUL WITH MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora